Groenlandia: parte la stagione calcistica 2023. [E c'è più di una sorpresa]

Come ogni fine di luglio arriva puntuale l'appuntamento con il Campionato Groenlandese. Sono terminate le fasi locali del GM Championship 2023, cioè la stagione calcistica dell'isola più grande del mondo.  Tanto è estesa l'isola quanto è breve il campionato: non arriva neanche a un mese (complessivamente). Solitamente le fasi locali si disputano dal 19 al 25 luglio di ogni anno e altrettanto solitamente ne viene data notizia con un comunicato della federazione calcistica locale (Kak) ma quest'anno niente di questo è avvenuto. Grazie al giornale locale «Sermitsiaq.ag» si può tuttavia ricostruire quel che è avvenuto nelle fasi antecedenti alle finali.
Ma andiamo con ordine.
 
Solita premessa: come si svolge il campionato groenlandese di calcio
Il campionato di calcio è strutturato in tre fasi: locale, regionale e “nazionale” (ma è più corretto chiamarla “finale”), quest’ultima divide le squadre in due gruppi (A, B), solitamente non più di 12. Le fasi locali si disputano nell'ultima settimana di luglio e la fase finale - secondo tradizione ma non regola - si gioca su un campo solo, quello di Nuuk, da un lustro rimesso a nuovo e in erba sintetica, fino a qualche anno fa in terra battuta (e, fidatevi, il colpo d'occhio del campo in terra battuta era uno spettacolo). Ma che nessuno t(r)emi: il romanticismo del campionato più a nord del Pianeta Terra non è stato affatto minato dalla colonizzazione del verde artificiale: gli spalti sono sempre i soliti: la partita la si guarda dalle rocce, liberamente, senza pagare nulla.
A differenza delle altre edizioni, in cui il campo era quello di Nuuk, tutte le partite delle fasi finali (dal 10 al 15 agosto) di questa edizione si terranno a Qaqortoq.  
Molto probabilmente la decisione della federazione di spostare la sede delle partite è stata dettata dall'anniversario (90esimo dalla fondazione) della squadra di Qaqortoq, cioè il K-1933.



Niente campionato femminile
Una delle prime sorprese di questa edizione del GM è che non avrà luogo il campionato femminile. La notizia era già stata resa nota agli organi di stampa una ventina di giorni fa ma l'amarezza è grande, specie per chi conosce quanto si sia sviluppato e ingrandito il calcio femminile nell'isola. Ho provveduto a contattare Jakob Geisler, ex allenatore dell'IT-79 femminile di Nuuk: mi ha risposto, non nascondendo tristezza, che non ci sono abbastanza squadre iscritte, dunque non si terrà il campionato. Ha anche aggiunto che la federazione pare stia spingendo molto di più il movimento calcistico maschile e giovanile di quello femminile.
L'IT-79 femminile allenata da Jakob Geisler nel 2019

Per la verità lo stesso Jakob Geisler tre anni fa denunciava: «Il livello del calcio a 11 [femminile] si è abbassato a causa della mancanza di una vera e propria rappresentativa: una nazionale avrebbe bisogno di fondi necessari per poter raggiungere competizioni e tornei internazionali, ma questo non accade».
La situazione non è rosea e in poco più di dieci anni è andata deteriorandosi. È bene ricordare che nel 2011 la nazionale femminile della Groenlandia raggiunse la medaglia di bronzo agli Island Games così come nel 2013 la medaglia d'argento venne conquistata all'edizione dei medesimi giochi, svoltisi a Bermuda (tanto dalla compagine maschile quanto da quella femminile).
 
Le squadre qualificate alle fasi locali
La seconda sorpresa riguarda le squadre qualificate al campionato maschile: per la prima volta nella storia del GM la squadra di Ittoqqortoormiit (AK Ittoqqortoormiit, nome esteso: Arsaaddardud Klubia Ittoqqortoormiini) si è assicurata un posto per le fasi finali. 
Fondata nel 2018, è l'unica squadra della costa est della Groenlandia ad aver passato le fasi locali per quest'edizione del campionato. 
L'allenatore della squadra, Kristian Hammeken, intervistato da «Sermitsiaq.ag» ha dichiarato che la squadra «farà di tutto per cercare di rappresentare la città al campionato».
In che senso "faremo di tutto"? Nel senso che per arrivare dall'altra parte del paese ci vuole un bel po' di tempo: tre aerei e pure un piccolo spostamento in barca per raggiungere il campo di Qaqortoq. Gli atleti della rappresentativa di Ittoqqortoormiit sono 13 (praticamente contati) più l'allenatore-giocatore (ma su quest'ultimo dato non ci metterei la mano sul fuoco). Hammeken ha anche dichiarato che, nonostante la grande emozione di essersi qualificati all'edizione del GM, molti giocatori non potranno partecipare alla finale. Motivo? La stagione della caccia. La parte Est del paese è completamente differente dall'occidentalizzata costa Ovest e la caccia rappresenta il primo (se non in alcuni casi l'unico) mezzo di sostentamento non solo per nuclei familiari ma per villaggi interi. 

Le altre qualificate
Oltre all'AK Ittoqqortoormiit (di cui abbiamo già detto) si sono qualificate anche le seguenti società sportive:

K-1933 della città di Qaqortoq 

IT-79 della città di Nuuk 

B-67 della città di Nuuk 

Nagtoralik della città di Paamiut

N-48 della città di Ilulissat 


UB-83 della città di Upernavik 

G-44 della città di Qeqertarsuaq

Grandi assenti di quest'anno il Nuk, il Sak di Sisimiut, il Malamuk di Uummannaq nonché l'Eqaluk-54 di Tasiusaq.

Zolle di terra su Alan Sorrenti

Poche premesse perché altrimenti questo post rischia di diventare un polpettone dei miei da quindicimila battute e non è il caso. In questo caso le 'poche premesse' consisterebbero nell'evitare completamente di contestualizzare la circostanza politico-sociale degli anni '60/'70 in Italia. Sul Partito comunista italiano e i rapporti con la sinistra extraparlamentare, sulla galassia comunista che esisteva (non sopravviveva: esisteva!) ed era espressione di un movimento molto più largo. Su tutto questo, transeamus.

Nel mondo dell'extraparlamentarismo c'era vita e c'era fermento: 
«Negli anni settanta i giovani non erano ancora stati massacrati dalla televisione immondizia, si credeva di poter cambiare le cose e ci si provava in tutti i modi. C'erano tante speranze, molti contenuti e avevamo delle prospettive; avevamo territorio fertile per potere inventare, azzardare, sperimentare. Trovo, purtroppo, che i giovani del duemila, nonostante abbiano tanto talento, molti più mezzi in confronto a trent'anni fa, hanno più difficoltà ad esprimersi e a trovare gli spazi». [1]
Il dedalo di riviste musicali d'avanguardia (oggi probabilmente verrebbero considerate 'di nicchia'), dei relativi gruppi, nonché di festival musicali era davvero imponente e fittissimo agli occhi di chi, condannato anagraficamente, non ha avuto modo di conoscere quel panorama culturale, sociale, politico e musicale. 
 
Il "Festival del proletariato giovanile" organizzato dalla rivista «Re nudo» tra il 1971 e il 1976 (in realtà ci furono altre due edizioni per i due anni successivi fino al 1978 che si discostarono completamente dallo spirito iniziale) è un esempio lampante di quello a cui si fa riferimento: 
«Il periodico di Andrea e Marina Valcarenghi era dedicato alla cultura underground dell’epoca: musica, politica, fumetti, pratiche sociali alternative (chi non ricorda le prime “comuni”?), droghe e sesso. Re Nudo si fece promotore di una serie di raduni pop, i "Festival del proletariato giovanile", lanciando lo slogan "facciamo che il tempo libero diventi tempo liberato". [...] Arrivarono in diecimila, nonostante le previsioni meteo non incoraggianti. Si accamparono con tende e sacchi a pelo, tantissimi senza neppure quello, ma con una gran voglia di stare insieme e ascoltare musica. “Perché la musica è cultura, e la cultura deve essere libera e non ci sarà censura, né recinto, né polizia che potrà impedire tutto questo, cioè quello che è successo a Ballabio: diecimila ragazzi sdraiati su un’erba senza muri, né recinti, né biglietti”, così scriveva Carlo Silvestro su Ciao 2001 n. 42 del 20 ottobre 1971». [2]
Venne definita la Woodstock d'Italia
Nell'edizione del 1975 si tenne, oltre a quella di Parco Lambro (Milano), anche un'altra festa nazionale del proletariato giovanile: quattro giorni dal 18 al 21 settembre a Licola, nell'area metropolitana di Napoli. 
La kermesse  venne chiamata da tre sigle: Cps, Cub, Cpu. Rispettivamente: Comitati politici studenteschi, Comitati unitari di base, Comitati politici unitari, ovvero le sigle che componevano il movimento studentesco di allora e che erano vicini ad Avanguardia operaia, Lotta continua, Partito di unità proletaria per  il comunismo/il manifesto. 
«L'altra novità del periodo è il consumo collettivo della musica in grandi raduni collettivi che stanno a metà tra l'intrattenimento musicale e l'assemblea politica. non a caso in questo periodo spesso sono le stesse organizzazioni dell'estrema sinistra a organizzare questi grandi incontri: Licola, Parco Lambro, Villa Pamphili sono i "luoghi" dove si ritrova la maggior parte delle formazioni e dei protagonisti del movimento progressive». [3]
Il prog è il genere di quella fase storica. Almeno alle orecchie del me tredicenne a cui un compagno di scuola fece ascoltare "In a gadda da vida" nel cortile gigante del Liceo Kant di Roma. Sonorità lisergiche, intenzioni parimenti psichedeliche ma comunque tese tutte alla sperimentazione e al voler dimostrare la forza del movimento giovanile di quella fase. Contestazione, certo, soprattutto ricerca di nuove forme. In altre parole: altroché riottismo, rivoluzione. 
 
Giusto per non lasciare idealmente "vuota" la sezione di contestualizzazione del confronto ideologicamente e politicamente muscolare tra Pci ed extraparlamentari, va segnalata «l'Unità» dell'11 luglio 1976: la pagina 16 è interamente dedicata al festival della Federazione giovanile comunista italiana (Fgci) che si sarebbe tenuta a Ravenna. In apertura gli Inti Illimani, Lucio Dalla, Enzo Jannacci, Giovanna Marini ma anche I gatti di vicolo miracoli, Eugenio Finardi e un certo Francesco Guccini.
«[...] C'è chi ha detto che Ravenna vuole essere una risposta a Licola, a Parco Lambro, alle "feste del proletariato giovanile" organizzato da gruppi extraparlamentari. C'è anche chi ha parlato di sfida, di dispetto, Ravenna evidentemente vuole essere qualcosa di diverso: vuole essere l'inizio di una discussione, di un dibattito, di una riflessione sulle "feste" giovanili, su questo modo di stare insieme, di comunicare. Dice Gianni Borgna della Fgci: "Noi abbiamo sentito la necessità di fare questo primo festival nazionale dei giovani proprio perché in questi anni sono state moltissime le iniziative di questo tipo [...]". Detto questo è necessario chiarirsi un po' le idee su cosa devono essere in concreto queste feste. Se c'è il dato nuovo generazionale rappresentato da iniziative che richiamano l'attenzione dei settori più avvertiti dell'opinione pubblica (non è un caso che le manifestazioni come quella di Parco Lambro siano finite sulle prima pagine di giornali e riviste), se tutto questo è sintomatico della crescita di un movimento bisogna pure, dicono i dirigenti della Fgci, che, da comunisti, diamo una risposta agli interrogativi che nascono [...]». [4]
Che ci si creda o meno, Alan Sorrenti inizialmente fu un esponente del prog italiano e sperimentò moltissimo nei suoi primi due dischi: "Aria" e "Come un vecchio incensiere all'alba di un villaggio deserto". Non solo: veniva invitato a molte rassegne alternative, per usar linguaggio contemporaneo, proprio perché rompeva con la tradizione del cantato fino a quel momento. 
 
Dal Corriere della Sera del 13 giugno 1974:
«"È inutile che protestiate - sbraitava al microfono Massimo Villa, presentatore del Quarto Pop Festival di Re nudo - perché non rispettiamo il programma stabilito, perché l'amplificazione non è perfetta, e così via. Sono gli aspetti di una organizzazione necessariamente empirica ma che è l'unica possibile se vogliamo rimanere affrancati dai padroni della musica". [...] Sempre ieri si sono esibiti i St. Just, i Biglietto per l'inferno e Alan Sorrenti che ha ottenuto un grande successo col suo inconsueto "cantar gorgheggiando"». [5]
Che c'entra Alan Sorrenti con le feste del proletariato giovanile?
La domanda potrebbe apparire provocatoria, così come l'eventuale cinica risposta: "potrebbe non saperlo neanche lui". 
Come accennato prima, Sorrenti inizialmente aveva abbracciato la sperimentazione musicale diventando (suo malgrado? ex post forse sì) un cantante di nicchia e quasi d'avanguardia, per certi versi. Canzoni lunghissime, vocalismi e gorgheggi, tematiche oniriche e non. 

Lo invitarono al festival di Licola nel 1975 ma non andò bene per niente.
«Alan, che allora faceva progressive, eseguì un brano vocale sperimentale che durò sette minuti, il brano era anche interessante per le sue sperimentazioni, ma dopo circa due minuti iniziarono i primi fischi, dopo due minuti e mezzo le prime monetine sul palco, dopo quattro volarono le zolle di terra e dopo sei abbiamo dovuto interrompere il concerto e portare via Alan con il servizio d'ordine perché rischiava il linciaggio; il pubblico aveva inteso come provocazione quel brano così lungo e particolare». [6]
Lo stesso Sorrenti al «Mattino» ebbe modo di ricordare: 
« [...] dopo i fischi presi al Festival della gioventù studentesca di Licola del ‘75 dove venni sommerso dalle lattine, sino a dover interrompere l’esibizione. Per qualcuno ero troppo sperimentale, per altri troppo politico: non ero un militante, ma un esploratore, volevo andare oltre il prog di “Aria” e “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto". [...] Ai corifei di Lenin, Marx e Mao anche quello era sembrato un tradimento della causa [Sorrenti nel terzo LP aveva inciso "Dicitencelle Vuje"]. Mi piaceva lavorare sulle mie radici, sulla mia cultura. Ma anche guardare al mondo: ero stato in Nepal, ero tornato dall’Africa con registrazioni preziose per il mio prof. di etnomusicologia al Dams, Roberto Leydi, e la voglia di aggiungere ritmo alle mie armonie vocali, ero pronto per l’America, terra promessa di noi rockettari della periferia del villaggio globale». [7]
Stoccata finale a parte, l'incontro con gli States consegnò una produzione completamente diversa: da lì nacque "Figli delle stelle". 
«Da quel momento non mise più piede nei circuiti alternativi, andò in America e poi passò alla musica pop con "Figli delle Stelle"». [8]
Locandina del film autobiografico diretto da Carlo Vanzina

Tutta questa storia solo per scrivere della singolarità dell'evento in sé: Sorrenti al festival del proletariato giovanile, dagli extraparlamentari, mentre gorgheggia e viene portato via col servizio d'ordine.

Figlio delle stelle che forse, in quel caso, erano anche un po' meteore.
O zolle di terra. 

[C'è ancora tempo per un riferimento di nicchia. In "Pane e Tulipani" di Silvio Soldini, 2000, il figlio lontano di Fernando Girasole si chiama Alan: «mia moglie all'epoca nutriva un debole per Alan Sorrenti».]

 
 
Note
[1]  Pasquale Miniero, basso e chitarra del Canzoniere del Lazio intervistato nel libro di Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.
[2] https://www.valsassinanews.com/2010/10/09/la-storiasettembre-1971-re-nudo-pop-festival-a-montalbano/
[3] Felice Liperi, Storia della canzone italiana, Rai Eri, 2016.
[4] Paolo Gambescia, Nove giorni insieme tra musica e politica, «l'Unità» 11 luglio 1976.
[5] M.L.F. Più folk che pop per i quindicimila di Parco Lambro, «Corriere della Sera», 1974.
[6] Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.
[7] Federico Vacalebre, Alan Sorrenti e i «Figli delle stelle»: «Quel disco fu uno choc per tanti», «il Mattino», 28 ottobre 2017.
[8] Gerardo Casiello, Riprendiamoci la musica, Iacobelli editore, 2022.

"Queo esssisssiano"

Altavilla Vicentina (precisamente Tavernelle). Esterno giorno.

Entro in un'edicola e mi fissano tutti: dall'edicolante all'anziano che compra "Il giornale di Vicenza" è tutto un muovere i muscoli del collo in direzione di questo tizio stranissimo che entra con lo zaino in spalla e il sigaro spento tra le labbra.
Arriva il mio turno, chiedo il giornale ma quello che cerco non ce l'hanno. Colpa della distribuzione, dicono.
Poi l'edicolante mi fa: «Ti te somigli proprio a queło esssisssiano, come se ciama...», e un altro dietro che faceva finta di leggere le prime pagine di quotidiani che arrivano - invece - solo ad Altavilla ("Le ali della libertà", ad esempio): «Patrick Zaki», pronuncia sornione e senza minimamente distogliere lo sguardo dai suoi titoli.
«Ecco!», proferisce in tono di trionfo l'edicolante, tendendo la mano aperta verso di me, come a dire "avevo la risposta sulla punta della lingua". 

Ostinato, vado anche all'altra edicola alla fine della cittadina alla ricerca del benedetto quotidiano. Pongo la stessa domanda, ricevo la stessa risposta.
«Eh no, xe cołpa dełła distribussione», manco qua c'è.
Rassegnato mi avvio alla macchina ma una voce mi inchioda sull'uscita. Un'anziana loquace signora, in evidente cerca di orecchie che la ascoltino, due quotidiani in mano e Famiglia cristiana sotto al braccio, mi fa: «Ti xe uguałe a mio nipote Fiłippo. Ma più di lui sai a chi somigli?». Avevo già capito dove volesse andare a parare ma, proditoriamente, difendendomi come gli istrici mostrando gli aculei, dunque accentuando ancora di più la calata romana, dico: «E se o sapessi, signò: dica».
Noncurante di aver avuto a che fare con un terrone, riprende i fili del suo pensiero, fissandomi sempre negli occhi: «A queo esssisssiano, come se ciama...»
E l'edicolante: «Xe vero, xe identico a Zaki!!!».
Già me lo vedo, domani, il comune di Altavilla esporre il cartello giallo e nero di Amnesty International:
«GRAZIE ITALIA ABBIAMO RITROVATO PATRICK ZAKI CHIEDEVA UN GIORNALE VAGAMENTE DI SINISTRA AD ALTAVILLA».

Terre rare, è ‘battaglia legale’ per il giacimento di Kuannersuit (Kvanefjeld)

Continua la lotta incessante per la ricerca, dunque l’individuazione e l’estrazione, delle terre rare. Stavolta non accade in America Latina (celebre ormai lo scambio di tweet tra Elon Musk e l’allora presidente boliviano Evo Morales) ma in Groenlandia. La società australiana Energy transitions minerals Ltd (già Greenland minerals limited) vorrebbe procedere per vie legali per il progetto di ricerca di terre rare a Kuannersuit (Kvanefjeld in danese).

In una nota diffusa dall’agenzia Reuters il 20 luglio [2023]: «La società Etm ha dichiarato [giovedì 14 luglio ndt] di aver presentato un’istanza di reclamo presso il tribunale di Copenaghen» affinché si stabilisca riguardo il «diritto legale di poter ottenere una licenza per lo sfruttamento»1 del bacino di Kuannersuit (Kvanefjeld).

Stando al quotidiano groenlandese «Sermitsiaq»: 
«La richiesta di risarcimento presentata dalla Etm al tribunale arbitrale della Danimarca è di 76 miliardi di corone danesi» in conseguenza del rifiuto del governo groenlandese di procedere affermativamente con qualsiasi tipo di attività estrattiva. L’istanza è «lunga più di cinquecento pagine e comprende fino a mille appendici»2.
Nel comunicato stampa prodotto dalla società si legge che il soggetto della controversia sarebbe la società Greenland Minerals controllata al 100% da Etm e sarebbe titolare «di licenza di esplorazione»3, legata all’individuazione di terre rare a Kuannersuit.

Ma andiamo con ordine.

Kuannersuit è il sesto giacimento di uranio al mondo, ma è anche il sito più ricco di terre rare di tutto il globo. Secondo stime effettuate dalla stessa società Etm4 si sostiene che vi si possa trovare «oltre un miliardo di tonnellate di risorse minerarie nell’area»5 in particolare il neodimio, materiale importantissimo perché impiegato nella realizzazione di nuove tecnologie nonché di auto elettriche. Proprio per questo Donald Trump, già Presidente Usa, aveva pubblicamente dichiarato l’interesse all’acquisto dell’intera isola, suscitando indignazione da più parti, non solo in Groenlandia.

Inizialmente il partito socialdemocratico Siumut, ininterrottamente al governo del paese dal 1979, aveva acconsentito all’interlocuzione con la società nonché a generici progetti di individuazione ed estrazione. Due anni fa, 2021, le elezioni le vince il partito di sinistra radicale e indipendentista Inuit Ataqtigiit (Ia). In Italia Ia viene subito catalogato come “ambientalista”: in realtà Inuit Ataqtigiit (che tradotto significa “Comunità Inuit”) vince grazie ad una piattaforma nettamente di rottura con il precedente esecutivo socialdemocratico. Mute Egede, che ‘allora’ di anni ne aveva trentaquattro, era stato designato come candidato di Ia e durante la campagna elettorale ebbe modo di dichiarare la propria contrarietà – nonché quella del partito - ad ogni progetto di attività estrattiva nel Paese anteponendo la questione perfino all’indipendenza integrale dalla Danimarca. Il regime di autogoverno, per una volta, non venne troppo contestato: prima la salute, si era detto in quella campagna elettorale. Una volta al governo Ia ha chiuso completamente la questione arrivando a promulgare una legge apposita6 contro le attività estrattive. La norma (Act 20) è ora contestata dalla società australiana per cui viene affermata la non scientificità da parte dell’azienda che «dopo quattordici anni di lavoro in collaborazione» viene messa alla porta.

Si legge ancora nell’articolo pubblicato da «Sermitsiaq»: 
«Secondo la società [Etm], il Naalakkersuisut [Governo autonomo] ha confermato per iscritto nell'aprile 2020 che Energy Transition Minerals soddisfaceva i requisiti per ottenere la licenza. In questo caso si fa riferimento al fatto che il Ministero delle risorse minerarie» avesse acconsentito e approvato le relazioni sull’impatto ambientale e sull’uomo. «Tuttavia, questo non equivale all'ottenimento di una licenza», chiosa Lindstrøm nell’articolo, «ma solo a un altro passo nel processo verso [l’elaborazione di una] decisione».
C’è di più: secondo il governo groenlandese, stando alle fonti di «Sermitsiaq», il tribunale arbitrale di Copenaghen presso cui si è rivolta la società Etm non ha la competenza per giudicare il caso.

Duro il commento di Ia:  
«È vero che la collaborazione ha avuto luogo [coi governi passati ndt] e che è stata fornita una base normativa che consentirebbe l'utilizzo dell'uranio in Groenlandia. Ma in nessun momento si può affermare che la società abbia una giustificata aspettativa di ottenere un permesso per lo sfruttamento dell’area», ha dichiarato Naaja Nathanielsen, componente del governo.

NOTE:

1s.n., Australia’s Energy transition files claim for Greenland rare earth project licence, 20 luglio 2023, «Reuters», <https://www.reuters.com/business/energy/australias-energy-transition-files-claim-greenland-rare-earth-project-licence-2023-07-20/>.

2Merete Lindstrøm, Kuannersuit: ETM har opgjort erstatnigskrav til 76 miliarder, 20 luglio 2023, «Siumut.ag», <https://sermitsiaq.ag/kuannersuitetm-opgjort-erstatningskrav-76-milliarder>.

3Qui il testo della dichiarazione [in inglese]: https://wcsecure.weblink.com.au/pdf/ETM/02688604.pdf.

4Questa la stima di minerali che venne realizzata nel 2015 da Etm e rintracciabile sul sito dell’azienda stessa: https://etransmin.com/wp-content/uploads/Mineral-Resource-Table-February-2015-ETM.pdf.

5https://etransmin.com/kvanefjeld-project/.

6Qui il testo della legge [in inglese]: https://govmin.gl/wp-content/uploads/2022/01/Uranlov-ENG.pdf.

L'altro mondo impossibile - Atlante Editoriale

«Genova ha cambiato molto la mia vita. Stranamente ciò che ha cambiato la mia vita è la sensazione di essere stata miracolata. Sono rimasta indenne, mentre attorno a me le persone cadevano e venivano massacrate di botte»
racconta Leyla Dakhli, giovane attivista francese di origine tunisina, ad Alexis Mital Toledo e Eric Jozsef, autori del documentario Gêne(s)ration del 2002, inedito in Italia. Ha lo sguardo spento, Leyla, mentre parla dei giorni del suo luglio 2001. Guarda fuori dal finestrino di un treno fermo su un binario, assorta e malinconica.
Il sogno spezzato della giovane Leyla è lo stesso delle trecentomila persone che, dal 14 al 22 luglio 2001, si incontrarono in una Genova militarizzata rispondendo all’appello del Genoa Social Forum, rete internazionale di 1187 organizzazioni tra attivisti ambientalisti, pacifisti, del mondo cattolico, delle ONG e dei centri sociali e femministe per discutere di clima, diritto alla salute, acqua pubblica, pace, ambiente, sviluppo sostenibile e giustizia, agricoltura e sovranità alimentare, proponendo soluzioni di segno opposto rispetto alle ricette del Gruppo degli otto paesi più economicamente avanzati. In opposizione al G8, quindi, che dal 19 al 22 luglio 2001 si riuniva nel Palazzo Ducale di Genova.
Ripercorrere a ventidue anni di distanza gli avvenimenti che si svolsero in quei giorni non è un semplice esercizio della memoria. È importante perché ci parla del presente: da una parte, i temi del Genoa Social Forum sono i temi del nostro presente; dall’altra, i protagonisti di quelle giornate non sono così distanti da noi. Il governo di allora infatti, presieduto da Silvio Berlusconi, santificato alla morte dall’attuale governo, è lo stesso sotto il cui mandato si verificò quella che Amnesty International definì come
«la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale».
Una rappresentazione – sia concesso – ironica ma non troppo del clima che si respirava quei giorni la fornisce il «Corriere della Sera» del 30 giugno 2001. A pagina 6 campeggia il titolo che fa riferimento all’aspetto della città, tutt’altro che “tirata a lucido”, per cui Berlusconi, allora Primo Ministro, cercava di suonare la carica sulle tempistiche dei lavori. Sulla destra un piccolo trafiletto: a Genova è stata rubata un’ambulanza ed è scattato l’allarme. 
«Ogni mezzo, soprattutto quelli pubblici, potrebbe essere mimetizzato e usato per “sfondare” le barriere di sicurezza. […] I residenti dovranno comunicare se ospitano stranieri e “denunciare” qualsiasi variazione ai dati forniti durante il censimento».
La tensione era palpabile e anche quel che parrebbe essere stato un semplice allarme di un tentato furto, aveva fatto riaccendere la proverbiale miccia attorno alla “città blindata”. In basso a destra due articoli: 
«La rivoluzione in videogames: si chiama “Red faction” ed è il primo videogioco dedicato alla lotta di classe. Sta per arrivare in Italia ed è già diventato un fenomeno di culto nei centri sociali di mezza Europa […] i contestatori utilizzano “Red faction” come allenamento»[1].
Taglio basso: 
«I figli della borghesia romana si preparano: maturità, poi tutti al G8»[2]. Il racconto della politica di quei giorni non può che partire dalla considerazione che Fabrizio Caccia produceva nell’articolo: la Roma bene, per sua stessa natura decadente nonché filo-progressista più per volere del luogo comune che in ossequio alla realtà, agli occhi disincantati e giudicanti dei più, si preparava in massa e in marcia a prendere parte alle realtà del movimento che dalla Capitale si sarebbe spostato a Genova il mese successivo.
Pier Ferdinando Casini in quei giorni diceva che «i genovesi devono poter girare liberi nella loro città», l’allora Presidente della Camera dei Deputati faceva riferimento evidentemente alla “città blindata” in vista dei cortei. «Era un po’ sgarrupata [Genova] ma adesso va molto meglio», diceva Berlusconi il 15 luglio, 
«la città arriverà preparata all’appuntamento della prossima settimana, anche se si tratta di un appuntamento difficile»[3].
Il Primo Ministro, nei giorni precedenti ai fatti, girava per la città e rilasciava dichiarazioni come ormai aveva abituato gli italiani: 
«Le manifestazioni di protesta contro le riunioni del G8 sono paradossali. Si discuterà proprio dei temi che i contestatori sollevano. Tra questi la povertà nel mondo, le grandi malattie che si devono combattere, la necessità di non far morire più la gente di fame e di non lasciare nessuno nell’analfabetismo. Un altro tema fondamentale sarà quello dell’ambiente […]».
Che ventidue anni dopo avremmo ricordato quei giorni durante una violentissima ondata di caldo causata proprio dal cambiamento climatico che quel G8 aveva la responsabilità di fermare, Berlusconi non poteva saperlo.
Di certo, gli unici incontri in cui si affrontò seriamente il tema del surriscaldamento globale furono quelli del Genoa Social Forum. I movimenti presenti e repressi con la violenza a Genova sono cruciali per il presente proprio perché affrontarono per primi questioni oggi dirimenti, tra tutte quella ambientale e la tutela dei migranti. I movimenti ambientalisti che caratterizzano il nostro presente, dal Friday For Future a Last Generation, sono insomma figli di quel movimento altermondialista di cui faceva parte la generazione di Leyla, così come le ONG che ogni giorno salvano le vite di migliaia di migranti che tentano di superare indenni le alte mura e il mare profondo di un’Europa sempre più chiusa in sé stessa.
Soprannominato erroneamente dai media movimento no-global, il movimento altermondialista che lottava con lo slogan “un altro mondo è possibile” e che, come Leyla, lottava per il benessere, il progresso e i diritti umani di tutti, rappresentava le istanze del popolo di Seattle. Sorto nel 1988 a Berlino dove si teneva la conferenza del Fondo Monetario Internazionale, il movimento si diede poi appuntamento a Parigi, Madrid, Londra e, appunto, a Seattle, dove il 30 novembre 1999 sfilò la prima grande manifestazione di protesta e si verificarono degli scontri tra polizia e manifestanti. Come accade anche oggi nella narrazione mediatica dei gruppi ambientalisti, già allora il racconto giornalistico si concentrò principalmente sulle azioni di protesta.
A Genova tuttavia il sistema di informazione fallì su tutti i fronti, pubblicando (senza verificarne la veridicità) le informazioni false fornite dai servizi segreti, cui la politica diede credito: si parlò di 
«palloncini con sangue umano infetto da lanciare sui manifestanti; copertoni di auto da lanciare infiammati sulle colline di Genova, l’affitto di un canale satellitare per divulgare la protesta a livello mondiale; buste di plastica con sangue di maiale da lanciare sulle forze dell’ordine per disorientarle e la predisposizione di due testuggini umane, formate da ottanta manifestanti ciascuna». 
Fatti che, ovviamente, non si verificarono mai. Significativo, quanto amaramente ironico, fu l’articolo di Norma Rangeri su «il manifesto» del 20 luglio 2001 in cui la giornalista poneva l’accento sulla natura dei servizi telegiornalistici: 
«Non è successo ancora nulla (o quasi) ma se la notizia non c’è si trova. […] si può occupare tempo e denaro (il nostro) per mostrare [in televisione] i poliziotti che perquisiscono i genovesi ai valichi della zona-rossa senza trovare nulla. Quel nulla che basta e avanza per consumare due o tre minuti spiegando che si “perquisisce una borsa sospetta”. Ora una borsa è una borsa, specialmente se quella inquadrata è un classico (e anche elegante) cestino di cuoio per signora. Oppure si può andare dal prete che, di fronte alla telecamera, non vuole perdere i suoi secondi di celebrità e spara sciocchezze a salve (“meglio non celebrare matrimoni per evitare assembramenti e sommosse”). Oppure ci si può collegare con la sala stampa (naturalmente deserta) per giocare d’anticipo (“presto si riempirà”)»[4].
Pare non essere cambiato nulla, da quel giorno, in quanto alla diffusione di aprioristiche tensioni
«Il meccanismo è infernale: la conduttrice in studio riassume i fatti, passa la parola all’inviato-capo (si riconosce perché si fa riprendere con le navi alle spalle) che, a sua volta, ripete il riassuntino, poi la linea va ai cronisti che buttano il microfono sotto il naso di chiunque, pur di saziare la fame prepotente di sette emittenti nazionali per un’offerta di una trentina di edizioni di tg al giorno»[5].
I giorni di Genova del 2001 rappresentarono per il movimento altermondialista un punto di non ritorno. Finì a Genova, il primo movimento di massa della storia che non chiedeva niente per sé, come lo definì la politologa Susan George, a colpi di pistola e manganello. Con l’uccisione di Carlo Giuliani, 23 anni, a piazza Alimonda, con le violenze della polizia, agite indiscriminatamente sui manifestanti, che portarono al ferimento di circa milleduecento persone. Terminò con le torture della scuola Diaz (93 le persone abusate) e nella caserma di polizia di Bolzaneto: gli agenti resteranno impuniti, perché in Italia il reato in questione esiste solo dal 2017 (e che, ora, il governo Meloni vuole abrogare). Solo nel 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo stabilì i risarcimenti per le vittime e chiarì che alla Diaz le torture ci furono per davvero.
 

Il “giorno dopo”

«Se verranno individuati abusi, violenze ed eccessi, non vi sarà copertura per chi ha violato la legge. Ma siamo tutti convinti che non si deve confondere chi ha aggredito e chi è stato aggredito, chi ha difeso la legge e ha cercato di tutelare l’ordine e chi, invece, contro quest’ordine si è scagliato»[6], così disse in Senato il Primo Ministro Silvio Berlusconi, come annotava certosinamente Ida Dominijanni del «manifesto». Nel ventennale dai fatti di Genova Fabrizio Cicchitto scrisse un lungo articolo sui responsabili del G8 oltre Berlusconi e Scajola che venne pubblicato dal «Riformista» (quello di Sansonetti, nda). Le responsabilità sarebbero state anche di altri e, il già componente del Copasir e vice capogruppo di Forza Italia alla Camera di quella Legislatura, additava tutto l’arco parlamentare nell’introduzione dello scritto: 
«Una catena di errori politici commessi dal governo D’Alema, dal governo Amato, da quello di Berlusconi, dal PDS, da Rifondazione Comunista e da AN, gravissimi errori gestionali e comportamentali da parte dell’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro e dal comandante dell’Arma dei Carabinieri Sergio Siracusa, l’irruzione di un mucchio selvaggio costituito da migliaia di manifestanti che non erano solo degli angeli, ma fra i quali c’era di tutto – pacifisti, contestatori razionali, praticanti della guerriglia urbana, black bloc – ha portato ad un autentico disastro nel quale ci fu la distruzione sistematica di pezzi della città, una durissima guerriglia urbana, il massacro da parte delle forze dell’ordine di dimostranti inermi, l’uccisione di Carlo Giuliani, la macelleria messicana praticata alla Diaz e a Bolzaneto»[7]. Poco importa se Berlusconi avesse dichiarato all’inizio della conferenza stampa a seguito dei noti fatti come non ci furono state «falle importanti»[8]
Cicchitto, ex post, rincara la dose: 
«Due conclusioni. Anche per una questione di intelligenza politica e di credibilità internazionale, la linea del governo Berlusconi era per la mediazione e per il dialogo, certamente non per la repressione e per la macelleria messicana. Al netto, però, di tutte le successive vicende giudiziarie, ma per una valutazione politica di merito su quello che era accaduto, subito dopo il G8 Berlusconi avrebbe dovuto sollevare dai loro incarichi il capo della Polizia De Gennaro e il comandante dell’Arma dei Carabinieri Siracusa: avrebbe dovuto farlo anche se essi, specie il primo, erano protetti da forze importanti e molto potenti della sinistra. Questa ricostruzione riguarda solo lo svolgimento dei fatti, in altra occasione faremo una riflessione sui massimi sistemi»[9]
Condire con sapiente uso del condizionale e riflessione ex post quanto basta, o q.b. per gli appassionati di blogging culinario. Da quella fase il mondo della narrazione contraria, o se vogliamo della “contro-narrazione” prodotta dai governi e dal (neo)liberismo, venne semplicemente soffocato. Il punto è dolente e tocca ancora oggi i destini e le sorti di un’alterità politica: orecchie e cuori non sono più in grado di prestare ascolto a quella che è una proposta alternativa all’uniformità del liberalismo politico dell’ultimo quindicennio. 
Le strade si sono divise per la manifestazione del pensiero contrario: il dopo Genova ha portato la risacca nei cuori delle generazioni successive. 
Arrendevolezza in potenza, anche contro il proprio istinto.  
Il mondo è cambiato quel giorno perché chi ha avuto il coraggio di parlare ed è sceso in piazza, ha smesso di farlo dopo quanto accaduto. La costruzione dell’alterità sociale e politica è stata messa sotto scacco ancor prima che essa potesse tradursi in azione sebbene la questione ambientale sia tutt’ora uno dei temi che più vengono trattati tanto dai movimenti quanto dalla stampa, pure mainstream. 
 
Ma il bivio è stato segnato: chi contesta è anche tollerato (non sempre, s’intende) purché rimanga nell’alveo del dialogo istituzionale e porti la sua contestazione ad un tavolo di confronto sanciti da strette di mano e fotografie di rito. Purché non si tracci un’altra strada ideologica: anticapitalismo non può essere collegato ad ambientalismo così come a nessun altro grande tema settoriale di cui, di tanto in tanto, l’informazione sembra volersi occupare per dovere d’impaginazione. 
Gli slogan mutano e non si immagina neanche più un altro mondo possibile: improbabile anche sognarlo, teorizzarlo men che meno. L’ultima generazione suona la carica attuando, spesso, proteste che indignano l’opinione pubblica, la grande stampa e la politica ma il muro mediatico sembra essere insormontabile.
 
Articolo pubblicato su Atlante Editoriale: https://www.atlanteditoriale.com/laltro-mondo-impossibile-22-anni-dal-g8-di-genova/
 
NOTE
[1]     s.n. La rivoluzione in videogames, «Corriere della Sera», 30 giugno 2001. 
[2]     Fabrizio Caccia, I figli della borghesia romana si preparano: maturità, poi tutti al G8, «Corriere della Sera», 30 giugno 2001
[3]     Augusto Boschi, “Per me Genova è okay”, «il manifesto», 15 luglio 2001.  
[4]     Norma Rangeri, Ansie da audience ai tg del G8, «il manifesto», 20 luglio 2001. 
[5]     Ibidem. 
[6]     Ida Dominijanni, Parola di Berlusconi, «il manifesto», 28 luglio 2001.  
[7]     Fabrizio Cicchitto, Cos’è successo al G8 di Genova del 2001 e chi sono i responsabili oltre Berluscooni e Scajola, «Il Riformista», 22 luglio 2021.  
[8]     Ida Dominijanni, Parola di Berlusconi, «il manifesto», 28 luglio 2001.  
[9]     Fabrizio Cicchitto, Cos’è successo al G8 di Genova del 2001 e chi sono i responsabili oltre Berluscooni e Scajola

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