Lo strano caso di Mario Ajello, giornalista dei luoghi comuni fascisti

L'articolo di Mario Ajello, uscito oggi sul Messaggero, ripropone una solita questione che, a ridosso di ogni 25 aprile, gli iscritti e le iscritte all'Anpi conoscono benissimo e di cui - davvero - non ne possono più.
Quanti partigiani esistono ancora? Sono iscritti all'Anpi? L'Anpi non ha più partigiani. E quanti soldi prende l'Anpi ogni anno con il 5x1000? Queste le sorprendenti domande contenute nell'articolo del giornalista del Messaggero.
Quotidiano, quest'ultimo, distintosi per performance davvero incommentabili riguardo il cambiamento climatico: per chi non ricordasse e vorrebbe rinfrescarsi la memoria, segnalo l'articolo prodotto da Giornalisti nell'Erba http://www.giornalistinellerba.it/cambiamento-climatico-cop-24-e-negazionismo-la-prima-pagina-del-messaggero/.




L'articolo di Ajello, da grimaldello del potere, in realtà si limita a mettere su carta quanto è già ben radicato nella coscienza di chi ha votato, vota, voterà a destra e organizzazioni neofasciste: il titolo è già ben esplicativo di quello che vuole essere il tenore del pezzo: «Lo strano caso dell’Anpi, la “partigianeria” senza più i partigiani», per chi volesse: qui, il link all'articolo https://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/anpi_partigiani-4447528.html.
Che è un po' come dire che i cristiani, dato che Cristo è stato ucciso, non hanno più ragione di chiamarsi così, così i buddhisti e via dicendo. Un pensiero davvero schematico, se così si può dire.

Vale la pena di ricordare ad Ajello, giornalisticamente parlando, che l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia ha recentemente  modificato il proprio statuto aprendo (per così dire) le iscrizioni a chi non ha direttamente combattuto la Guerra di Liberazione in Italia. Cito, ad adiuvandum lo Statuto all'articolo 23 (lettere a, b, c): 
«Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta: 
a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni; 
b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio; 
c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche. Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, in qualità di antifascisti, ai sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, con il proprio impegno concreto alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi, con il fine di conservare, tutelare e diffondere la conoscenza delle vicende e dei valori che la Resistenza, con la lotta e con l’impegno civile e democratico, ha consegnato alle nuove generazioni, come elemento fondante della Repubblica, della Costituzione e della Unione Europea e come patrimonio essenziale della memoria del Paese».

L'articolo segue con tutta una serie di luoghi comuni propri dell'estrema destra e di chi confonde strumentalmente la memoria e la Storia, i fatti e gli episodi affermando che la Resistenza non fu un fenomeno di massa irridendo la proporzione con gli iscritti dell'Anpi: «E comunque, l’epopea partigiana fu tutt’altro che maggioritaria. Anzi, non fu affatto un fenomeno di massa, come ormai è chiaro a tutti gli studiosi, la Resistenza italiana. Mentre nel suo piccolo - i paradossi della storia! - sembra quasi un’organizzazione di massa l’attuale Anpi con i suoi 130mila tesserati».

Potrei andare avanti ma, davvero, è squalificante nei confronti dello stesso Ajello il quale sarebbe opportuno che si confrontasse pubblicamente con l'Anpi (e magari studiare anche un po' di Storia, peccato che i corsi di aggiornamento dell'Ordine non lo prevedano).

Di articoli così, ad ogni modo, ne appariranno sempre di più: il luogo comune dell'Anpi svuotata dai partigiani perché tutti passati a miglior vita, sicché dunque verrebbe meno il senso stesso dell'organizzazione, è un vecchio cavallo di battaglia della destra neofascista. Il giornalismo italiano, che da molto tempo ormai non gode di buona salute né di così chiara fama, anziché produrre notizie, cavalca i luoghi comuni rendendo onore agli stessi e facendoli diventare notizia

Massimo Bordin

Quando le giornate nascono storte non c’è proprio nulla da fare, prendono una piega che a te non va proprio e la imboccano senza chiederti il permesso. Vanno contromano sull’autostrada, spingendo il piede al massimo sull’acceleratore. Stamattina ho appreso della scomparsa di un attivista del municipio con cui avevo condiviso una campagna elettorale. Però, dopo pranzo, è arrivato il pugno sulla bocca dello stomaco.
Massimo Bordin.
Massimo Bordin era il mio mentore, giornalisticamente parlando. 
Era la mia compagnia in macchina e quando mi svegliavo. 
Non mi sono mai svegliato troppo tardi, spesso aprivo gli occhi e 'Stampa e Regime' era ancora ben lungi dal cominciare. Me ne stavo una mezz’ora abbondante a letto, accendevo lo smartphone e mi mettevo la rassegna stampa, la sua voce mi aiutava a svegliarmi e a concentrarmi. 
La mettevo a volume basso, vicino al cuscino, ne carpivo tutte le parole. 
La voce di Bordin era quella di una persona amica. 
Una volta sono andato a seguire una conferenza stampa a via di Torre Argentina per un giornale per il quale scrivevo, prima di quell'appuntamento pubblico lo avevo anche intervistato. 
Decisi di non indugiare e di presentarmi: mi diede una pacca sulla spalla e mi disse di non mollare. 
Fu uno dei pochi ricordi belli della mia personale “parabola” giornalistica, quando ancora pensavo di scrivere e di viverci. 
Illusioni adolescenziali evanescenti come zucchero filato sulla lingua di un bambino. 
Mi teneva compagnia prima di un esame universitario, mi dava spunti per articoli e riflessioni. 
Era fonte di ispirazione, persona molto intelligente e dotata di rarissimo acume. 
Preso dall’ardore e dalla devozione che avevo per lui, molto tempo fa avevo anche iniziato una trasmissione di rassegna stampa domenicale con RadioRedonda alla Casa del popolo di Tor Pignattara. 
Volevo fare proprio come lui: leggevo gli articoli interamente, provavo a commentarne qualcuno, mi lasciavo andare in qualche battuta mordace quando le notizie erano su quel filo immaginario che solitamente divide la tragedia dalla farsa. 
E ora non c’è più. 
Avevo scritto anche delle e-mail con proposte editoriali a lui, personalmente, e al direttore di Radio Radicale per conoscenza. Mai inviate un po’ per timidezza un po’ per “ma tanto non è che me stanno a aspetta a me”
Forse ho fatto male, chissà che Bordin non le leggesse e non ne approvasse l’idea. 

Resta la sua voce nella testa e il toscano stretto fra le dita mentre mantiene un quotidiano.

Il calcio che vi piace è tutto finto

Fonte foto 'La Stampa'
In realtà il titolo è un po' sensazionalistico, ma tant'è. La notizia di oggi è semplice e diretta, come riporta brevemente 'La Stampa' di Torino: «La sconfitta della Juventus contro l’Ajax in Champions League travolge i bianconeri in Borsa. Nelle prime battute di contrattazione le azioni della società bianconera hanno fatto segnare un calo del 25%, bruciando 500 milioni di euro di capitalizzazione, scendendo da 1,7 miliardi a 1,2. Dopo essere stato sospeso dalla seduta, il titolo è rientrato nelle contrattazioni cedendo oltre il 20%».
Le società sportive sono quotate in borsa al pari di una multinazionale che costruisce automobili o che produce abiti per la grande distribuzione, magari sfruttando lavoratrici e lavoratori in Bangladesh.
Quando si sentono presidenti di Roma, Juventus, Inter e chi più ne ha più ne metta parlare riguardo i valori dello sport, sta mentendo ovviamente su tutta la linea: il solo valore a cui tendono le società professionistiche è il capitale. 
Quotare le società calcistiche sul mercato stravolge il significato stesso dello sport e di come si intenderebbe comunemente, in questo caso, il calcio: gli spettatori non sono più tali ma clienti o consumatori di un prodotto che va in diretta per 90 minuti più recupero. O, ancora peggio, come un risparmiatore che investe (male) i propri soldi spendendone davvero tantissimi per andare a vedere anche una sola partita. 
Il concetto stesso di tifoserie e ultras viene del tutto svuotato con l'impostazione da Spa delle squadre che popolano il calcio professionistico: la comunità di tifosi che organizza striscioni, bandiere, porta tamburi in curva per incitare gli undici ragazzoni nel rettangolo, in realtà, è più un vago ricordo romantico. La realtà è che le tifoserie reggono il gioco, anche accalorandosi, ad un sistema che, davvero, è marcio dalla testa ai piedi. 

La soluzione è una e unica: il calcio popolare, inteso come movimento di una comunità, nel senso letterale del termine. Quanto portato avanti da (cito solo pochi esempi) Centro Storico Lebowski a Firenze, dall'Atletico San Lorenzo e dalla Borgata Gordiani a Roma, dall'Ideale a Bari è la strada giusta da intraprendere. 
Un cammino certamente difficile e irsuto d'ostacoli ma non per questo aprioristicamente errato, anzi. 
Una via che rimette in moto comunità cittadine, sociali e crea movimento dove prima c'era immobilismo, passività, rassegnazione a guardare il calcio dei milioni

Non proprio una vita da mediano ma anzi una vita da palla lunga e pedalare su campi di terra e sabbia di fiume.

Bentornato 2009!

© AP Photo / Evgeniy Maloletka
Siamo al 13 aprile 2009, ad un anno dalla vincita elettorale alle politiche di Berlusconi con il Popolo della Libertà in alleanza con la Lega Nord (8,30%) e il Movimento per le Autonomie (1,13%). Il Partito Democratico si dà sui denti l'allora declamata vocazione maggioritaria, Antonio Di Pietro e la sua Italia dei Valori entrano in Parlamento (sbancando, letteralmente, alle elezioni europee del giugno 2009 ottenendo l'8%) e la lista unitaria "La Sinistra - L'Arcobaleno" (Prc, Pdci, Verdi, Sinistra Democratica) resta fuori dalle istituzioni. Caustica la prima pagina del 'Manifesto' il 14 aprile 2008: la foto raffigurava tutti i leader delle organizzazioni di sinistra all'indomani della creazione del cartello elettorale abbreviato comunemente come Sinistra-Arcobaleno. La scritta recitava: "Sinistra Extraparlamentare".
Ma veniamo a noi. Oggi è il 15 aprile di dieci anni dopo. Ovvero, del 2019

La frase di quel tale che diceva che fosse meglio fare due passi indietro per farne uno avanti è stata certamente fraintesa da larga parte della sinistra italiana. Anzi, direi dalla totalità della sinistra italiana. 
Partiamo dalla fine: il simbolo presentato da Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Transform! e iscritte e iscritti individuali al Partito della Sinistra Europea (di cui il Prc è fondatore) è stato definito, depositato e con esso i soggetti sopracitati vi parteciperanno alle europee del 26 maggio. È questo qui *:
Semplice, semplice: un tondo diviso a metà, una metà un po' obliqua nella cui parte superiore il semicerchio rosso contiene la scritta «la SINISTRA». Nella seconda  parte del simbolo, quella bianca, ci sono due strisce, una verde e l'altra viola, mentre in primo piano campeggiano i simboli del Partito della Sinistra Europea e quello del Gue/Ngl, il gruppo parlamentare a cui si iscriveranno gli eventuali eurodeputati eletti della lista. 
I più attenti avranno certamente fatto attenzione agli accostamenti cromatici, al font, alla bipartizione del logo: qualcosa di già visto.



Sinistra e libertà
È così: il simbolo è pressocché identico a quello presentato, a seguito dalla fuoriuscita di Nichi Vendola (do you remember?) dal Partito della Rifondazione Comunista all'indomani delle Elezioni europee del 2009. Quel simbolo racchiudeva Partito Socialista Italiano, fuoriusciti da Prc e Pdci, Sinistra Democratica e la Federazione dei Verdi, in più, il simbolo del Gue/Ngl. L'emblema del raggruppamento parlamentare fu inserito contro la volontà di Psi e Verdi: gli uni legati al Partito Socialista Europeo, gli altri allo European Greens i quali si mostrarono subito molto freddi alla lista unitaria. Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, allora disse che quella lista non sarebbe andata da nessuna parte in quanto, una volta a Strasburgo, gli eletti sarebbero andati in ordine sparso. Semel in decennio, aveva ragione. Il simbolo ebbe vita molto breve, questo è vero, ma la struttura è totalmente identica a quanto aveva proposto il cartello elettorale di Sel nel 2009, questo qui, il simbolo:

La seconda fase del simbolo, prima di quello che si è affermato nel corso della pur breve vita della formazione politica vendoliana, fu lo stesso senza le tre cosiddette pulci nella parte bianca del logo, sostituiti dalla parola ecologia, dal momento che la parte ecologista dei Verdi favorevole al progetto fu 'maggioritaria' rispetto a quella del Psi.
La tessera di Sel nel 2010 doveva essere questa: l'immagine è stato possibile ritrovarla grazie a Web Archive:

Un'altra testimonianza della fase di interregno di Sel subito dopo le elezioni europee e subito dopo essere entrati nell'anno 2010 ce l'ha lasciata il blog Sinistra e Libertà Statte in cui campeggia ancora il manifesto per la costituente di Sel, con il simbolo 'Sinistra e libertà ecologia':



Partito socialista e Federazione dei Verdi, come andò a finire [in breve]
Il Psi aveva dichiarato che avrebbe aderito al Pse qualora fosse stato in grado di eleggere deputati a Strasburgo, nonostante il logo del Gue nel simbolo di Sel. L'allora segretario Riccardo Nencini affermò più volte come l'alleanza con il Partito Democratico sarebbe stata necessaria nell'ambito di elezioni locali. Le contraddizioni del Psi (che allora aveva tolto la i dal simbolo, a seguito della segreteria Boselli, ma questa è un'altra storia) non erano le sole a confondere le acque di quel campo politico: a ridosso delle europee del giugno 2009 Marco Di Lello disse parlando di Sel: «non saremo un partito ma nemmeno un semplice cartello elettorale». Curioso perché nel dicembre 2009 il Psi decise di uscire da Sel a seguito della decisione del proprio Consiglio Nazionale perché «nel caso SL [Sel] divenisse un partito che ambisca ad assumere unilateralmente nome e simbolo di Sinistra e Libertà che, al contrario, era e resta patrimonio unitario [in tal caso] sarebbe rottura irreversibile». E il patatrac avvenne. Così come, d'altra parte, la Federazione dei Verdi la cui dirigenza non s'è mai distaccata dall'alleanza con il Partito Democratico (cfr elezioni del 4 marzo 2018): la vittoria di Bonelli al congresso sancì il rilancio del progetto in autonomia da Sel.
Pezzi del Psi, dei Verdi decisero di rimanere in Sel e diedero vita al progetto che si concluse a seguito delle elezioni del 2013: nonostante l'elezione di un manipolo di deputati e senatori la cosa non andò più avanti. Una riprova, se ce ne dovesse essere ancora bisogno, di quanto sia controproducente l'elezione di deputati e senatori quando il progetto è legato solamente alla contingenza elettorale e non abbia una sua struttura. O, se vogliamo metterla sull'anatomico, delle gambe su cui poggiarsi e camminare.

Troppo bello 'sto 2009
O muthos delòi oti (La storia racconta che) da un impasse enorme non se ne esce con l'elettoralismo e, invece, puntualmente i probiviri della sinistra italiana riescono sempre a stupire, portando con sé in dote l'evidente disattenzione al presente e a ciò che li circonda. La proposizione della lista La Sinistra replicherebbe quello che si poteva immaginare di Sel nel 2009: una volta eletti, gli europarlamentari sceglierebbero il gruppo che sarà più consono a questo o quel gruppo di potere/corrente di cui sono espressione. Al netto delle dichiarazioni rilasciate alla stampa: dubito fortemente sul fatto che gli europarlamentari di Sinistra Italiana aderiscano al gruppo del Gue/Ngl.
Il tutto sembra destinato a evaporare all'indomani del 26 maggio, con dichiarazioni incrociate rancorose e del tipo se avessimo fatto x non sarebbe successo y, dove le incognite sono le più disparate motivazioni situazioniste.
Apprendere dai propri errori per perfezionarsi e auto-migliorarsi, o in questo caso, per poter esistere nuovamente è un concetto del tutto estraneo alle formazioni che hanno dato vita a la Sinistra.

Dimenticavo: il cartello elettorale subirà le stesse sorti di Sel nel 2009.
Sono pronto a scommetterci.


* Tralascio volutamente la farsa delle votazioni online piene di bug scimmiottando (male) Partito Pirata e Potere al popolo, da cui il Prc fuoriscì qualche mese prima, per dignità (umana) nutro nei confronti di entrambi. Se ci si dovesse soffermare sulla farsa delle votazioni per il simbolo sarebbe davvero troppo umiliante tanto per il soggetto quanto per l'oggetto.

Un parco per Tina Costa

Oggi è ufficialmente partita la campagna di raccolta firme per chiedere al Comune di Roma l'intitolazione del Parco di Via Celio Caldo (Torre Angela) a Tina Costa. 
La campagna è partita grazie all'iniziativa della sezione locale dell'ANPI 'A. Nascimben'. 
È stato molto bello incontrare i parenti e i nipoti di Tina, estremamente soddisfatti dell'iniziativa della sezione della sua ANPI. Ogni volta che «la sezione di Tor bella monaca» chiamava, Tina rispondeva affermativamente. E non c'era volta in cui non raccontasse di nuovo del suo impegno per l'allora ottava circoscrizione con la giunta Petroselli.
Che dovesse quasi attraversare Roma per venire a Finocchio, Torre Maura o Torre Angela a lei poco interessava. L'importante è che ci fossero i compagni e le compagne e che si stesse organizzando un'iniziativa contro il fascismo, per la democrazia, per sensibilizzare giovani e meno giovani sui temi per cui lei aveva letteralmente impegnato la sua vita.
Abbiamo stretto mani, incontrato persone, ricevuto il sostegno di tanti: era davvero trascorso molto tempo dall'ultima volta in cui ho raccolto così tante firme in un così breve lasso di tempo (Giove pluvio non è stato clemente): correva l'anno 2011 e i banchetti erano quelli per il referendum sull'acqua.
In tanti ci hanno detto che stavamo facendo una cosa positiva. In barba a chi dice che 'la sinistra ha abbandonato le periferie': lo ha fatto il Partito Democratico, lo hanno fatto i politicanti che volevano essere rieletti ad ogni costo, tenendo in pugno solo le proverbiali mosche, lo hanno fatto le organizzazioni-stampella del centrosinistra e i comitati elettorali permanenti, mascherati da associazioni, 'reti' e quant'altro.
I compagni e le compagne hanno cercato di tenere botta in una situazione complicatissima, in cui il terreno da sotto i piedi franava, così come le organizzazioni a livello nazionale, e ci si sentiva sempre più soli nella propria attività. Un ripiegamento dal Tagliamento al Piave mentre l'esercito è sbandato.  Ma questa è un'altra storia.

Ultimamente e del tutto casualmente sono stato ritratto in due foto con Roberto Catracchia e, sempre in questi giorni, ho realizzato che sono passati circa 8 anni da quando abbiamo iniziato a militare insieme. 
È proprio vera la frase di quel tale che ha detto chi ha compagni non sarà mai solo


L'Orchestra 6 Corde, orgoglio torremaurense

In questi giorni riguardo Torre Maura se n'è sentita di ogni. Giorni di proteste razziste e di contromanifestazioni antifasciste. Per un attimo, vorrei esulare dall'attivismo per parlare pur brevemente dell'Orchestra 6 Corde. 
L'ensemble è formata da 12 ragazzi di Torre Maura e da poco ne sono parte anche io, anche se non sono proprio più un ragazzo dato che ho alzato la media d'età dei partecipanti. Sono ragazzi che lavorano, studiano, che il venerdì sera si vedono proprio in quella zona colpita dalle proteste dei fascisti accorsi da Pietralata e Tiburtino III per creare il caso mediatico. Io sono l'ultimo arrivato nell'orchestra, ma i ragazzi che vi partecipano vogliono suonare, creano aggregazione e cultura per loro e per chi gli sta attorno.
Il senso di questo breve post è che Torre Maura è quello che è: un quartiere che dovrebbe essere una piccola città ma che nel corso del tempo è tornato ad essere 'borgata' date le condizioni di disagio esponenzialmente superiori rispetto ad ogni altro fattore. Un quartiere che nonostante le criticità che ho precedentemente espresso, sa ancora mantenersi vivo. E questo è molto importante.

Il 27 aprile, ad ogni modo, suoniamo alla parrocchia di Via Walter Tobagi. Siateci!

L'orchestra al completo - con anche i 4 allievi più piccoli - al termine del concerto per la festa della parrocchia di Via Walter Tobagi

Gli antifascisti a Torre Maura.

Foto di Andrea Guerrizio
Porto due bandiere con me usandole come alpenstock sull'asfalto: entro nella Chiesa di Sant'Agostino per guadagnare tempo e trovarmi già in Via Tobagi. Una macchina parcheggia di fronte a me, l'autista si sporge dal finestrino e mi fa: «ao, scusa, ndo se passa pe' la manifestazione?» e io «aspè: quale te serve delle due?», cercando di ridacchiare sotto i baffi per capire a quali dei due presidi facesse riferimento. 
Ride anche lui e, insieme, pure il passeggero che viaggiava sul sedile a fianco: «quella bona, no quell'altra». Ci sciogliamo dalla tensione e gli dico che è meglio se lascia la macchina dove la sta parcheggiando, può proseguire a piedi: «non è distante, anzi». Sono nato, cresciuto, pasciuto a Torre Maura e mai mi sarei aspettato di vederla blindata in quel modo: più dei giorni scorsi, ovviamente. 
I primi giorni di aprile sono stati molto pesanti per Torre Maura e per chi ci abita. 
I fatti sono, ormai, noti a tutti e non vale la pena tornarci su se non per considerazioni a margine (per chi volesse: https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2019/04/sui-fatti-di-torre-maura.html;
https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2019/04/torre-maura-atto-terzo.html)
Il presidio, poi divenuto corteo fino alla fermata della Metro C, ha rappresentato un segnale positivissimo per un quartiere sfibrato e stremato e ha visto una partecipazione ragguardevole di organizzazioni sociali e politiche. 
È stato un bel momento per tutti, per me soprattutto che mai avrei immaginato di sfilare in corteo lungo strade che percorro quotidianamente in macchina o a piedi.


La questione periferia
Che ci sia una questione legata alle periferie è fuor d'ogni dubbio. Questa manifestazione, se non pone le basi per una piattaforma comune di rivendicazione dei quartieri del Municipio VI tutto e di dignità degli abitanti del quartiere in primis, verrà ricordata solamente per il fatto d'essere stata una bella passeggiata sotto un sole primaverile a cui tutta la stampa (locale, nazionale, internazionale) ha dato risalto perché tenutasi ad un isolato di distanza dal presidio di Casapound. Certo, hanno sfilato personaggi con cui non prenderei neanche un caffè e da cui politicamente sono sideralmente distante: Emanuele Fiano, Matteo Orfini, Marco Furfaro. Tanto per non fare nomi. Costoro sicuramente non si saranno accorti che Via Tobagi presentava voragini in cui si poteva inciampare anche percorrendola a piedi, non solo con la macchina, così come non si saranno accorti del topo morto a Via dei colombi, poco distante da Via Tobagi. E sicuramente quand'anche l'avessero notato, avrebbero detto che la colpa è dell'amministrazione Raggi. Che è pur vero, ma è come se il Partito Democratico e il centrodestra (Forza Italia, Fd'I-AN, La Destra) non abbiano avuto occasione di governare città, municipi, provincia e regione nel corso degli ultimi 25 anni. 
In questa occasione, poi, le malelingue si sono sprecate, s'è detto che un corteo senza un'avanguardia nel quartiere non serve a nulla; che è solo una passeggiata; verrà gente che non sarà di Torre Maura ma portata tutta da fuori.
Sinceramente, queste critiche sono da rispedire al mittente o, più infantilmente, con lo specchio riflesso di quando si giocava all'asilo e si diceva "facciamo che" immaginando le situazioni più strampalate. 
I torremaurensi c'ernao ed erano la maggior parte del corteo. Aggiungo: è scesa in piazza gente che non sapeva neanche come sia fatto un corteo, dunque - a maggior ragione - è stata un'occasione importantissima. In secondo luogo, la solidarietà, sia essa internazionalista, sia essa torremaurense è da accogliere e da approvare senza condizioni, specie se si tratta di una dimostrazione mai avvenuta in un quartiere che è ostaggio di qualsiasi disagio ed esclusione sociale. 
È ovvio, ribadisco a costo di essere più pedante di quanto non sia, che i problemi di Torre Maura rimangono così come quelli di tutti i quartieri di periferia e di tutte le borgate "ad est" del Raccordo, questo deve spronare una partecipazione e un attivismo di chi è già un punto di riferimento politico-sociale nell'illuminare quelle situazioni.

p.s. Ovviamente, non poteva essere altrimenti, appena arrivati a Piazzale delle paradisee, la stampa ha fatto a gara ad intervistare i vari Fiano, Orfini, Stefàno, Furfaro etc. Tra l'altro, piccola frecciatina, Furfaro, ora nella Direzione del Pd, può dire finalmente di contare qualcosa dopo aver tentato la qualunque per avere un incarico (in Sel, Altra Europa, SI etc) non riuscendo mai in nessuna circostanza. Il Partito democratico non solo non ha aderito alla manifestazione ma i pochi presenti sono arrivati con la coda fra le gambe, le bandiere le hanno lasciate a casa e quei quattro deputati che sono arrivati lo hanno fatto a titolo personale. Come di norma accade, la stampa si è fiondata su 4 persone anziché sulla moltitudine di gente normale che c'era e che voleva scendere in piazza per ribadire il proprio antifascismo o, come ho anche sentito, per scoprirsi antifascista. 

Il mio intervento a Radio Rete Edicole su Torre Maura (da 85:00)

Ascolta "P. Filo diretto Fieg. "Radio Cento Passi"; Focus su aggressione razzista a Torre Maura (Rm); Gr." su Spreaker.

Torre Maura, atto terzo

foto marco piccinelli
È il terzo giorno di presidi davanti al centro di Via dei Codirossoni. Alle 8 di mattina del 4 aprile [2019] il cosiddetto circo mediatico è superiore in numero ai convenuti per "presidiare la zona".

Un signore di una quarantina d'anni, con a seguito un cane nero di media taglia si avvicina a noialtri della stampa in fila su di un marciapiede mentre teniamo in mano telecamere, macchine fotografiche, registratori.
«Siete peggio d'i zingari, a giornalisti!» indirizzando una mano aperta a mezz'aria verso di noi. «Che t'avemo fatto?», dice un operatore della Rai. Lui scuote la testa: «C'è quarcheduno der Messaggero?». Una collega di Rainews risponde che no, qui c'è solo televisione e agenzie fotografiche. 
«Ah, ecco» - fa lui - «c'è quello der Messaggero che ha scritto solo stronzate m'ha ripreso mentre stavo a presidià 'a zona pare che so 'n teppista, 'n criminale», in quel momento si avvicina un agente in borghese: «Vedi che devi fa», gli dice. Lui non ci sta e continua, seguitando a mantenere una calma del tutto apparente che covava risentimento tutto personale per l'accaduto: «Ma te pare normale che m'hanno fatto a foto n faccia, stavo a presidià 'a zona.. si vabbè c'aveva 'a mazza da baseball 'n mano ma che vordì, dai pare che so 'n criminale». Ci fa vedere la foto, l'agente gli dice che - per l'appunto - non stava facendo proprio nulla, in tono sarcastico. Solo allora se ne va. 
La mattinata di Via dei Codirossoni inizia così. Il cielo minaccia pioggia e, alla fine, ne viene giù una bella sgrullata che forse fa desistere i più ad accorrere davanti al centro per il terzo giorno consecutivo.
Passa una signora col carrello della spesa urlando improperi e insulti agli zingari del centro: «Vaffanculo zingari dimmerda, tornatevene a casa». Lo ripete più volte. Una signora rom si affaccia da una finestra e risponde alla signora: «Perché ci dite così? Io non vengo da te a dirti vaffanculo, signora». La signora con la spesa riprende il carrello e se ne va borbottando ad alta voce cose contro immigrati e zingari.
Qualcuno, ad ogni modo, accorre per il terzo giorno di presidio ma si ferma su Via dell'Usignolo e non entra in Via dei Codirossoni perché «i giornalisti scrivono stronzate».
Hanno paura che le loro parole vengano strumentalizzate: tra i presenti si accende un piccolo dibattito, si alza la voce e anche le persone che ieri erano ben disposte nei confronti dei microfoni si allontanano quando vedono una troupe televisiva.
Nel frattempo una persona del centro prova a dare una propria dichiarazione alla stampa: «sono una persona come voi che ha bisogno di lavorare, potete anche ammazzarmi ma perché?».
Continua: «abbiamo paura per i bambini, che gli assistenti sociali ce li tolgano, spero non accada».
Inizia a piovere, alcuni rimangono e alcuni vanno via.



foto marco piccinelli

foto marco piccinelli


Sui fatti di Torre Maura

Uno dei cassonetti dati alle fiamme - fonte: Repubblica.it
Il fatto
La notizia è la seguente: circa 60 (sessanta) persone d'etnia rom dovranno essere trasferite da Via Toraldo (Torre Angela) a Via dei Codirossoni (Torre Maura), ad accoglierli ci sarà la struttura della ex clinica adibita a centro d'accoglienza da svariati anni. Perché il trasferimento? Perché, come riporta 'La Repubblica': «la vecchia struttura che li ospitava, in Via Toraldo, andava chiusa perché il proprietario doveva rientrare in possesso dei locali»
Si potrebbe finire già qui e invece è successo un cosiddetto parapiglia di intensità e consistenza, fortunatamente, di gran lunga minore rispetto al caso di Via Morandi del 2014

Le condizioni politiche, sociali, culturali dell'intero e disgraziato Paese si riflettono su ognuna delle sue periferie, siano esse reali quanto metaforiche e la notizia di un fatto che potrebbe cadere nel giro di qualche ora si trasforma in caso mediatico nazionale: Torre Maura e l'Isveur iniziano ad essere sulla penna e sulla tastiera di ogni cronista. Ma, guai, che essi si siano minimamente sforzati di dire che la condizione di disagio degli abitanti di Torre Maura non è causata dal Centro di Via dei Codirossoni ma da un insieme di questioni che affondano le radici in problemi ben più ampi: disoccupazione, alcolismo, dispersione scolastica e princìpi di analfabetismo. 

Le modalità della protesta "dei (s)cittadini" (circa 30 - trenta) dell'Isveur è rimbalzata su tutti i mezzi di comunicazione nazionali a causa di questo gesto, ripreso dal 'Corriere della Sera' che ha fatto scalpore tanto per la propria simbolicità quanto per l'intrinseca cattiveria del gesto. Non parlo di violenza, che pure è evidente, quanto di intrinseca cattiveria perché mi sembra decisamente più appropriato:


Il cibo portato per il Centro di Via dei Codirossoni viene buttato a terra, pestato e calciato in segno di disprezzo nei confronti di persone d'etnia rom che - vox populi vox Dei - rubacchiano e provocano tensione e paura all'interno della comunità cittadina, quale essa sia. Non solo residenti, anche organizzazioni politiche neofasciste hanno risposto alla chiamata dello spontaneismo situazionista xenofobo accorrendo da quartieri limitrofi. L'occasione fa l'uomo fascio, bisogna pur comprenderli.
Dal video girato da Veronica Altimari di 'Roma Today' è possibile notare che alle proteste dei residenti ha partecipato una buona fetta di delinquenti del quartiere, gli stessi che poi hanno incendiato i cassonetti e rovesciato gli stessi in strada. 

La conclusione (?) e il punto politico della vicenda
Questo il comunicato di Roma Capitale, prontamente pubblicato su Facebook dal consigliere Gianfranco Gasparutto di Torre Maura in quota Partito Democratico: «In merito al trasferimento di circa 60 persone rom dalla struttura di Via Toraldo a quella di Via dei Codirossoni, l'Ufficio Speciale Rom Sinti e Caminanti ha deciso di operare la ricollocazione delle persone presenti nella struttura presso altri centri d'accoglienza per persone fragili su tutto il territorio romano. Le operazioni saranno curate dalla Sala operativa sociale a partire da domani [oggi] mattina 3 aprile e si concluderanno nell'arco di 7 giorni»
Gianfranco, che conosco personalmente, non è una cattiva persona: tutt'altro. Tuttavia pur di continuare ad essere eletto accetta supinamente logiche che gli sono estranee, e questo non gli fa affatto onore, il suo commento è stato questo:

La questione soddisfa le richiesta dei cittadini. Dice. Tutti a casa, tutti contenti, togliere le barricate ché tanto quelle 60 (sessanta) saranno ricollocate altrove.
Cittadini e residenti giacobini che in realtà, come detto prima, data la loro posizione sociale di delinquenti non temevano tanto la situazione di avere dirimpettai che rubano, quanto piuttosto avevano il timore gli togliessero lo status.
Battua (amara) a parte, stamattina da Via dei Colombi si sentono le sirene della polizia andare verso l'Isveur, già dalle 10:00 è iniziata la dislocazione dei 60.
La periferia continuerà ad essere tale, il disagio seguiterà ad essere lo stesso, il Policlinico Casilino (una volta struttura pubblica) è sempre privato e i trasporti sono quelli che sono. Però i 60 (sessanta) l'avemo mannati via.

Contenti voi.


Le foto di Roberto Proietto, fotoreporter, riguardo i fatti di Via dei Codirossoni

foto ©RProietto

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