«Genova ha cambiato molto la mia vita. Stranamente ciò che ha cambiato la mia vita è la sensazione di essere stata miracolata. Sono rimasta indenne, mentre attorno a me le persone cadevano e venivano massacrate di botte»
racconta Leyla Dakhli, giovane attivista francese di origine tunisina, ad Alexis Mital Toledo e Eric Jozsef, autori del documentario Gêne(s)ration
del 2002, inedito in Italia. Ha lo sguardo spento, Leyla, mentre parla
dei giorni del suo luglio 2001. Guarda fuori dal finestrino di un treno
fermo su un binario, assorta e malinconica.
Il sogno spezzato della giovane Leyla è lo stesso delle trecentomila persone che, dal 14 al 22 luglio 2001, si incontrarono in una Genova militarizzata
rispondendo all’appello del Genoa Social Forum, rete internazionale di
1187 organizzazioni tra attivisti ambientalisti, pacifisti, del mondo
cattolico, delle ONG e dei centri sociali e femministe per discutere di
clima, diritto alla salute, acqua pubblica, pace, ambiente, sviluppo
sostenibile e giustizia, agricoltura e sovranità alimentare, proponendo
soluzioni di segno opposto rispetto alle ricette del Gruppo degli otto
paesi più economicamente avanzati. In opposizione al G8, quindi, che dal
19 al 22 luglio 2001 si riuniva nel Palazzo Ducale di Genova.
Ripercorrere a ventidue anni di distanza gli avvenimenti che si
svolsero in quei giorni non è un semplice esercizio della memoria. È
importante perché ci parla del presente: da una parte, i temi del Genoa
Social Forum sono i temi del nostro presente; dall’altra, i protagonisti
di quelle giornate non sono così distanti da noi. Il governo di allora
infatti, presieduto da Silvio Berlusconi, santificato alla morte
dall’attuale governo, è lo stesso sotto il cui mandato si verificò
quella che Amnesty International definì come
«la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale».
Una rappresentazione – sia concesso – ironica ma non troppo del clima
che si respirava quei giorni la fornisce il «Corriere della Sera» del
30 giugno 2001. A pagina 6 campeggia il titolo che fa riferimento
all’aspetto della città, tutt’altro che “tirata a lucido”, per cui
Berlusconi, allora Primo Ministro, cercava di suonare la carica sulle
tempistiche dei lavori. Sulla destra un piccolo trafiletto: a Genova è
stata rubata un’ambulanza ed è scattato l’allarme.
«Ogni mezzo, soprattutto quelli pubblici, potrebbe essere mimetizzato e usato per “sfondare” le barriere di sicurezza. […] I residenti dovranno comunicare se ospitano stranieri e “denunciare” qualsiasi variazione ai dati forniti durante il censimento».
La tensione era palpabile e anche quel
che parrebbe essere stato un semplice allarme di un tentato furto, aveva
fatto riaccendere la proverbiale miccia attorno alla “città blindata”.
In basso a destra due articoli:
«La rivoluzione in videogames: si chiama “Red faction” ed è il primo videogioco dedicato alla lotta di classe. Sta per arrivare in Italia ed è già diventato un fenomeno di culto nei centri sociali di mezza Europa […] i contestatori utilizzano “Red faction” come allenamento»[1].
Taglio basso:
«I figli della borghesia romana si preparano: maturità, poi tutti al G8»[2].
Il racconto della politica di quei giorni non può che partire dalla
considerazione che Fabrizio Caccia produceva nell’articolo: la Roma
bene, per sua stessa natura decadente nonché filo-progressista più per
volere del luogo comune che in ossequio alla realtà, agli occhi
disincantati e giudicanti dei più, si preparava in massa e in marcia a
prendere parte alle realtà del movimento che dalla Capitale si sarebbe
spostato a Genova il mese successivo.
Pier Ferdinando Casini in quei giorni diceva che «i genovesi devono poter girare liberi nella loro città», l’allora Presidente della Camera dei Deputati faceva riferimento evidentemente alla “città blindata” in vista dei cortei. «Era un po’ sgarrupata [Genova] ma adesso va molto meglio», diceva Berlusconi il 15 luglio,
«la città arriverà preparata all’appuntamento della prossima settimana, anche se si tratta di un appuntamento difficile»[3].
Il Primo Ministro, nei giorni precedenti ai fatti, girava per la
città e rilasciava dichiarazioni come ormai aveva abituato gli italiani:
«Le manifestazioni di protesta contro le riunioni del G8 sono paradossali. Si discuterà proprio dei temi che i contestatori sollevano. Tra questi la povertà nel mondo, le grandi malattie che si devono combattere, la necessità di non far morire più la gente di fame e di non lasciare nessuno nell’analfabetismo. Un altro tema fondamentale sarà quello dell’ambiente […]».
Che ventidue anni dopo avremmo ricordato quei giorni durante
una violentissima ondata di caldo causata proprio dal cambiamento
climatico che quel G8 aveva la responsabilità di fermare, Berlusconi non
poteva saperlo.
Di certo, gli unici incontri in cui si affrontò
seriamente il tema del surriscaldamento globale furono quelli del Genoa
Social Forum. I movimenti presenti e repressi con la violenza a Genova
sono cruciali per il presente proprio perché affrontarono per primi
questioni oggi dirimenti, tra tutte quella ambientale e la tutela dei
migranti. I movimenti ambientalisti che caratterizzano il nostro
presente, dal Friday For Future a Last Generation, sono insomma figli di
quel movimento altermondialista di cui faceva parte la generazione di
Leyla, così come le ONG che ogni giorno salvano le vite di migliaia di
migranti che tentano di superare indenni le alte mura e il mare profondo
di un’Europa sempre più chiusa in sé stessa.
Soprannominato erroneamente dai media movimento no-global, il
movimento altermondialista che lottava con lo slogan “un altro mondo è
possibile” e che, come Leyla, lottava per il benessere, il progresso e i
diritti umani di tutti, rappresentava le istanze del popolo di Seattle.
Sorto nel 1988 a Berlino dove si teneva la conferenza del Fondo
Monetario Internazionale, il movimento si diede poi appuntamento a
Parigi, Madrid, Londra e, appunto, a Seattle, dove il 30 novembre 1999
sfilò la prima grande manifestazione di protesta e si verificarono degli
scontri tra polizia e manifestanti. Come accade anche oggi nella
narrazione mediatica dei gruppi ambientalisti, già allora il racconto
giornalistico si concentrò principalmente sulle azioni di protesta.
A Genova tuttavia il sistema di informazione fallì su tutti i fronti, pubblicando (senza verificarne la veridicità) le informazioni false fornite dai servizi segreti, cui la politica diede credito: si parlò di
«palloncini con sangue umano infetto da lanciare sui manifestanti; copertoni di auto da lanciare infiammati sulle colline di Genova, l’affitto di un canale satellitare per divulgare la protesta a livello mondiale; buste di plastica con sangue di maiale da lanciare sulle forze dell’ordine per disorientarle e la predisposizione di due testuggini umane, formate da ottanta manifestanti ciascuna».
Fatti che, ovviamente, non si
verificarono mai. Significativo, quanto amaramente ironico, fu
l’articolo di Norma Rangeri su «il manifesto» del 20 luglio 2001 in cui
la giornalista poneva l’accento sulla natura dei servizi
telegiornalistici:
«Non è successo ancora nulla (o quasi) ma se la notizia non c’è si trova. […] si può occupare tempo e denaro (il nostro) per mostrare [in televisione] i poliziotti che perquisiscono i genovesi ai valichi della zona-rossa senza trovare nulla. Quel nulla che basta e avanza per consumare due o tre minuti spiegando che si “perquisisce una borsa sospetta”. Ora una borsa è una borsa, specialmente se quella inquadrata è un classico (e anche elegante) cestino di cuoio per signora. Oppure si può andare dal prete che, di fronte alla telecamera, non vuole perdere i suoi secondi di celebrità e spara sciocchezze a salve (“meglio non celebrare matrimoni per evitare assembramenti e sommosse”). Oppure ci si può collegare con la sala stampa (naturalmente deserta) per giocare d’anticipo (“presto si riempirà”)»[4].
Pare non essere cambiato nulla, da quel giorno, in quanto alla diffusione di aprioristiche tensioni:
«Il meccanismo è infernale: la conduttrice in studio riassume i fatti, passa la parola all’inviato-capo (si riconosce perché si fa riprendere con le navi alle spalle) che, a sua volta, ripete il riassuntino, poi la linea va ai cronisti che buttano il microfono sotto il naso di chiunque, pur di saziare la fame prepotente di sette emittenti nazionali per un’offerta di una trentina di edizioni di tg al giorno»[5].
I giorni di Genova del 2001 rappresentarono per il movimento
altermondialista un punto di non ritorno. Finì a Genova, il primo
movimento di massa della storia che non chiedeva niente per sé, come lo definì
la politologa Susan George, a colpi di pistola e manganello. Con
l’uccisione di Carlo Giuliani, 23 anni, a piazza Alimonda, con le
violenze della polizia, agite indiscriminatamente sui manifestanti, che
portarono al ferimento di circa milleduecento persone. Terminò con le torture della scuola Diaz (93 le persone abusate) e nella caserma di polizia di
Bolzaneto: gli agenti resteranno impuniti, perché in Italia il reato in
questione esiste solo dal 2017 (e che, ora, il governo Meloni vuole abrogare). Solo nel 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo stabilì i risarcimenti per le vittime e chiarì che alla Diaz le torture ci furono per davvero.
Il “giorno dopo”
«Se verranno individuati abusi, violenze ed eccessi, non vi sarà
copertura per chi ha violato la legge. Ma siamo tutti convinti che non
si deve confondere chi ha aggredito e chi è stato aggredito, chi ha
difeso la legge e ha cercato di tutelare l’ordine e chi, invece, contro
quest’ordine si è scagliato»[6], così disse in Senato il Primo Ministro Silvio Berlusconi, come annotava certosinamente Ida Dominijanni del «manifesto».
Nel ventennale dai fatti di Genova Fabrizio Cicchitto scrisse un
lungo articolo sui responsabili del G8 oltre Berlusconi e Scajola che
venne pubblicato dal «Riformista» (quello di Sansonetti, nda).
Le responsabilità sarebbero state anche di altri e, il già componente
del Copasir e vice capogruppo di Forza Italia alla Camera di quella
Legislatura, additava tutto l’arco parlamentare nell’introduzione dello
scritto:
«Una catena di errori politici commessi dal governo D’Alema, dal governo Amato, da quello di Berlusconi, dal PDS, da Rifondazione Comunista e da AN, gravissimi errori gestionali e comportamentali da parte dell’allora capo della Polizia Gianni De Gennaro e dal comandante dell’Arma dei Carabinieri Sergio Siracusa, l’irruzione di un mucchio selvaggio costituito da migliaia di manifestanti che non erano solo degli angeli, ma fra i quali c’era di tutto – pacifisti, contestatori razionali, praticanti della guerriglia urbana, black bloc – ha portato ad un autentico disastro nel quale ci fu la distruzione sistematica di pezzi della città, una durissima guerriglia urbana, il massacro da parte delle forze dell’ordine di dimostranti inermi, l’uccisione di Carlo Giuliani, la macelleria messicana praticata alla Diaz e a Bolzaneto»[7]. Poco importa se Berlusconi avesse dichiarato all’inizio della conferenza stampa a seguito dei noti fatti come non ci furono state «falle importanti»[8].
Cicchitto, ex post, rincara la dose:
«Due conclusioni. Anche per una questione di intelligenza politica e di credibilità internazionale, la linea del governo Berlusconi era per la mediazione e per il dialogo, certamente non per la repressione e per la macelleria messicana. Al netto, però, di tutte le successive vicende giudiziarie, ma per una valutazione politica di merito su quello che era accaduto, subito dopo il G8 Berlusconi avrebbe dovuto sollevare dai loro incarichi il capo della Polizia De Gennaro e il comandante dell’Arma dei Carabinieri Siracusa: avrebbe dovuto farlo anche se essi, specie il primo, erano protetti da forze importanti e molto potenti della sinistra. Questa ricostruzione riguarda solo lo svolgimento dei fatti, in altra occasione faremo una riflessione sui massimi sistemi»[9].
Condire con sapiente uso del condizionale e riflessione ex post quanto
basta, o q.b. per gli appassionati di blogging culinario.
Da quella fase il mondo della narrazione contraria, o se vogliamo
della “contro-narrazione” prodotta dai governi e dal (neo)liberismo,
venne semplicemente soffocato. Il punto è dolente e tocca ancora oggi i
destini e le sorti di un’alterità politica: orecchie e cuori non sono
più in grado di prestare ascolto a quella che è una proposta alternativa
all’uniformità del liberalismo politico dell’ultimo quindicennio.
Le strade si sono divise per la manifestazione del pensiero
contrario: il dopo Genova ha portato la risacca nei cuori delle
generazioni successive.
Arrendevolezza in potenza, anche contro il
proprio istinto.
Il mondo è cambiato quel giorno perché chi ha avuto il
coraggio di parlare ed è sceso in piazza, ha smesso di farlo dopo
quanto accaduto. La costruzione dell’alterità sociale e politica è stata
messa sotto scacco ancor prima che essa potesse tradursi in azione
sebbene la questione ambientale sia tutt’ora uno dei temi che più
vengono trattati tanto dai movimenti quanto dalla stampa, pure
mainstream.
Ma il bivio è stato segnato: chi contesta è anche tollerato
(non sempre, s’intende) purché rimanga nell’alveo del dialogo
istituzionale e porti la sua contestazione ad un tavolo di confronto
sanciti da strette di mano e fotografie di rito. Purché non si tracci
un’altra strada ideologica: anticapitalismo non può essere collegato ad
ambientalismo così come a nessun altro grande tema settoriale di cui, di
tanto in tanto, l’informazione sembra volersi occupare per dovere
d’impaginazione.
Gli slogan mutano e non si immagina neanche più un altro mondo
possibile: improbabile anche sognarlo, teorizzarlo men che meno.
L’ultima generazione suona la carica attuando, spesso, proteste che
indignano l’opinione pubblica, la grande stampa e la politica ma il muro
mediatico sembra essere insormontabile.
Articolo pubblicato su Atlante Editoriale: https://www.atlanteditoriale.com/laltro-mondo-impossibile-22-anni-dal-g8-di-genova/
NOTE
[1] s.n. La rivoluzione in videogames, «Corriere della Sera», 30 giugno 2001.
[1] s.n. La rivoluzione in videogames, «Corriere della Sera», 30 giugno 2001.
[2] Fabrizio Caccia, I figli della borghesia romana si preparano: maturità, poi tutti al G8, «Corriere della Sera», 30 giugno 2001
[3] Augusto Boschi, “Per me Genova è okay”, «il manifesto», 15 luglio 2001.
[4] Norma Rangeri, Ansie da audience ai tg del G8, «il manifesto», 20 luglio 2001.
[5] Ibidem.
[6] Ida Dominijanni, Parola di Berlusconi, «il manifesto», 28 luglio 2001.
[7] Fabrizio Cicchitto, Cos’è successo al G8 di Genova del 2001 e chi sono i responsabili oltre Berluscooni e Scajola, «Il Riformista», 22 luglio 2021.
[8] Ida Dominijanni, Parola di Berlusconi, «il manifesto», 28 luglio 2001.
[9] Fabrizio Cicchitto, Cos’è successo al G8 di Genova del 2001 e chi sono i responsabili oltre Berluscooni e Scajola
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