Lo strano caso di Mario Ajello, giornalista dei luoghi comuni fascisti

L'articolo di Mario Ajello, uscito oggi sul Messaggero, ripropone una solita questione che, a ridosso di ogni 25 aprile, gli iscritti e le iscritte all'Anpi conoscono benissimo e di cui - davvero - non ne possono più.
Quanti partigiani esistono ancora? Sono iscritti all'Anpi? L'Anpi non ha più partigiani. E quanti soldi prende l'Anpi ogni anno con il 5x1000? Queste le sorprendenti domande contenute nell'articolo del giornalista del Messaggero.
Quotidiano, quest'ultimo, distintosi per performance davvero incommentabili riguardo il cambiamento climatico: per chi non ricordasse e vorrebbe rinfrescarsi la memoria, segnalo l'articolo prodotto da Giornalisti nell'Erba http://www.giornalistinellerba.it/cambiamento-climatico-cop-24-e-negazionismo-la-prima-pagina-del-messaggero/.




L'articolo di Ajello, da grimaldello del potere, in realtà si limita a mettere su carta quanto è già ben radicato nella coscienza di chi ha votato, vota, voterà a destra e organizzazioni neofasciste: il titolo è già ben esplicativo di quello che vuole essere il tenore del pezzo: «Lo strano caso dell’Anpi, la “partigianeria” senza più i partigiani», per chi volesse: qui, il link all'articolo https://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/anpi_partigiani-4447528.html.
Che è un po' come dire che i cristiani, dato che Cristo è stato ucciso, non hanno più ragione di chiamarsi così, così i buddhisti e via dicendo. Un pensiero davvero schematico, se così si può dire.

Vale la pena di ricordare ad Ajello, giornalisticamente parlando, che l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia ha recentemente  modificato il proprio statuto aprendo (per così dire) le iscrizioni a chi non ha direttamente combattuto la Guerra di Liberazione in Italia. Cito, ad adiuvandum lo Statuto all'articolo 23 (lettere a, b, c): 
«Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta: 
a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni; 
b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio; 
c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche. Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, in qualità di antifascisti, ai sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, con il proprio impegno concreto alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi, con il fine di conservare, tutelare e diffondere la conoscenza delle vicende e dei valori che la Resistenza, con la lotta e con l’impegno civile e democratico, ha consegnato alle nuove generazioni, come elemento fondante della Repubblica, della Costituzione e della Unione Europea e come patrimonio essenziale della memoria del Paese».

L'articolo segue con tutta una serie di luoghi comuni propri dell'estrema destra e di chi confonde strumentalmente la memoria e la Storia, i fatti e gli episodi affermando che la Resistenza non fu un fenomeno di massa irridendo la proporzione con gli iscritti dell'Anpi: «E comunque, l’epopea partigiana fu tutt’altro che maggioritaria. Anzi, non fu affatto un fenomeno di massa, come ormai è chiaro a tutti gli studiosi, la Resistenza italiana. Mentre nel suo piccolo - i paradossi della storia! - sembra quasi un’organizzazione di massa l’attuale Anpi con i suoi 130mila tesserati».

Potrei andare avanti ma, davvero, è squalificante nei confronti dello stesso Ajello il quale sarebbe opportuno che si confrontasse pubblicamente con l'Anpi (e magari studiare anche un po' di Storia, peccato che i corsi di aggiornamento dell'Ordine non lo prevedano).

Di articoli così, ad ogni modo, ne appariranno sempre di più: il luogo comune dell'Anpi svuotata dai partigiani perché tutti passati a miglior vita, sicché dunque verrebbe meno il senso stesso dell'organizzazione, è un vecchio cavallo di battaglia della destra neofascista. Il giornalismo italiano, che da molto tempo ormai non gode di buona salute né di così chiara fama, anziché produrre notizie, cavalca i luoghi comuni rendendo onore agli stessi e facendoli diventare notizia

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