Studenti-atleti: tra "dual career" e frustrazione

Chi sono? Ragazzi di scuole superiori: quasi 50mila in tutta Italia. Per le società sportive sono numeri ma spesso cadono in forme depressive con ricadute sul rendimento scolastico.

«Il problema non è lo studio in sé ma il peso che ne deriva a causa dello sport: oltre ai quattro impegni settimanali e la partita, la società di cui faccio parte mi ha chiesto anche un piccolo extra per poter allenare dei bambini, affiancando l’allenatore della squadra». A parlare è Alfonso (nome di fantasia) studente di una scuola secondaria di secondo grado della provincia di Varese, nonché calciatore a livello dilettantistico regionale. Quattro impegni sportivi pomeridiani più la partita nel fine settimana si traducono nell’attivazione del Pfp, sigla che sta per Percorso formativo personalizzato. Nel suo caso l’extra richiesto dalla società consiste nell’«affiancare l’allenatore dei più piccoli» così da diventare figura di riferimento per loro «anche se spesso le partite dei bambini le seguo io dall’inizio alla fine».
Tripla sollecitazione e triplo impegno.

Didattica personalizzata

Il Pfp va a definire lo status della peculiare condizione di studente-atleta nell’ambito dell’agonismo e in quello della sperimentazione di «studente-atleta di alto livello». Stando al decreto ministeriale 43 del 3 marzo 2023 che disciplina ulteriormente la questione per questi ultimi, il Pfp è: «uno strumento» che favorirebbe «l’adozione di metodologie didattiche personalizzate finalizzate al successo formativo dello studente» per cui è concesso che egli possa fruire in modo alternativo delle lezioni «fino al 25% del monte ore» attraverso «videoconferenze», «piattaforme di e-learning predisposta a livello nazionale» o «altri strumenti individuati dagli Istituti scolastici». Non solo, nel decreto viene stabilita anche la possibilità di prevedere verifiche personalizzate.

Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del merito nel corso dell’anno scolastico 23-24 sono state approvate 48.520 domande riguardanti studenti-atleti di alto livello su una popolazione scolastica nazionale di 2.727.637 studenti iscritti agli istituti secondari di secondo grado (dati Istat relativi all’a.s. 22-23). La maggior parte di essi fa riferimento a federazioni sportive calcistiche (Figc o Lnd).

Chiara Sicoli, dirigente scolastica dell’I.I.S. Pacinotti – Archimede di Roma, racconta in proposito all’Atlante che queste organizzazioni «trattano meno bene i ragazzi» rispetto «ad altre organizzazioni afferenti ad altri sport». Stando al racconto della dott.ssa Chiara Sicoli, i calciatori portano con sé «problemi di disciplina» dal momento che «i ragazzi che praticano calcio tendono a ‘fare spogliatoio’ anche in classe: le stesse società sportive si interessano pochissimo del rendimento scolastico dei loro iscritti tendendo piuttosto a trasmettere loro valori non propri dello sport» cioè «quelli tipici della finzione ai fini dell’ottenimento del rigore a proprio favore», roba da VAR o da moviolone di biscardiana memoria.

«Quando ho preso parte al campionato in serie A2 di futsal ero in quinto superiore e non avevo un Pfp: erano già scaduti i termini in cui si poteva inoltrare la richiesta per la certificazione. La scuola non considerava, evidentemente, il fattore escludente delle finestre di mercato e il fatto che un atleta possa cambiare squadra da un momento all’altro», a parlare ad Atlante è Arianna (nome di fantasia) ex studentessa di Liceo scientifico sportivo della provincia di Roma. Arianna si è ritrovata «ad essere catapultata in una realtà completamente diversa e con differente routine», rispetto a quella imposta da un campionato minore, «ma questo alla scuola non è interessato», anche se lei era parte integrante dell’indirizzo sportivo del liceo scientifico.


Studente-atleta o atleta-studente?

Essere parte dello sportivo non rappresenta, tuttavia, un automatismo che preveda l’istituzione de iure dello status di studente-atleta: «qualsiasi istituto può attivare i Pfp», ha dichiarato ad Atlante Paolo Notarnicola, presidente della Rete degli studenti medi (sindacato studentesco). «Lo sportivo non è necessariamente popolato da studenti che praticano sport ad alti livelli» ed entrare a farvi parte pare non sia cosa facile: «l’indirizzo non nasce per offrire un’offerta formativa peculiare ma è sorto ‘al contrario’: la scuola prende atto che ha degli studenti impegnati in attività sportive, dunque trova il modo di armonizzare quelle attività con la formazione scolastica. Di fatto è come se vigesse lo status di atleta-studente e non di studente-atleta: l’offerta formativa si è adattata alle esigenze delle società sportive e non è accaduto il contrario». Sarebbe stata migliore, secondo Notarnicola, la condizione che avesse previsto: «una scuola pubblica che apre la possibilità a tutti gli studenti (anche a coloro che non hanno potuto avere accesso all’attività agonistica a causa di impedimenti economici) di poter trovare il proprio aggancio con società sportive». La graduatoria prodotta dalle scuole che attivano l’indirizzo sportivo assomiglia più «ad un numero chiuso» che ad una vera e propria graduatoria di merito. Il parere del sindacato studentesco è confermato da Camillo (nome di fantasia), insegnante della scuola secondaria di secondo grado della provincia di Ancona: «l’impegno sportivo è del tutto predominante e la scuola viene percepita come ancillare rispetto alle esigenze delle società sportive: si tratta di una scuola disegnata attorno ai bisogni e alle necessità dell’atleta che, incidentalmente, è anche studente». «Di fatto» spiega Camillo «si tratta di un indirizzo a numero chiuso» anche se non lo è formalmente. «Nonostante non si preveda una prova d’ammissione (come avviene per il Liceo musicale o coreutico), si opta per una scrematura che tenga conto dei voti della scuola secondaria di primo grado e che riguardi anche l’impegno sportivo pregresso dei ragazzi», racconta ancora il docente. Se non sei già tesserato di una società sportiva «il punteggio, ai fini della graduatoria, risulta essere basso: diventa una questione di classe sociale e di chi può permettersi che il figlio pratichi sport agonisticamente», sostiene Camillo.

Dual career e frustrazioni

Che sia semplicemente la sana attività sportiva ad essere praticata a livello agonistico o che, invece, rappresenti il salto d’essere studente-atleta d’alto livello, la problematica è multiforme e variamente sfaccettata: la dual career [doppia carriera] può essere interrotta bruscamente per un brutto infortunio o a causa del fatto che si realizzi di non riuscire a sfondare davvero. Ancora Camillo: «il passaggio alla maggiore età dei ragazzi è cruciale: tra la fine del quarto e l’inizio del quinto si determinano una serie di delusioni amarissime – soprattutto per quel che riguarda i calciatori – se dovessero rendersi conto che quella non è più una strada percorribile, o comunque non sicura come avevano sperato che fosse fino a quel momento. Capiscono, insomma, di essere soltanto numeri in un mare di migliaia di ragazzi come loro: la prospettiva del professionismo è lontana. In tredici anni di servizio ho visto solo due miei ex studenti entrare a far parte dello sport-che-conta». Numeri che sembrano essere implacabili e che determinano anche «forme depressive generali con inevitabili ricadute sull’andamento scolastico». Arianna, d’altra parte, racconta: «nella mia classe solamente due su trenta sono riusciti ad arrivare al professionismo». Gli altri? «Ci hanno puntato e sperato ma poi, come nel 99% dei casi, non ce l’hanno fatta. Il problema è chi decide di puntare tutto sullo sport e poi non riesce: spesso non ha un ‘piano B’. Ti ritrovi catapultato ai 20 anni realizzando che con lo sport non ci stai facendo più di tanto, non ti ha dato un futuro e hai pure snobbato la scuola». La Preside Sicoli conferma: «è un fenomeno che dovrebbe essere attenzionato maggiormente: se un ragazzo non riesce a sfondare, entra in uno stato di frustrazione che si ripercuote sulla scuola». Tuttavia, secondo Sicoli, questo non si verifica in tutti gli sport: «nel calcio si contano più casi: se si infortuna un [giovane] calciatore, nonostante sia promettente, viene generalmente abbandonato dalla società sportiva». Il ragazzo non è lo sportivo o il promettente calciatore ma «il suo cartellino», afferma amaramente la Preside.

Notarnicola fa eco: «l’idea che si possa acquisire il cartellino di prestazioni del ragazzo (di fatto è come comprare un atleta, una persona) rappresenta l’impossibilità di scelta da parte sua, quasi una negazione del diritto allo studio. La società compie un ragionamento di mercato sul ragazzo, come accade nel calcio moderno anche se in nuce, facendo prevalere il contratto sulla sua formazione».

Si potrebbe pensare ad un alto tasso di abbandono scolastico da parte di costoro e invece Sicoli smentisce: «si tratta di una bassissima percentuale: durante il mio lustro di dirigenza ho contato un pugno di casi che hanno optato per l’istruzione parentale, dunque una scelta specifica per intraprendere una carriera che rappresentava un impegno [sovra ordinario] in quella fase».

La sperimentazione che riguarda lo status di studente-atleta di alto livello dura, tuttavia, da dieci anni e Sicoli ritiene che sarebbe da porre a regime con almeno tre fattori da cambiare radicalmente. Prima di tutto, «va fatta formazione ai docenti dal momento che non sono pienamente preparati ad affrontare la dual career». Secondo, elargire più fondi alle scuole e ai docenti: «per la sperimentazione è richiesta la figura di un tutor che tenga contatti tra docenti e la società sportiva; va redatto il Pfp e bisogna controllare che i documenti provenienti dalle società siano idonei e poi vanno caricati sulla piattaforma [preposta]». Generalmente nelle scuole si contano «7 od 8 studenti-atleti di alto livello: il Pacinotti-Archimede ne ha 125. L’ordine di grandezza è molto diverso». Terzo e ultimo: «le famiglie devono essere supportate e le società sportive responsabilizzate».


Articolo disponibile su Atlante Editoriale al link: https://www.atlanteditoriale.com/studenti-atleti-tra-dual-career-e-frustrazione/

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