![]() |
Foto di Feliphe Schiarolli su Unsplash |
Ogni anno sempre la stessa storia.
Che palle eh?
Che palle eh?
Eppure è così.
Provare a rimanere lucidi nei confronti di chi pensa che gli insegnanti abbiano tre mesi di ferie pagate, che un supplente possa scegliere dove andare ad insegnare l’anno successivo, che un supplente possa scegliere quando terminare il contratto e che lo stesso temporaneo possa intercedere presso il Pres.. Dirigente Scolastico affinché egli possa rimanere in quella determinata scuola è un lavoro piuttosto complicato.
La montagna si fa sempre più alta da scalare e sembra alzarsi sempre di più al termine dell’anno scolastico.
Già, il termine delle lezioni. La fine delle lezioni porta con sé una serie di luoghi comuni ma anche inquietudini e domande da parte di genitori e studenti riguardo la permanenza di alcuni insegnanti che sono rimasti lì per poco tempo o per un anno. Vale a dire: i supplenti sopra citati.
1) «Tre mesi di ferie»
La domanda più facile a cui rispondere è quella che viene rivolta riguardo l’estate.
Ad ogni modo ci sono varie domande che possono essere poste e il tono di esse muta, radicalmente, l’approccio della conversazione conseguente. Ci sono quelli disinteressati che non sanno quello di cui stanno parlando: «Beh quindi adesso ve la spassate: tre mesi di ferie»; quelli che sono fermamente convinti: «Io pure vorrei fa er lavoro tuo: tre mesi de ferie pagate da o sSato senza lavorà, ma ce metterei a firma. E che è lavorà er tuo?!»; quelli che sono ignari di quel che accade al di là della punta del loro naso: «Ah sì? Cioè non puoi decidere tu dove ti mandano? In che senso sei supplente? Ah non hai una cattedra? Ma pensa…».
Quest’ultima categoria poi di solito è quella che inizia un discorso da libro Cuore sulla scuola ai suoi tempi, richiamando a sé dalla propria memoria la «mia maestra Estelina, che cara che era!». Di solito le maestre che popolano i ricordi di costoro erano sempre «vecchissime e bruttissime» ma «dolcissime» che «non avevano marito» e, ad adiuvandum «non andavano mai in ferie», mica «come voi adesso».
Dei perdigiorno, insomma. O, come si direbbe da queste parti: dei lazarù fanegot.
Risposta semplice a tutte e tre le affermazioni che prevedono l’illazione dei «tre mesi di ferie pagati».
«No, non abbiamo tre mesi di ferie. I supplenti possono essere chiamati fino all’8 giugno, fino al 30 giugno oppure fino al 31 agosto. Quest’ultimo contratto, tuttavia, è molto raro poiché non solo il supplente verrebbe pagato davvero fino al 31 agosto, ma avrebbe diritto anche alla Carta del docente, senza ricorrere ai ricorsi (ma qui si aprirebbe un altro capitolo).
Chi termina l’8 giugno può essere nominato come commissario d’esame, in tal caso gli vengono proposti dei contratti settimanali fino al termine degli esami. Dopodiché è disoccupato.
Allo stesso modo se si termina il 30 giugno. C’è anche l’eventualità che si proceda di giorno in giorno con contratti singoli fino al termine degli esami (è successo anche questo).
Al termine di essi, circa metà luglio, sei disoccupato: cioè chiedi la Naspi».
Se poi l’interlocutore è proprio scemo e continua a dire: «EH VEDI COMUNQUE C’AVETE STI TRE MESI PAGATI SENZA FA GNENTE» puoi serenamente dirgli che non ha capito una fava e che, una volta disoccupato, sei a carico suo e che è lui che ti paga la Naspi (sempre che giunga per tempo).
2) «Quindi ha deciso, professore: se ne va»
A questa domanda, che è più una considerazione a cui segue un fare spallucce rassegnato, di solito segue anche l’altra considerazione: «Forse non c’è stato feeling con la classe».
Il punto è che uno non è che decide di andarsene se è temporaneo: ti assegnano un posto indicando data di inizio e di fine servizio. Stop. Non si può andar oltre, né da soggetto (decidere di strutturare qualcosa di più stabile per la propria vita), né da oggetto (accogliere l’ipotetica comunicazione del Pres… Dirigente scolastico riguardo la tua ulteriore permanenza).
3) «Ma con tutti i professori che mancano mi sembra impossibile che non si possa rimanere scegliendolo»
E invece è proprio così, signò. Non che apprezzi la cosa: è così.
4) «Ma io so di una professoressa che, alla scuola professionale che frequenta la figlia di mia nuora di terzo grado, si può scegliere se rimanere o meno»
Di solito, anche in questo caso, il dibattito è piuttosto ampio ma, sfortunatamente, 9 volte su 10, il tutto termina con l’amara considerazione circa il fatto che la professoressa in questione insegni in un Centro di formazione professionale.
5) «Ci sarà agli esami di riparazione?»
Anche in questo caso segue un dibattito serrato.
«No, mi dispiace: il mio contratto termina il 30 giugno»
«Eh ma scusi: lei dà le prove per il recupero e non le somministra?» (*)
«Guardi, no: la scuola dovrebbe farmi un contratto solo per quel giorno»
«E non può chiedere lei di tornare?»
«No, per lo stesso motivo: dovrebbero farmi un contratto da un giorno»
«Ma a me sembra assurdo»
«Eh lo so: a me sembra assurdo anche che io debba chiedere la disoccupazione per x mesi fino a nuova nomina»
«Ma mio figlio quindi salta la sua estate senza avere certezze riguardo l’esame di riparazione?»
Se il dialogo prende questa piega, ogni spiegazione, pur ragionevole e razionale che viene offerta, si tramuta in un grande dialogo tra sordi in cui il genitore1 non riesce più a capire.
Beninteso: la logica, nel meccanismo delle supplenze, è assente.
Ci sono sicuramente altre domande e questioni che vengono poste ad ognuno di noi al termine delle lezioni ma le ho ristrette di numero al fine di non far sì che questo diventi un polpettone illeggibile.
Come temo già sia.
*L’abuso del verbo somministrare nel caso di verifiche e compiti in classe è tutto da studiare. Spero che qualche linguista/glottologo/qualcosadelgenere ne studi l’eziologia.
Nessun commento:
Posta un commento