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Un pomeriggio con Angelo Nazio, partigiano di Torre Maura, classe 1925

Il 30 novembre [2023] il gruppo culturale Terrazzi Letterari di Torre Maura ha incontrato il partigiano Angelo Nazio. La volontà del gruppo dei terrazzari era quella di incontrare di persona Angelo Nazio e consegnargli, per mano di Pierina Nuvoli, animatrice del collettivo, una medaglia realizzata appositamente per quell’occasione in cui c’era scritto: ad Angelo Nazio – Eroe della Resistenza – Torre Maura. L’incontro è stato un profluvio di ricordi e rievocazioni ma anche una chiacchierata sulla Torre Maura che fu, sulla Guerra di Liberazione dal nazifascismo, sulla dittatura e sulla vita che quotidianamente veniva vissuta all’ombra di un governo autoritario, antidemocratico, repressivo. Fascista. Angelo Nazio, classe 1925, ha 99 anni e, nonostante l’età, ha parlato e rievocato tutto come se fosse successo un minuto prima del nostro arrivo in casa sua. Ci abbiamo messo un po’ per riannodare i fili di due ore e trentacinque minuti di registrazione del pomeriggio trascorso insieme, ma finalmente abbiamo pubblicato e reso noto a chi vorrà leggere quanto detto quel giorno.

Grazie ad Angelo Nazio.

Parlare, pensare, agire. «Matteotti è stato ucciso dai suoi compagni», questo ci avevano detto a scuola. Ricordo che rimasi molto basito da questa affermazione. Ma non è che potessimo parlare, anzi…

C’è chi si confidava con amici e poi lo stesso che si era confidato veniva carcerato. Era il 1942. Orazio Scuderi [confinante con la nostra casa a Via delle Rondini] costruì un recinto per un federale di zona [di Torre Maura]: Merlandi. Scuderi aveva sette figli e io sono andato a scuola con una delle sue figlie, Graziella, poi morta di tubercolosi. Scuderi ricevette un acconto da Merlandi ma il Federale, anziché pagarlo, nicchiava e rimandava il saldo finale. Una sera, mentre Scuderi usciva dal negozio della Sora Checchina, mia madre la quale aveva una rivendita di vini e oli, si imbatte con Merlandi e gli riferisce che aveva da pagare vari conti che aveva in sospeso (all’epoca c’era il vizio di segnare le cose dai fornai, dai lattai e via dicendo) pregandolo di saldare i conti che avevano in sospeso. Merlandi lo scansa e lo tratta da ubriacone: si alzarono i toni, le parole si fecero grosse e poi tornarono a casa. La mattina dopo successe che due carabinieri si presentarono a casa di Scuderi e lo portarono via a Regina Coeli: s’era fatto sei mesi. L’accusa che gli veniva rivolta era d’aver accusato Benito Mussolini in persona. Evidentemente non era così. Capirai era n capoccione, quello. [riferito al Federale - intervento di Marisa Nazio Fabriani, sorella di Angelo Nazio] Uno dei fratelli di Scuderi era una guardia e raccolsero testimonianze sul fatto, le chiesero anche a mia madre indagando se si fossero alzati i toni a tal punto da parlare male del Re e di Mussolini: mia madre disse di no andando perfino al processo a testimoniare. Ma comunque Orazio Scuderi s’è fatto sei mesi da innocente a Regina Coeli. Ecco, oggi si può parlare. Allora non si poteva.

«Fettuccine e polli». Uno neanche se lo immagina il pericolo che abbiamo corso e le cose che facevamo, col senno di poi. Io e Camillo Del Lungo (classe ‘23, abitava a via degli storni) camminavamo verso Centocelle [1]: eravamo all’altezza di San Felice da Cantalice (che ancora non era stata costruita, se non ricordo male). Il giorno dopo sarebbero scaduti i termini da rispettare per rispondere alla chiamata alle armi. Se non ci si presentava, si diventava renitente alla leva e le pene potevano variare: se ti andava bene, ma è un eufemismo, ti caricavano su un treno per farti andare a lavorare in Germania; se ti andava male ti fucilavano. Chiesi a Camillo: «Tu che farai domani, ti presenterai?», lui mi rispose che si sarebbe presentato. La mattina prestissimo presi il trenino verso Fiuggi [2] e me ne andai. Il trenino, che poi lo conosciamo tutti come Laziali-Grotte Celoni o Laziali-Pantano, ‘na volta arrivava a Fiuggi e faceva delle fermate intermedie, sebbene non a tutte le corse. Me ne volli andare a Capranica Prenestina [3] da mio zio che faceva il procaccia (portava la posta da Palestrina a Capranica) con cui mi sarei dovuto incontrare a Palestrina: persi la coincidenza e me la dovetti fare a piedi. Sono arrivato alla piazza del paese che sembravo un mugnaio, tanto ero impolverato.

Da mangiare, però, non c’era: deperii molto, tanto che mi venne la febbre e tornai a casa a Torre Maura. Vedendomi così, i miei si preoccuparono a tal punto da chiamare il dottore Anagni, che allora esercitava a Torrenova. Lui, laconicamente, disse: «Servono solo fettuccine e polli».

A proposito di Camillo: addirittura, ma ve la riferisco così come m’è arrivata [questa notizia], diventò anche repubblichino prima di passare ad essere dissidente e partigiano. Per un periodo, però, mi distaccai da queste vicende, non perché non mi interessasse, ma perché volevo concludere gli studi e volevo fortemente riuscire a diplomarmi

[Intervento di Pierina Nuvoli] Il padre, Carlo Del Lungo era militare ma, sebbene lo fosse, aveva costruito un rifugio sotterraneo e molti a Torre Maura vissero lì per un periodo.

[Riprende a parlare Angelo Nazio] Ma anche a Capranica Prenestina la situazione fu simile: due militari, ad esempio, furono giustiziati. Guer(r)ino Sbardella fu fucilato a Forte Bravetta, un altro Angelo Martella finì alle Fosse Ardeatine.

Azionista a Centocelle. Dopo essermi rimesso, iniziai a prendere contatto con il Partito d’Azione nell’ottava zona partigiana. Era una zona piuttosto estesa che andava da Tor Pignattara fino alla Borgata Finocchio, praticamente. Era il 1943-1944: avevo 18 anni, nonostante avessi comunque già iniziato l’attività a 17 anni. Distribuivo il giornale Giustizia e Libertà, principalmente, così come d’altra stampa, volantini. Era un giornale stupendo: ti apriva gli occhi con quello che veniva riportato. Beninteso: Giustizia e Libertà constava di uno, massimo due fogli, non era come i giornali di oggi. Mi attraevano e mi appassionavano tantissimo gli articoli di Lussu.

Un giorno, però, presero il responsabile del gruppo di Centocelle, lo chiamavamo Primo: eravamo molto preoccupati sul futuro del gruppo, se fosse stato opportuno o meno continuare a riunire il gruppo di azionisti. Spesso si effettuava un lavoro politico senza conoscere gli altri componenti del gruppo: se avessimo fatto una riunione pubblica, per assurdo, in mezzo alla strada, non ci saremmo neanche riconosciuti. Una decina di giorni dopo, però, Primo, lo videro passeggiare a Piazza dei Mirti. Fummo presi da sgomento: «Ha parlato», pensavamo. La situazione era ancor peggiore di quando l’ebbero arrestato.

La delazione era un’incognita, un imprevisto che coglieva tutti di sorpresa e che spaventava moltissimo. Chi faceva la spia a volte si vendeva per cinquemila lire. Per l’epoca era una somma cospicua, senza dubbio: ma mettevano a repentaglio la vita di tanti per un proprio immediato tornaconto personale.

A tal proposito vale la pena ricordare un dato: tra i gruppi che pagarono maggiormente in termini di vite umane, ci fu il Partito d’Azione, anche in rapporto ai numeri dell’organizzazione. Anche il Partito comunista italiano venne falcidiato, ma soprattutto a Centocelle il Partito d’Azione fu l’organizzazione che venne maggiormente colpita e che pagò il tributo maggiore. E non sto utilizzando il termine vittime per identificare, ad esempio, anche chi venne sbattuto in galera, ma solo considerando i morti.

Non potevamo stare con le mani in mano: io e altri, essendo stati raggiunti dalla voce della probabile delazione, aderimmo ai Gap (Gruppi d’azione patriottica) del Partito comunista italiano, più rigidi nelle regole. Se la memoria non m’inganna: fu il febbraio del 1944. Rimasi con i Gap fino alla Liberazione di Roma.

Ribadisco: col senno di poi uno non si capacita di quel che ha fatto. Il punto è che tante cose, tante azioni le abbiamo fatte – benché pericolosissime – perché ci si sentiva davvero di farle. Nessuno mi ha mai obbligato a farlo, eppure l’ho fatto. Ed è stato possibile perché mio padre ha dato aiuto e supporto alle azioni.

I mitra sotto al letto. Mio padre rischiò la vita con e come noi e lo ha fatto perché sentiva il peso di vent’anni di dittatura fascista. Quando vennero i tedeschi a casa nostra, quindi durante l’occupazione, lui ebbe davvero un colpo di genio.

Io avevo nascosto dei mitra sotto al materasso: la mia stanza era a piano terra e quando dei soldati tedeschi chiesero (non cortesemente, diciamo, con il piglio nazista delle truppe occupanti) la mia stanza, mio padre subito iniziò a dire che non si poteva perché io stavo studiando alacremente per il diploma e non era proprio il caso. Mi sarei diplomato solo nel 1945. E poi non abbiamo letti disponibili per voi, gli aveva detto mio padre. Loro, ovviamente, cercarono di imporsi verbalmente con le cattive, ma se quelli entravano nella mia stanza e disgraziatamente controllavano sotto al letto, mettevano al muro tutti quanti. Luigi [il fratello] se la sarebbe vista bruttissima: era in fasce ma avrebbero ucciso anche lui.

Alcuni nostri vicini (si chiamavano Luppini) avevano un bel casale, un bell’edificio, che oggi sarebbe la casa rossa a fine di Via delle rondini: i Luppini presero la via del settentrione e andarono via da Torre Maura, ma mio padre aveva un amico (Antonio) il quale aveva le chiavi del loro stabile. Mio padre prese tempo coi tedeschi e si recò dal suo amico, senza stare troppo a spiegare (c’erano pur sempre dei fucili sotto al mio materasso!), chiedendo la chiave dei Luppini. Tornati i tedeschi, ottenute le chiavi da parte di Antonio, l’ufficiale nazista rimase meravigliato, ed era tutto un profluvio di «Ja Ja!»: il posto gli piaceva, sicuramente era più agevole di una sola stanza, la mia, pur al piano terra. Si trattava di uno stabile che aveva cinque-sei stanze ma non c’erano materassi e c’era bisogno di paglia: gliele rimediò mio padre, purché stessero lontani dalla mia stanza-polveriera!

Facevamo sul serio A Via delle rondini (il mese non lo ricordo) fui avvicinato da un ragazzo più grande di me, di cognome faceva Tafuro, ma non ricordo bene. Allora ero ancora nel Partito d’azione: mi avvicinò e mi disse che voleva prendere parte al Pd’az anche lui. Io trasecolai: chi gli aveva detto che stavo facendo attività clandestina? Il Partito d’azione, almeno per quel che ho vissuto io, non era così rigido come i Gap e, spesso, qualche informazione usciva dalle maglie dell’organizzazione. Gli risposi affermativamente, anche se non conoscevo le sue intenzioni, dandogli appuntamento di lì a due giorni: sarebbero venuti dei compagni da Centocelle a confezionare delle armi nella stalla dove i miei avevano una cavalla. Si presentò puntuale ma, una volta viste le armi, si spaventò a tal punto che scappò via e non lo vidi mai più. Chissà che si era messo in testa, urlò: «Ma siete matti?!». I giorni successivi eravamo in allerta: se avesse parlato, addio gruppo rivoluzionario. Non parlò mai: si doveva essere spaventato a tal punto da rimanere sempre in silenzio.

«La Russa? Un criminale». Come si fa a definire una banda musicale l’SS Polizeiregiment Bozen? Come si fa ad avere questo coraggio nel dire una cosa simile di un reggimento che sfilava armato per le vie di Roma? Il riferimento è, ovviamente, all’attacco partigiano dei Gap a Via Rasella. È pure, però, stupido chi ce crede a quello che ha detto.

Odio la guerra. Molti pensavano – e pensano tutt’ora – che uno ha intrapreso la scelta della Resistenza (dunque della lotta armata di Liberazione) perché gli piaceva fare la guerra, perché gli piacevano le armi. Io la guerra la odio. Non ho mai amato le armi e ho educato i miei figli a una cultura antimilitarista tanto che sono stati obiettori di coscienza al momento della leva obbligatorio. Il più piccolo, Massimiliano, che è sacerdote e missionario, ha svolto il suo periodo di obiezione di coscienza con l’esperienza creata da Don Luigi di Liegro.

Loro hanno succhiato il latte della famiglia: a casa non sono mai entrate armi. Pino, che ora è giornalista anche con la Rai, quando andò in Siberia mi riportò un coltello di pregevole fattura. Era davvero un bell’oggetto. Lo vidi una volta sola: mia moglie Rosy (Rosina) e Pino lo fecero sparire perché a casa non dovevano esserci armi.

Aneddoto familiare a parte, io davvero non avevo simpatia per le armi e per la guerra. L’ho fatto perché sentivo di doverlo fare, perché sentivo che non c’era alternativa, perché chi paga sono sempre i popoli: prima eravamo noi, ora sono quello palestinese e quello israeliano, quello ucraino e quello russo.

«Li abbiamo lasciati andare» La mattina della Liberazione di Roma (era prestissimo) io e altri tre percorrevamo a piedi la Via Casilina: all’incrocio tra Via di Torre Spaccata e Via di Tor Tre Teste abbiamo notato i primi carri armati e blindati degli Alleati. Un graduato tedesco, visti i mezzi nemici, rimase intrappolato: voleva, probabilmente, andare a raggiungere una consolare che non fosse la Casilina (magari la Tiburtina) per cercare di scappare. Partirono dei colpi dalla torretta dei blindati americani per cercare di colpirlo. Noi quattro, vedendo il fatto, abbiamo visto l’ufficiale tedesco che cercava di scappare: l’abbiamo rincorso e consegnato agli Alleati. Dovevamo raggiungere il comando a Via delle robinie ma non volevamo percorrere la Casilina, preferendo tagliare per Tor Tre Teste. Notammo quattro soldati tedeschi, appiedati, che stavano in ritirata. Eravamo pari di numero ma loro stavano battendo in ritirata: potevamo consegnare anche loro ma non l’abbiamo fatto. Tutti noi eravamo d’accordo su un fatto: non erano loro i responsabili, non la truppa (sebbene quella nazista realizzò delle nefandezze con una tale cattiveria e irrispettosità che tutti conosciamo). Li abbiamo salvati, anche se loro non l’avrebbero mai fatto. Anni dopo raccontai l’episodio a mio figlio: sussultò in un moto di riprovazione.

Grazie ad Angelo Nazio. Grazie ai ‘ribelli’ di allora.

NOTE:

[1] Il libro Torre Maura di Laura Dondolini e Pierina Nuvoli riporta la medesima testimonianza in cui Angelo Nazio riferisce di essersi lasciato con Camillo a Torre Maura e non a Centocelle. La sostanza del discorso, al di là dell’ubicazione geografica nella periferia romana, rimane immutata.

[2] «Torre Maura era raggiungibile, oltre che con il carretto o a piedi, percorrendo la Via Casilina, anche con il Tram. La linea ferroviaria Roma-Alatri-Fiuggi-Frosinone, il cui progetto fu presentato nel 1907 dall’ingegner Antonio Clementi, che operava per conto di una società belga presente in Italia, prevedeva una linea a scartamento ridotto. La concessione venne data alla Società per le ferrovie vicinali (SFV) […] Il 28 aprile 1927 venne inaugurata la diramazione urbana Centocelle-Piazza dei Mirti».

Dondolini Laura; Nuvoli Pierina; Torre Maura, p.34, CivilMente edizioni, 2015, Roma.

[3] La famiglia di Nazio era originaria di Capranica Prenestina, come hanno scritto Laura Dondolini e Pierina Nuvoli nel loro prezioso volume Torre Maura, riportando le interviste svolte sul campo frutto di anni di ricerca. Marisa Nazio Fabriani «La mia famiglia è originaria di Capranica Prenestina. Abitavamo a Centocelle, dove mio padre lavorava in una grande fattoria di proprietà di Falchetti. Aveva gli orti e seminava tanto grano. Un anno ne ha dato ‘all’ammasso’ ben 60 quintali. […] Avevamo 25 vacche ma a Torre Maura ne abbiamo portate solo 4 o 5». Dondolini Laura; Nuvoli Pierina; Torre Maura, p.42, CivilMente edizioni, 2015, Roma.














Torre Maura spara. Ma non è una canzone dei Calibro35

sovietbuildings.tumblr.com
A Torre Maura si spara ancora, di nuovo in pieno giorno. Famiglia italianissima, non come quegli "sporchi" 60 rom che volevano "rubare" a prescindere: oltre a svaligiare casa avrebbero sicuramente anche sottratto quel poco di lavoro che c'è. E che, beninteso, a Torre Maura non è che ci sia mai stato. È un quartiere 'di passaggio' così come lo è stato sulla tratta che andava a Laziali, lo è ora sulla ben poco funzionale ed efficiente linea C della metropolitana di Roma.
Io e la mia ragazza eravamo tornati giusto da poco a casa quando avevamo deciso di andare a fare la spesa: camminiamo, chiacchieriamo, mettiamo a posto la macchina e mentre saliamo su casa vediamo un trambusto a fine della via. "Vado a dare un'occhiata", le dico e subito dopo incrocio il vicino di casa: "Se so sparati", mi dice laconicamente.
Il morto, fortunatamente, non c'è scappato, come spesso accade quando ci sono le armi da fuoco di mezzo.
Una notizia, questa qui, che nonostante sia avvenuta nel quartiere sulla bocca di tutto il mondo per più di una settimana, non troverà alcuna eco o una minima mediaticità. Questo perché il fatto non ha notiziabilità, per usare un termine tanto caro ai giornalisti d'accatto quanto da me realmente disprezzato. Si cerca lo scontro e la miccia scatenante della guerra fra  poveri, conflitto che viene vinto dai ricchi per forza di cose. Una notizia che mette in luce la pericolosità di chi vuole iniziare ad armare residenti e cittadini perché se mi entra un ladro in casa devo poter difendermi, nonché sparare, secondo la logica del Ministro dell'Interno e, non da ultimo, un fatto che rileva quanto precaria sia l'educazione di chi, perdendo la testa contro i propri genitori (a 22 anni) non esiti ad imbracciare un fucile per una questione di soldi e a sparare contro la macchina del padre.
C'è molto in ballo, a partire da questa notizia: i quartieri periferici diventano, ogni giorno di più, terra di nessuno, con buona pace di Lucia Annunziata che pensa come Torre Maura, nonostante sia un quartiere isolato e con l'unica pecca di avere le grate di fronte alle finestre, sia un quartiere pulito, con grandi strade, senza immondizia sparsa per i viali o degrado. Un giudizio davvero schematico per essere formulato da una Direttrice di una testata nazionale come Huffington Post.
Quando qualcuno si accorgerà del danno che ha commesso ad allontanarsi dalle periferie, come ha ribadito il partigiano Aldo Tortorella dal palco del 25 aprile a Porta San Paolo, si renderà conto che non avrà più tempo per rimediare alla situazione.

A tal proposito mi torna in mente il referendum del 2016, quello sulla Costituzione. Durante lo spoglio, in uno dei vari seggi di Via Belon c'era anche il consigliere Compagnone (Pd). Atterrito e basito dai risultati che lo davano in netta minoranza rispetto al 'no' (lui sosteneva il 'sì' come il suo partito) disse sconfortato, un po' sottovoce, ad un suo amico che era con lui: "eh, ma qua dovemo fa qualcosa pe le periferie" mentre il presidente di seggio ammonticchiava le schede barrate con i "no" a fianco a quelle (pochissime) dei "sì".
Questo è stato l'atteggiamento verso le periferie del cosiddetto centrosinistra nel corso degli anni: creare un esercito di riserva in cui si possono smuovere voti allo schiocco di dita di questo o quell'altro candidato di uno o l'altro partito; ridurre le poche strutture sociali e aggregative a comitati elettorali permanenti.
Chi semina vento, raccoglie tempesta, dice il proverbio. O, in questo caso, chi semina divisione e odio, raccoglie la guerra fra poveri. In questo caso, il raccolto non è incline ad ossequiare la semina, né a farsi troppi scrupoli. E far capire ai propri simili, vicini di casa, fratelli, che la guerra fra poveri la vincono i ricchi diventa ogni giorno più difficile. 

L'Orchestra 6 Corde, orgoglio torremaurense

In questi giorni riguardo Torre Maura se n'è sentita di ogni. Giorni di proteste razziste e di contromanifestazioni antifasciste. Per un attimo, vorrei esulare dall'attivismo per parlare pur brevemente dell'Orchestra 6 Corde. 
L'ensemble è formata da 12 ragazzi di Torre Maura e da poco ne sono parte anche io, anche se non sono proprio più un ragazzo dato che ho alzato la media d'età dei partecipanti. Sono ragazzi che lavorano, studiano, che il venerdì sera si vedono proprio in quella zona colpita dalle proteste dei fascisti accorsi da Pietralata e Tiburtino III per creare il caso mediatico. Io sono l'ultimo arrivato nell'orchestra, ma i ragazzi che vi partecipano vogliono suonare, creano aggregazione e cultura per loro e per chi gli sta attorno.
Il senso di questo breve post è che Torre Maura è quello che è: un quartiere che dovrebbe essere una piccola città ma che nel corso del tempo è tornato ad essere 'borgata' date le condizioni di disagio esponenzialmente superiori rispetto ad ogni altro fattore. Un quartiere che nonostante le criticità che ho precedentemente espresso, sa ancora mantenersi vivo. E questo è molto importante.

Il 27 aprile, ad ogni modo, suoniamo alla parrocchia di Via Walter Tobagi. Siateci!

L'orchestra al completo - con anche i 4 allievi più piccoli - al termine del concerto per la festa della parrocchia di Via Walter Tobagi

Gli antifascisti a Torre Maura.

Foto di Andrea Guerrizio
Porto due bandiere con me usandole come alpenstock sull'asfalto: entro nella Chiesa di Sant'Agostino per guadagnare tempo e trovarmi già in Via Tobagi. Una macchina parcheggia di fronte a me, l'autista si sporge dal finestrino e mi fa: «ao, scusa, ndo se passa pe' la manifestazione?» e io «aspè: quale te serve delle due?», cercando di ridacchiare sotto i baffi per capire a quali dei due presidi facesse riferimento. 
Ride anche lui e, insieme, pure il passeggero che viaggiava sul sedile a fianco: «quella bona, no quell'altra». Ci sciogliamo dalla tensione e gli dico che è meglio se lascia la macchina dove la sta parcheggiando, può proseguire a piedi: «non è distante, anzi». Sono nato, cresciuto, pasciuto a Torre Maura e mai mi sarei aspettato di vederla blindata in quel modo: più dei giorni scorsi, ovviamente. 
I primi giorni di aprile sono stati molto pesanti per Torre Maura e per chi ci abita. 
I fatti sono, ormai, noti a tutti e non vale la pena tornarci su se non per considerazioni a margine (per chi volesse: https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2019/04/sui-fatti-di-torre-maura.html;
https://sostienepiccinelli.blogspot.com/2019/04/torre-maura-atto-terzo.html)
Il presidio, poi divenuto corteo fino alla fermata della Metro C, ha rappresentato un segnale positivissimo per un quartiere sfibrato e stremato e ha visto una partecipazione ragguardevole di organizzazioni sociali e politiche. 
È stato un bel momento per tutti, per me soprattutto che mai avrei immaginato di sfilare in corteo lungo strade che percorro quotidianamente in macchina o a piedi.


La questione periferia
Che ci sia una questione legata alle periferie è fuor d'ogni dubbio. Questa manifestazione, se non pone le basi per una piattaforma comune di rivendicazione dei quartieri del Municipio VI tutto e di dignità degli abitanti del quartiere in primis, verrà ricordata solamente per il fatto d'essere stata una bella passeggiata sotto un sole primaverile a cui tutta la stampa (locale, nazionale, internazionale) ha dato risalto perché tenutasi ad un isolato di distanza dal presidio di Casapound. Certo, hanno sfilato personaggi con cui non prenderei neanche un caffè e da cui politicamente sono sideralmente distante: Emanuele Fiano, Matteo Orfini, Marco Furfaro. Tanto per non fare nomi. Costoro sicuramente non si saranno accorti che Via Tobagi presentava voragini in cui si poteva inciampare anche percorrendola a piedi, non solo con la macchina, così come non si saranno accorti del topo morto a Via dei colombi, poco distante da Via Tobagi. E sicuramente quand'anche l'avessero notato, avrebbero detto che la colpa è dell'amministrazione Raggi. Che è pur vero, ma è come se il Partito Democratico e il centrodestra (Forza Italia, Fd'I-AN, La Destra) non abbiano avuto occasione di governare città, municipi, provincia e regione nel corso degli ultimi 25 anni. 
In questa occasione, poi, le malelingue si sono sprecate, s'è detto che un corteo senza un'avanguardia nel quartiere non serve a nulla; che è solo una passeggiata; verrà gente che non sarà di Torre Maura ma portata tutta da fuori.
Sinceramente, queste critiche sono da rispedire al mittente o, più infantilmente, con lo specchio riflesso di quando si giocava all'asilo e si diceva "facciamo che" immaginando le situazioni più strampalate. 
I torremaurensi c'erano ed erano la maggior parte del corteo. Aggiungo: è scesa in piazza gente che non sapeva neanche come sia fatto un corteo, dunque - a maggior ragione - è stata un'occasione importantissima. In secondo luogo, la solidarietà, sia essa internazionalista, sia essa torremaurense è da accogliere e da approvare senza condizioni, specie se si tratta di una dimostrazione mai avvenuta in un quartiere che è ostaggio di qualsiasi disagio ed esclusione sociale. 
È ovvio, ribadisco a costo di essere più pedante di quanto non sia, che i problemi di Torre Maura rimangono così come quelli di tutti i quartieri di periferia e di tutte le borgate "ad est" del Raccordo, questo deve spronare una partecipazione e un attivismo di chi è già un punto di riferimento politico-sociale nell'illuminare quelle situazioni.

p.s. Ovviamente, non poteva essere altrimenti, appena arrivati a Piazzale delle paradisee, la stampa ha fatto a gara ad intervistare i vari Fiano, Orfini, Stefàno, Furfaro etc. Tra l'altro, piccola frecciatina, Furfaro, ora nella Direzione del Pd, può dire finalmente di contare qualcosa dopo aver tentato la qualunque per avere un incarico (in Sel, Altra Europa, SI etc) non riuscendo mai in nessuna circostanza. Il Partito democratico non solo non ha aderito alla manifestazione ma i pochi presenti sono arrivati con la coda fra le gambe, le bandiere le hanno lasciate a casa e quei quattro deputati che sono arrivati lo hanno fatto a titolo personale. Come di norma accade, la stampa si è fiondata su 4 persone anziché sulla moltitudine di gente normale che c'era e che voleva scendere in piazza per ribadire il proprio antifascismo o, come ho anche sentito, per scoprirsi antifascista. 

Il mio intervento a Radio Rete Edicole su Torre Maura (da 85:00)

Ascolta "P. Filo diretto Fieg. "Radio Cento Passi"; Focus su aggressione razzista a Torre Maura (Rm); Gr." su Spreaker.

Torre Maura, atto terzo

foto marco piccinelli
È il terzo giorno di presidi davanti al centro di Via dei Codirossoni. Alle 8 di mattina del 4 aprile [2019] il cosiddetto circo mediatico è superiore in numero ai convenuti per "presidiare la zona".

Un signore di una quarantina d'anni, con a seguito un cane nero di media taglia si avvicina a noialtri della stampa in fila su di un marciapiede mentre teniamo in mano telecamere, macchine fotografiche, registratori.
«Siete peggio d'i zingari, a giornalisti!» indirizzando una mano aperta a mezz'aria verso di noi. «Che t'avemo fatto?», dice un operatore della Rai. Lui scuote la testa: «C'è quarcheduno der Messaggero?». Una collega di Rainews risponde che no, qui c'è solo televisione e agenzie fotografiche. 
«Ah, ecco» - fa lui - «c'è quello der Messaggero che ha scritto solo stronzate m'ha ripreso mentre stavo a presidià 'a zona pare che so 'n teppista, 'n criminale», in quel momento si avvicina un agente in borghese: «Vedi che devi fa», gli dice. Lui non ci sta e continua, seguitando a mantenere una calma del tutto apparente che covava risentimento tutto personale per l'accaduto: «Ma te pare normale che m'hanno fatto a foto n faccia, stavo a presidià 'a zona.. si vabbè c'aveva 'a mazza da baseball 'n mano ma che vordì, dai pare che so 'n criminale». Ci fa vedere la foto, l'agente gli dice che - per l'appunto - non stava facendo proprio nulla, in tono sarcastico. Solo allora se ne va. 
La mattinata di Via dei Codirossoni inizia così. Il cielo minaccia pioggia e, alla fine, ne viene giù una bella sgrullata che forse fa desistere i più ad accorrere davanti al centro per il terzo giorno consecutivo.
Passa una signora col carrello della spesa urlando improperi e insulti agli zingari del centro: «Vaffanculo zingari dimmerda, tornatevene a casa». Lo ripete più volte. Una signora rom si affaccia da una finestra e risponde alla signora: «Perché ci dite così? Io non vengo da te a dirti vaffanculo, signora». La signora con la spesa riprende il carrello e se ne va borbottando ad alta voce cose contro immigrati e zingari.
Qualcuno, ad ogni modo, accorre per il terzo giorno di presidio ma si ferma su Via dell'Usignolo e non entra in Via dei Codirossoni perché «i giornalisti scrivono stronzate».
Hanno paura che le loro parole vengano strumentalizzate: tra i presenti si accende un piccolo dibattito, si alza la voce e anche le persone che ieri erano ben disposte nei confronti dei microfoni si allontanano quando vedono una troupe televisiva.
Nel frattempo una persona del centro prova a dare una propria dichiarazione alla stampa: «sono una persona come voi che ha bisogno di lavorare, potete anche ammazzarmi ma perché?».
Continua: «abbiamo paura per i bambini, che gli assistenti sociali ce li tolgano, spero non accada».
Inizia a piovere, alcuni rimangono e alcuni vanno via.



foto marco piccinelli

foto marco piccinelli


Sui fatti di Torre Maura

Uno dei cassonetti dati alle fiamme - fonte: Repubblica.it
Il fatto
La notizia è la seguente: circa 60 (sessanta) persone d'etnia rom dovranno essere trasferite da Via Toraldo (Torre Angela) a Via dei Codirossoni (Torre Maura), ad accoglierli ci sarà la struttura della ex clinica adibita a centro d'accoglienza da svariati anni. Perché il trasferimento? Perché, come riporta 'La Repubblica': «la vecchia struttura che li ospitava, in Via Toraldo, andava chiusa perché il proprietario doveva rientrare in possesso dei locali»
Si potrebbe finire già qui e invece è successo un cosiddetto parapiglia di intensità e consistenza, fortunatamente, di gran lunga minore rispetto al caso di Via Morandi del 2014

Le condizioni politiche, sociali, culturali dell'intero e disgraziato Paese si riflettono su ognuna delle sue periferie, siano esse reali quanto metaforiche e la notizia di un fatto che potrebbe cadere nel giro di qualche ora si trasforma in caso mediatico nazionale: Torre Maura e l'Isveur iniziano ad essere sulla penna e sulla tastiera di ogni cronista. Ma, guai, che essi si siano minimamente sforzati di dire che la condizione di disagio degli abitanti di Torre Maura non è causata dal Centro di Via dei Codirossoni ma da un insieme di questioni che affondano le radici in problemi ben più ampi: disoccupazione, alcolismo, dispersione scolastica e princìpi di analfabetismo. 

Le modalità della protesta "dei (s)cittadini" (circa 30 - trenta) dell'Isveur è rimbalzata su tutti i mezzi di comunicazione nazionali a causa di questo gesto, ripreso dal 'Corriere della Sera' che ha fatto scalpore tanto per la propria simbolicità quanto per l'intrinseca cattiveria del gesto. Non parlo di violenza, che pure è evidente, quanto di intrinseca cattiveria perché mi sembra decisamente più appropriato:


Il cibo portato per il Centro di Via dei Codirossoni viene buttato a terra, pestato e calciato in segno di disprezzo nei confronti di persone d'etnia rom che - vox populi vox Dei - rubacchiano e provocano tensione e paura all'interno della comunità cittadina, quale essa sia. Non solo residenti, anche organizzazioni politiche neofasciste hanno risposto alla chiamata dello spontaneismo situazionista xenofobo accorrendo da quartieri limitrofi. L'occasione fa l'uomo fascio, bisogna pur comprenderli.
Dal video girato da Veronica Altimari di 'Roma Today' è possibile notare che alle proteste dei residenti ha partecipato una buona fetta di delinquenti del quartiere, gli stessi che poi hanno incendiato i cassonetti e rovesciato gli stessi in strada. 

La conclusione (?) e il punto politico della vicenda
Questo il comunicato di Roma Capitale, prontamente pubblicato su Facebook dal consigliere Gianfranco Gasparutto di Torre Maura in quota Partito Democratico: «In merito al trasferimento di circa 60 persone rom dalla struttura di Via Toraldo a quella di Via dei Codirossoni, l'Ufficio Speciale Rom Sinti e Caminanti ha deciso di operare la ricollocazione delle persone presenti nella struttura presso altri centri d'accoglienza per persone fragili su tutto il territorio romano. Le operazioni saranno curate dalla Sala operativa sociale a partire da domani [oggi] mattina 3 aprile e si concluderanno nell'arco di 7 giorni»
Gianfranco, che conosco personalmente, non è una cattiva persona: tutt'altro. Tuttavia pur di continuare ad essere eletto accetta supinamente logiche che gli sono estranee, e questo non gli fa affatto onore, il suo commento è stato questo:

La questione soddisfa le richiesta dei cittadini. Dice. Tutti a casa, tutti contenti, togliere le barricate ché tanto quelle 60 (sessanta) saranno ricollocate altrove.
Cittadini e residenti giacobini che in realtà, come detto prima, data la loro posizione sociale di delinquenti non temevano tanto la situazione di avere dirimpettai che rubano, quanto piuttosto avevano il timore gli togliessero lo status.
Battua (amara) a parte, stamattina da Via dei Colombi si sentono le sirene della polizia andare verso l'Isveur, già dalle 10:00 è iniziata la dislocazione dei 60.
La periferia continuerà ad essere tale, il disagio seguiterà ad essere lo stesso, il Policlinico Casilino (una volta struttura pubblica) è sempre privato e i trasporti sono quelli che sono. Però i 60 (sessanta) l'avemo mannati via.

Contenti voi.


Le foto di Roberto Proietto, fotoreporter, riguardo i fatti di Via dei Codirossoni

foto ©RProietto

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