I bergamaschi in Bolivia. Una chiesa con il popolo [«L'Eco di Bergamo» del 31/10/23]

La seguente intervista è stata pubblicata sull'edizione cartacea de «L'Eco di Bergamo» del 31/10/2023. Felice e onorato di essere stato inserito nella pagina prima del Concilio, ho realizzato quest'intervista a Riccardo (pardon, Don Riccardo) quando io e Maria eravamo da lui in Bolivia.

Da Telgate a La Paz. Un viaggio, quello di Riccardo Giavarini (da poco don), che dura da 47 anni: «Sono qui da così tanto tempo che ormai mi sono innervato nella cultura di qui: non riuscirei a pensare di tornare in Italia". Questo è quello che si sente di dire quando qualcuno gli chiede se si senta ancora un missionario (nel senso stretto del termine). Eppure il legame che c'è tra Bergamo (e la sua provincia), La Paz, El Alto e altre località boliviane (Cochabamba, Santa Cruz e via dicendo) è più che evidente: basta andare alla parrocchia di Munaypata. Lì si viene accolti da un altro sacerdote bergamasco (Don Giovanni) e gli occhi occidentali arrivati in terra sudamericana non possono fare a meno di notare il grande murale che campeggia all'ingresso dell'edificio: "60 anni. Chiesa di Bergamo - Iglesia de Munaypata". Un legame talmente solido che nel 2022 ha compiuto, per l'appunto, il ragguardevole traguardo di sei decenni di cooperazione e collaborazione.  

«Prima di essere sacerdote sono stato quaranta anni insieme a mia moglie, Berta, morta di Covid due anni e mezzo fa» - ha raccontato Giavarini - «mi sento molto accompagnato da lei, anzi, non posso fare, organizzare e pensare progetti senza pensarla: sento forte la sua presenza e la relazione strettissima con lei»

La vita di Don Riccardo, basti notare il predicato anteposto, è cambiata dal giorno in cui ha deciso di riprendere in mano la vecchia idea del sacerdozio: «Ora ho una parrocchia alla periferia di El Alto, mi sto integrando al clero locale e nel frattempo mantengo gli impegni che già prima caratterizzavano l'agire quotidiano: il carcere minorile "Qalauma", dunque il tema della giustizia riparativa (insieme all'impegno analogo di Mario Mazzoleni a Santa Cruz); gli impegni legati alla Fundacion "Munacim Kullakita" [di cui ricopre la carica di direttore generale]; l'azione riguardante l'immigrazione di transito in Bolivia (di chi viene dal Venezuela, dalla Colombia, da Haiti per poter raggiungere il Cile o l'Argentina). Così come l'Italia.»  

L'unione che c'è tra Bergamo e La Paz è piuttosto sui generis e ha inizio nel 1962. Tu che ci vivi da quarantasette anni, potresti spiegarci com'è avvenuto questo sodalizio?
«Succede che durante i lavori del Concilio Vaticano II dei vescovi boliviani si sono recati da Papa Giovanni XXIII e gli hanno rivolto una richiesta esplicita di aiuto a causa dello scarso numero di preti presenti nel paese. Il Papa accoglie questa istanza e coinvolge immediatamente il vescovo di Bergamo, gli gira la richiesta dei vescovi boliviani e da lì è cominciato tutto. Tra i due pionieri bergamaschi c'era Don Berto Nicoli e da allora sono giunti qui più di trecento persone dalla bergamasca tra preti, suore e laici». 

Quali sono stati gli interventi maggiori nella società boliviana in questi decenni?
«Si sono costruiti ospedali, scuole, parrocchie, centri d'accoglienza e centri per l'infanzia per bambini orfani con problemi familiari. Quest’ultima realtà, la “Ciudad del nino” prima era attiva a La Paz e ora s’è spostata nel sud-est del paese, a Cochabamba».

Spesso le missioni - o i progetti conseguenti - vanno sfaldandosi se non c'è ricambio generazionale, in questo caso l'intervento bergamasco è andato sviluppandosi sempre più, come in un costante crescendo, o sbaglio?
«È proprio così: c'è stata fin da subito una sorta di alleanza tra Bergamo e il clero di qui. Le città coinvolte non sono state solamente El Alto e La Paz ma anche Cochabamba e Santa Cruz. Molti preti si sono recati anche in zone rurali e montane fronteggiando molteplici difficoltà ma, da bravi bergamaschi, hanno affrontato le asperità con coraggio e cuore».

Un sodalizio così forte che ha fatto nascere il 'Gruppo Bergamo' fin dai primi giorni di presenza nella capitale boliviana, quest'anno sono "sessantuno candeline".

«Ogni anno, a Pasqua e dopo il 2 novembre, ci incontriamo per un momento di ritiro, di studio della realtà nazionale e non solo. Stiamo parlando di un gruppo di residenti in Bolivia (attualmente circa 40) la cui porzione più folta tempo addietro era quella dei sacerdoti, ora la percentuale di laici è maggiore. Alcuni preti del gruppo sono stati anche eletti vescovi: Angelo Gelmi, Eugenio Scarpellini, Sergio Gualberti (arcivescovo di Santa Cruz), Eugenio Coter e sicuramente ne dimentico molti altri, ma il punto è che queste figure che ho citato hanno contribuito enormemente al rafforzamento dei rapporti tra la diocesi di Bergamo e la chiesa locale. L'altr'anno in occasione dei sessanta anni della presenza bergamasca a La Paz è venuto anche il vescovo Beschi proprio per celebrare questo anniversario».


E tu come ci sei finito qui?
«Sono arrivato qui da laico in alternativa al servizio militare ma comunque legato al "Gruppo Bergamo", che già esisteva da qualche anno: era il 1976».

Come si è svolta la tua attività in quest'altra parte di mondo?
«Dapprima sono stato a La Paz, poi a Cochabamba, sempre con l'idea di continuare gli studi di teologia, dato che in Italia avevo conseguito la maturità classica in seminario. Dopodiché nella pastorale giovanile ho conosciuto quella che poi sarebbe diventata mia moglie: Berta. Da quel momento è cambiato l'orientamento vocazionale».

Certo è che negli anni '70 e '80 in Bolivia la situazione socio-politica non era molto stabile...
«Era il periodo delle dittature. C'era molta instabilità sociale, politica ed economica e durante l'ultimo colpo di stato sono riuscito a fuggire alla vigilia del golpe e non sono più potuto rientrare in Bolivia - insieme ad altri - per un periodo di tempo: ero schedato ed eravamo minacciati. Facevamo resistenza al regime dei militari: accoglievamo dirigenti dissidenti e li nascondevamo; facevamo formazione politica ai ragazzi; resistevamo partecipando anche ai movimenti sociali. Personalmente ho anche partecipato a uno sciopero della fame condotto dalle dirigenti minatrici che protestavano contro il generale Banzer Suarez (il cui golpe fu nel 1971) e in poco tempo questo movimento si è esteso in tutto il Paese».


Tu dove ti trovavi in quel periodo?

«Ero a Cochabamba ma subito mi sono attivato per prendere parte a questo movimento sociale molto vasto e diffuso in tutto il paese. E con lo sciopero della fame chiedevamo elezioni libere, il rientro di minatori esiliati, lo ‘stop’ alla repressione per i movimenti sociali, la libertà di associazione e via dicendo».


Il "Gruppo Bergamo" ha preso parte alla vita sociale e politica boliviana a tutti i livelli, non solamente nell'ambito religioso, dunque?
«Assolutamente. C'erano anche preti piuttosto impegnati politicamente in quanto formavano quadri dirigenti dell’Ipsp (‘Instrumento politico por la soberania de los pueblos’) cioè il movimento che ha dato vita al Mas (‘Movimiento al socialismo’), attuale partito di governo. Si impegnavano a proteggere le persone più esposte come alcuni dirigenti sindacali e li nascondevano nelle parrocchie o li facevano scappare in Perù. In quel periodo, poi, andavamo nelle carceri di massima sicurezza a incontrare e parlare con i prigionieri politici e le loro famiglie. Avevamo sviluppato un vero e proprio movimento di resistenza: il Monsignor Manrique (allora arcivescovo di La Paz) si era posto addirittura davanti ai carri armati dei militari per frenare con il suo corpo la violenza e la prepotenza dei militari».

Una chiesa che prende parte, una chiesa totalmente differente dal ruolo che spesso ha interpretato in America Latina nei confronti delle dittature cilene, ad esempio.
«Era una chiesa molto più coraggiosa, oserei dire. Una chiesa che ha pagato di persona, basti ricordare il martirio di Luiz Espinal, così come Alfonso Romero in altri contesti. Ma Espinal, gesuita e giornalista, aveva fondato un giornale che si chiamava ‘Aquì’ in cui denunciava forme di violenza, torture, casi di desaparecidos, chiusura dei mezzi di comunicazione e via dicendo. Durante l'ultimo colpo di stato, ad opera di Garcia Mesa, è stato torturato e brutalmente ucciso. Come lui, altre figure sono state capitali nella resistenza ai militari: i minatori, ad esempio, sono stati la colonna portante delle proteste e hanno rappresentato la punta più avanzata della coscienza civile e di classe sociale contro i vari golpe. Molti sono stati cacciati dalla Bolivia e non hanno più potuto far ritorno nel proprio paese. C'è poi da considerare che l'ex presidente Evo Morales si è formato anche grazie ad occasioni e momenti di formazione promossi dalla chiesa cattolica. Allo stesso modo molti dirigenti del Mas erano catechisti: alcuni hanno fatto bene, altri non troppo, ma "l'uomo è sempre l'uomo"».

Cos'ha lasciato (e cosa sta continuando a costruire) la presenza bergamasca in Bolivia?
«Penso che abbiamo lasciato (e continuiamo a farlo) un'impronta molto importante qui non tanto per le costruzioni o gli edifici eretti, quanto piuttosto riguardo la qualità dell'intervento effettuato. La gente di Bergamo è riuscita ad “inculturarsi” molto nella realtà locale: le parrocchie che venivano gestite da preti bergamaschi non erano solo luoghi di culto in cui si diceva messa e si professava una fede chiusa: erano luoghi aperti. Siamo intervenuti - e interveniamo - nell'ambito sanitario, scolastico e penitenziario, così come la formazione politica delle persone e riguardo l'emancipazione femminile».

Un rigore al 90' condanna la Borgata alla sconfitta

Al campo di Via Demetriade arriva, infine, la prima sconfitta dopo due vittorie consecutive per i granata; allo stesso modo l'Almas doveva rifarsi di due pareggi contro Casal Bernocchi e G. Castello. 

La Borgata fin dal principio della partita sembra aver necessità di prendere le misure con il campo, certamente più ampio del 'Vittiglio', dal manto naturale anziché sintetico: l'assetto dei granata cambia due volte nei primi 45 minuti di gioco. L'Almas prova subito a spingere forte al 10' con una manovra offensiva del duo Gavini-Iaccarini: Capostagno è vigile e manda in angolo. I biancoverdi vogliono realizzare subito il gol che sblocchi la partita: ci provano al 13' e Chimeri è costretto a fermare di netto la cavalcata dell'ala locale rimediandosi un'ammonizione. Entrambe le squadre, fino alla mezz'ora, producono essenzialmente le medesime iniziative e manovre di gioco, annullandosi a vicenda. Attorno al 35' la Borgata inizia a farsi vedere dalle parti di Mastrangeli con punizioni e azioni d'attacco, sebbene nessuna di esse vada in porto a causa del raddoppio su Cicolò: il capitano è, di fatto, limitato nell'azione e spesso l'arbitraggio condanna i movimenti del 9 granata ritenendoli fallosi. Al 43' il rinvio di Capostagno coglie un Proietti lanciatissimo verso la porta: il nostro scarta il difensore, colpevole anche di un errore difensivo, ma a tu per tu col portiere in uscita tocca troppo morbidamente il pallone. Due minuti dopo è il colpo di testa di Chimeri su calcio d'angolo a far sospirare la panchina e gli spalti: l'incornata manda il pallone poco sopra l'incrocio dei pali.

La prima frazione di gioco si chiude, così, col risultato inchiodato sullo 0 a 0. 

Entrambe le squadre riprendono a giocare i secondi quarantacinque minuti di gioco con buona lena e caparbietà: nei primi undici minuti sia i granata che i biancoverdi tentano affondi reciproci, in ogni caso nessuno arriva mai a fondo. Al 16' minuto la Borgata si scopre eccessivamente e Cimaglia lascia partire un tiro al fulmicotone che si stampa sulla traversa difesa da Capostagno. Al 21' Mascioli illude tutti su punizione, una delle sue: il pallone finisce poco alto sopra la traversa. Da qui in poi si verificano costantemente i medesimi affondi da entrambe le parti: l'Almas tenta di sfondare le linee della Borgata e i granata tengono resistono sulla linea Gustav; allo stesso modo succede dalle parti della difesa locale. Il fattaccio arriva al 44': rigore, netto, per l'Almas. Sambruni insacca e nonostante l'assalto all'arma bianca degli ultimi sei minuti di recupero, il risultato è 1-0 per i locali. 

Il tabellino della terza giornata di campionato | Prima categoria laziale | Girone G

ALMAS ROMA - BORGATA GORDIANI 1-0

MARCATORI: Rig 44'st Sambruni

ALMAS ROMA: Mastrangeli, Onofri (1'st Cesari), Puddu (33'pt Luongo), Bedotti (1'st Lorusso), Colonna, Sambruni (47'st Nardini), Iaccarini, Gavini, Corrado, Ciotti, Bizzoni. PANCHINA: Russo, Angiporti, Cimaglia, Passeri, Pedicino. ALLENATORE: [Nome non indicato sulla distinta].

BORGATA GORDIANI: 
Capostagno, Proietti (17'st Seydi), Colavecchia, Pompi (17'st Capuzzolo), Mascelloni, Chimeri (24'st Cassatella), Di Stefano, Mascioli F., Cicolò (31'st Chiarella), Mascioli M., Piccardi. PANCHINA: Pagano, Caporalini, Chieffo, Ciamarra, Cultrera. ALLENATORE:  Fabrizio Amico.

ARBITRO: Nicolò Mastrogiacomo (Frosinone).
NOTEAmmoniti: 13'pt Chimeri (BG), 11'st Sambruni (A), 13'st Mascioli M. (BG), 25'st Gavini (A), 29'st Mascioli F., 36'st Cesari (A). Angoli: Almas Roma 4 - 5 Borgata Gordiani. Recupero: 2'pt - 6'st.

L’annus horribilis della democrazia israeliana

Benjamin Netanyahu, Primo Ministro di Israele dal 2009 quasi ininterrottamente, a seguito dell’attacco palestinese ha dichiarato lo stato di guerra e che l’esercito del paese (Tsahal) agirà con tutto il potere necessario per far fronte alla situazione che si è venuta a creare.
La realpolitik in questo caso è spietata: il Primo Ministro tenterà – è facile supporlo – di recuperare terreno nell’opinione pubblica e nella società israeliana dato che dalla rielezione dello scorso anno, dopo la nascita di quello che la stampa internazionale ha definito essere il governo più a destra della storia di Israele, ha subito varie e imponenti contestazioni. Il consenso è sceso a livelli piuttosto bassi e la società tutta si è mobilitata contro di lui a partire dall’inizio dell’anno, quando il contestato progetto di riforma del sistema giudiziario ha iniziato ad essere discusso in Parlamento (Knesset).

È bene riavvolgere il nastro e tornare al mese di febbraio, quando la protesta approda anche nelle istituzioni: il Parlamento era chiamato a dibattere attorno al pacchetto di leggi sulla giustizia. La revisione del sistema giudiziario, che ha mobilitato le proteste per 29 sabati consecutivi e portato 70mila persone in piazza pacificamente a Tel Aviv, che ha fatto incrociare le braccia a gran parte dei settori produttivi della società israeliana, era un punto centrale dell’iniziativa politica del Primo Ministro. Se in Italia Giuliano Ferrara su «Il Foglio» scriveva come non fosse tutto illogico nella riforma di Netanyahu, dall’altra parte della Manica il «Guardian» avvertiva che le proposte di legge approvate nella commissione parlamentare per la Costituzione la legge e la giustizia avrebbero avuto due risvolti: la prima quella del maggiore controllo da parte politica sulla nomina dei giudici della Corte suprema. L’altra avrebbe consentito a una maggioranza semplice della Knesset di annullare quasi tutte le sentenze della Corte stessa.
È bene ricordare che lo Stato di Israele non possiede una Costituzione scritta ma solo un insieme di Leggi fondamentali. Le problematiche conseguenti sono facilmente intuibili dal lettore.

Se la piazza ribolliva, il parlamento non era da meno: l’opposizione arabo-israeliana della sinistra comunista riunita nel gruppo Hadash-Ta’al denunciava quello che sarebbe stato lo stato di Israele con l’approvazione della Legge. In una seduta del 5 febbraio 2023 al deputato Ofer Cassif è stato impedito non solo di continuare a parlare dalla vicepresidente della Camera Nissim Vattori (Likud) ma è stato anche allontanato con la forza. Le opinioni contrarie non erano ben accette, con tutta evidenza. Così come non lo erano nemmeno all’interno della maggioranza. Fiamma Nirenstein sul «Giornale» in quella fase ha dato conto della cacciata del ministro della Difesa Gallant che si era espresso pubblicamente contro quell’insieme di leggi. Gallant lo sosteneva da destra, eppure a Netanyahu non è bastato il rapporto personale che aveva con l’ex ministro per poter interrompere quello politico.

La legge fondamentale voluta da Netanyahu è stata in parte rimodulata e in parte ritirata ma la prima sezione è stata approvata in luglio e l’estate appena trascorsa è diventata decisamente rovente. La ‘clausola di ragionevolezza’ della Legge riguardo i provvedimenti dei governi che favorirebbero comportamenti distorti (corruzione), nepotismo e scelta di persone con gravi precedenti penali per l’incarico di ministro è all’esame della Corte Suprema, così come gli svariati ricorsi giunti sul tavolo dei giudici. Lo scontro tra poteri non è fatto secondario: in discussione è il fondamento della democrazia liberale in sé. Potere esecutivo contro potere giudiziario, nonché la primazia di uno sull’altro. Non un affare da poco, per quella che in occidente è “l’unica democrazia della regione mediorientale”.

Articolo pubblicato su Atlante Editoriale: https://www.atlanteditoriale.com/lannus-horribilis-della-democrazia-israeliana/

Ch(i)effollia, Borgata! Ne basta uno per stendere l'Atletico Diritti

Nelle giornate classificabili come "ottobrate romane", la Borgata riesce a vincere ancora nella seconda di campionato (ma prima in casa).
C'è da dire che sono arrivato con qualche minuto di ritardo e mi sono perso la punizione di Mascioli (Moreno) su cui voci incontrollate riferivano di un evidente errore arbitrale o di una svista. Ma se "occhio non vede, cuore non duole", figuriamoci se l'occhio miope manco c'era: puro non-essere.

Cominciamo, dunque, col dire che i granata sembrano iniziare ad acclimatarsi al salto di categoria: il gioco c'è, non si perde mai la calma, se non per qualche momento in cui ci si distrae nelle retrovie. Oltre al gioco espresso, c'è anche e soprattutto da segnalare che al 38' della prima frazione di gioco la Borgata avrebbe potuto tranquillamente essere in vantaggio: bordata di Cicolò dalla distanza, Ciliento (ex Ciampino City Futsal) non trattiene e manda in angolo. Sullo sviluppo di quel corner, battuto da Mascioli (Moreno), arriva l'altro Mascioli (Francesco) ad incornare il pallone e a trafiggere il portiere biancorosso. La palla è dentro, l'Atletico Diritti si dispera e nel momento di spannung l'arbitro alza il braccio: che fosse stato fallo o fuorigioco, non c'è dato saperlo. Gol annullato. Due minuti dopo è ancora Mascioli M. a provare la bordata dalla distanza ma il pallone s'impenna e finisce ben oltre la traversa.

Il secondo tempo è tutto della Borgata: la squadra di mister Amico ingrana la quarta e su ogni pallone si combatte e viene caparbiamente cercata l'azione che sblocchi la partita. Al 16' è Cassatella che ha modo di controllare il pallone e coordinarsi per un tiro dalla distanza, Ciliento stavolta blocca sicuro. Un minuto più tardi Chieffo su rimessa laterale imbecca una rovesciata di Cicolò che avrebbe meritato miglior sorte, ma il tiro era troppo debole e  il portiere raccoglie agilmente. Al 25' si teme il copione del primo gol subito contro il Casal Bernocchi: Konan Kwame percorre tre quarti del campo senza che la sua corsa venga interrotta, arriva alla fine del rettangolo di gioco, serve il centravanti Puddu. Il gol era già scritto se  non fosse stato per l'intervento di Pagano: se non ci arrivano le mani, ci pensa la coscia dell'estremo difensore granata. Il grido del gol è strozzato nelle gole dei biancorossi. Mister Amico, per un attimo diventa la rappresentazione vivente dell'Urlo del pittore Edward Munch:

Sventato il pericolo, finalmente arriva il gol del vantaggio, ma solo dopo sei minuti. Capostagno, entrato da neanche una manciata di minuti in sostituzione di Caporalini, riesce a tirare una bordata fortissima dalla distanza. Il pallone si stampa sulla traversa, rimbalza a terra: Ciliento è steso sul rettangolo di gioco e sul pallone ci arriva, corsaro, Chieffo che insacca dolcemente. Un fallo di mano in area di rigore per parte, in differenti momenti della ripresa, fa accalorare entrambe le panchine ma l'arbitro lascia sempre correre non ravvedendo gli estremi (spesso lampanti) per il tiro dagli undici metri.

Dieci minuti dopo Fraternali rischia l'autogol: retropassaggio di testa - troppo morbido - al portiere, Grimaldi non esce benissimo e Cicolò è ad un passo. L'estremo difensore riesce a salvare il salvabile e viene scongiurato il secondo centro.

Piccola nota finale: Ciliento, il portiere biancorosso, al 37' si accascia e si contorce dal dolore dopo un'uscita in scivolata per difendere i pali a  seguito di un'azione d'attacco dei nostri. Sugli spalti si pensava che la staffilata di Cicolò, giunta nel basso ventre, provocasse giustamente dolore all'estremo difensore. C'era dell'altro:  Il pallone di Cicolò gli era arrivato - si pensava sugli spalti - nel basso ventre ma in realtà la situazione era ben più grave. Viene soccorso e si allontana dal campo zoppicando, non riuscendo ad appoggiare il pallone: il dolore era causato dal ginocchio. Gli facciamo auguri di pronta guarigione, anche se le facce dei sostenitori dell'Atletico Diritti, al termine della partita, dopo l'arrivo dell'ambulanza, non erano propriamente rosee.

 
Il tabellino della seconda giornata | Prima categoria laziale | Girone G

BORGATA GORDIANI - ATLETICO DIRITTI 1-0 

MARCATORI: 31'st Chieffo

BORGATA GORDIANI: Pagano, Proietti, Chieffo, Pompi, Mascioli F., Caporalini (28'st Capostagno), Di Stefano (24'st Seydou), Cassatella, Cicolò, Mascioli M. (39'st Cultrera), Piccardi (41'st Soru). PANCHINA: Casavecchia, Ienuso, Neri, Marku. ALLENATORE: Fabrizio Amico.

ATLETICO DIRITTI: Ciliento (37'st Grimaldi), Fraternali, Sawadogo, Savina (32'st Giarratana), Folcarelli (1'st Bentrovato), Gori, Konan Kwame (1'st Storgato), Nobili (22'st Falciatori), Puddu, Falciatori, Hossain. PANCHINA: Storgato, Deraco, Catalano, Puddu. ALLENATORE: Federico Stefanutti.
ARBITRO: Valerio Parenti (Aprilia)

NOTE: ESPULSO al 47'st Gianluca Falciatori (AD). A seguito dell'avvenimento, anche l'allenatore della squadra ospite viene allontanato dal rettangolo di gioco.
AMMONITI
: Nobili (AD), 6'st Proietti (BG), 12'st Bentrovato  (AD), 30'st Sawadogo (AD), 41'st Seydou (BG)
RECUPERO: 3'pt - 7'st 

Il video del gol del vantaggio



Sanità pubblica e privata in Bolivia. Cercando l’assistenza capillare, trovando disordine generale

La raffinatezza architettonica non è quel che si direbbe un tratto distintivo delle città boliviane: le abitazioni sono spesso incomplete e la gran parte (se non la totalità) dei palazzi, delle case, dei condomini e degli isolati sono lasciati a mattoni vivi. Ne deriva un colpo d’occhio completamente uniforme, che ci si trovi nella città di La Paz, El Alto, Viacha e via dicendo. Poche tipologie di edifici sfuggono all’uniformità della dittatura del foratino’: ospedali (dunque ambulatori/centri di salute, unità di pronto soccorso locale), scuole e palazzi governativi.

Scuole e ospedali sono tra gli edifici più curati non solo nelle grandi città ma soprattutto nelle piccole cittadine e nelle lontane comunità montane, anche tra le più distanti dalla capitale: sono gli unici stabili ad essere stati progettati diversamente dal resto delle urbanizzazioni circostanti, nonché ad essere stati curati anche nei dettagli. Facezie a cui spesso il costruttore boliviano non bada.

A El Alto, nella zona di urbanizzazione chiamata “Villa Adela”, persistono (o sarebbe meglio utilizzare il termine “resistono”) due strutture sanitarie statali: il laboratorio di analisi (con anche un piccolo centro di salute) e il policlinico. Entrambi prendono il nome dalla zona in cui sono collocati. Villa Adela è quel che si potrebbe definire “quartiere”, se si dovesse comparare El Alto alle città italiane od europee, tuttavia il paragone risulterebbe maledettamente forzato, oltreché improprio. Nella diseguaglianza generale, a metà tra edifici mezzo costruiti e mezzo abitati, tra strade asfaltate che cedono immediatamente il passo a vie completamente sterrate, alle spalle della centrale “Plaza de la Cruz”, sorge un piccolo “centro di salute” privato chiamato “Jesus obrero” (Gesù operaio).


[“Feliz sanidad”] Centro di salute e livelli di assistenza.

La traduzione dell’espressione castigliana “centro de salud” letteralmente e teoricamente sarebbe “centro di salute” e vale tanto per le strutture private quanto per quelle statali. Stiamo parlando di quel che in Italia potrebbe essere un centro di prima assistenza (un centro ambulatoriale, sia perdonata l’espressione impropria) per i pazienti che vi si recano ma il “Jesus obrero” in particolare possiede anche piccoli ambulatori interni per il ricovero di un numero pur limitato di persone, un pronto soccorso e un centro di cure palliative.

Cercare di comprendere una realtà così distante come quella boliviana impone un distacco piuttosto imponente da parte del lettore riguardo la situazione della sanità italiana.

La presidenza di Evo Morales (la prima nello specifico) ha tentato di portare la sanità boliviana ad un livello che fosse il più vicino al bisogno della popolazione cittadina, specie in situazione di rapido ed esteso sviluppo delle realtà urbane attorno a La Paz. Ad esempio El Alto ha superato la popolazione della prima capitale boliviana in neanche trenta anni di vita andando oltre il mezzo milione e provocando conseguentemente un graduale spopolamento di La Paz.

Ma potenza e atto divergono terribilmente, tanto in ambito filosofico quanto legislativo-politico, e nonostante lo sforzo governativo negli anni la questione dell’accesso alle cure rimane una tra le grandi diseguaglianze della Bolivia.

Livelli di assistenza e di intervento
«Il sistema della sanità boliviana è articolato su livelli, dunque esiste un primo, un secondo e un terzo livello» per quel che riguarda la struttura sanitaria nonché l’intervento nell’ambito del contesto sociale in cui è inserita. A parlare è il Dottor Javier Muñoz, nato a Bilbao, responsabile del centro di cure palliative del centro “Jesus obrero”, componente della Fundación Adsis e da tredici anni in missione in Bolivia1. Tutto il sistema sanitario boliviano si aggrega attorno all’acronimo Sus (sanità universale e sicura).

«Il primo livello - descrive Muñoz - è quello che potremmo considerare di base: in questi centri, solitamente non molto grandi di dimensione, è possibile trovare un medico pediatra e uno di medicina generale», nonché a personale preposto all’assistenza dei bambini.

Man mano che si sale nella gradazione dell’intervento sanitario boliviano si possono trovare: ambulatori specifici d’intervento per i pazienti, sale d’attesa, piccole sale preposte per i degenti che necessitano di un’operazione chirurgica non troppo invasiva. Dopodiché si hanno veri e propri policlinici e cliniche specializzate, nonché centri ad hoc - come ad esempio quelli oncologici - che possono essere considerati di quarto livello. 

«Sembra tutto molto ordinato e razionale - dice Muñoz - ma in realtà non lo è» e il medico non sembra dirlo dal suo punto di vista peculiare di specialista nel centro di cure palliative in un centro di secondo livello privato (che ormai si autogestisce, che è propaggine della chiesa cattolica, dipendente solo dalla parrocchia omonima e dalla Fundaciòn Sembrando Esperanza), il punto è che i vari gradini della scala rispondono ad autorità diverse. Un esempio? «Il primo e il terzo livello dipendono dal Ministero della salute dello Stato plurinazionale di Bolivia mentre il secondo dipende dall’autorità locale2. Questo significa - afferma Muñoz - che se al governo c’è un partito politico e al governo locale un altro, la situazione che ne deriva è decisamente caotica». Rapportare quanto detto alla situazione politica che sta vivendo la Bolivia, dal fraude electoral in poi, fa ben capire cosa intende il dottor Muñoz per “situazione di caos”.

Privato, certo, ma con delle condizioni: «Il centro “Jesus obrero”, così come molte realtà analoghe, fa parte di una rete chiamata “Rete pubblica di assistenza”: forniamo assistenza gratuita per quel che riguarda i vaccini contro il Covid-19, la tubercolosi e quelli relativi all’antirabbica dei cani 3», dichiara Muñoz.

Già, il Covid-19. Al lettore occidentale torneranno in mente i centri di vaccinazione, la voce nasale del Primo Ministro Conte che annunciava la chiusura totale di scuole e attività produttive e l’esecutivo che lavorava alla luce del sole e non «col favore delle tenebre». In Bolivia solo dal 1 agosto 2023 le autorità di governo hanno interrotto l’utilizzo obbligatorio della mascherina decretando la fine dello stato di emergenza.

«L’intervento nei confronti della cittadinanza nella città di El Alto, dal punto di vista del centro di cure palliative, è quello di fornire un accompagnamento dignitoso del passaggio dalla vita alla morte di malati terminali: moltissimi contraggono il cancro qui». Contrariamente a quanto ipotizzato, forse troppo sbrigativamente da parte di chi scrive, dopo aver visto l’enorme inquinamento sia alteño che paceño, la maggiore incidenza di tumori nella popolazione non è all’apparato respiratorio o cardiaco. Muñoz: «nella popolazione femminile riscontriamo un’altissima incidenza di tumori al collo dell’utero e alla cervice uterina, in quella maschile allo stomaco e a tutto l’apparato digerente in generale».

Gli ambulatori pubblici delle comunità montane
Cairoma, 2.494 anime, poco distante da Viloco, è un centro abitato situato a poco più di 4600 metri d’altitudine. Seppur distante svariate ore (sei, tre di autostrada e tre su uno sterrato con continui strapiombi) di automobile dalla Capitale, è parte di quello che in Italia tempo fa avremmo chiamato “provincia” di La Paz, ma la legge locale preferisce il termine “municipio”. Così, Cairoma fa parte di uno degli 87 municipi del territorio di La Paz. La regione di Loyaza (di cui è parte anche Cairoma) è montana e piuttosto estesa (3.360 chilometri quadri): la popolazione locale è aymara così come lo è la prima lingua, solo in secondo luogo viene parlato il castigliano; le strade sono tutte sterrate e non sono agevoli per scambi e spostamenti frequenti da un centro abitato all’altro.


Si fa presto a dire “La Paz!”. Chi abita i luoghi di questi territori ha poche scelte: andare a lavorare in miniera a Viloco, lavorare i campi oppure andare via e dirigersi verso La Paz. Cairoma, ai piedi dell’Illimani e della cordigliera, rappresenta una piccola-grande attrazione per i centri limitrofi di Acha Pampa, Huerta Grande, Machacamarca, Tucurpaya, Colpani, Torre Pampa, Yunga Yunga.
Tuttavia in ogni comunità, in ogni centro abitato piccolo o grande che sia, ci sono tre cose fondamentali per far sì che la popolazione non scappi troppo in fretta: una “unidad educativa”, ovvero l’equivalente di un Istituto Comprensivo; un “centro de salud”, cioè un piccolo ambulatorio che può anche – ma non sempre – avere piccole stanze per ricoveri; un campo di calcio che spesso è utilizzato anche da campo di futsal e pallacanestro, essendo state costruite anche le porte più piccole con sopra il cesto da basket. Il tutto è decisamente versatile e adattabile alla circostanza.

Al “Centro de salud” di Cairoma veniamo accolti dalla directora Patricia Guarachi Flores e dall’operatrice ausiliaria con più anzianità di servizio Rosa Patricia Quispe Chambi.

La direttrice è nata a Cairoma ma la vita l’ha portata a trasferirsi in un’altra comunità: «Vengo da Yunga Yunga4 e risiedo qui al centro per ventidue giorni al mese, con otto giorni di riposo dal lavoro». Per la verità le due comunità distano solamente cinque chilometri ma, a causa delle strade, c’è da mettere in conto un viaggio da compiersi rigorosamente con mezzo privato (macchina) e che può durare anche un’ora (sola andata).

«In teoria potremmo tornare a casa dopo le otto ore lavorative ma praticamente dormiamo tutte e tutti qui», dice Guarachi Flores «la famiglia è praticamente abbandonata» dice sconsolata mentre culla suo figlio in carrozzina. Poi fa spallucce: «asì es el trabajo5», così è il lavoro, «il salario è solo per le ore lavorate perché il contratto prevederebbe il ritorno a casa, ma – come detto – la strada è piuttosto lunga e allora rimaniamo qui. Certo: se ci dovessero essere emergenze notturne, in quel caso prendiamo di più». Ad ogni modo, va considerata molta frammentazione contrattuale del personale presente nei vari centri, come già accennava Muñoz del centro “Jesus Obrero”: gli autisti dei mezzi (ambulanze e mezzi di trasporto per campagne di prevenzione e vaccinali) vengono contrattualizzati dal governo municipale autonomo locale, il personale medico è diviso a metà tra chi è nominato dall’alcaldìa e da altre istituzioni, allo stesso modo vale per gli infermieri. Lo stipendio base per un’infermiera si aggira attorno ai 2.800 bolivianos mensili, ovvero poco più di 380€. Potrebbe sembrare una buona retribuzione per gli standard a cui è abituata la Bolivia, ma la direttrice ci informa che le infermiere e gli infermieri non hanno diritto a rimborsi per la distanza o a sgravi fiscali come accade per il personale medico. «Medici, dottori e chirurghi partono da una base di 6.000 bolivianos», poco più di 800€.

Ambulatori, interventi, parti in casa
L’organizzazione del lavoro è piuttosto complessa per delle unità di intervento come quella in oggetto: all’interno del municipio di La Paz si distingue la rete di intervento urbano6 e la rete di intervento rurale. Il centro di salute di Cairoma fa parte della rete rurale di ambulatori e ha: «quattro aree territoriali limitrofe d’intervento per emergenze, vaccinazioni, parti e interventi di primo soccorso. Così come c’è qui a Cairoma è presente a Viloco», afferma la direttrice. «Se c’è un’emergenza, a seconda della vicinanza con il centro più vicino, interveniamo e forniamo assistenza gratuita a quel paziente, qualora – ovviamente – sia iscritto al registro pubblico di cittadinanza». Avere una residenza equivale a poter usufruire alla sanità pubblica. «Ci sono persone, però, che non risultano nel registro» e preferiscono l’assistenza privata, «anche se dobbiamo comunque fornire un’assistenza minima anche per loro»: le persone che «pagano un’assicurazione sanitaria o che sono iscritte ad una cassa professionale hanno diritto ad altro tipo di intervento». La realtà di La Paz, in cui è possibile venire curati da una struttura privata, non è replicabile ai piedi della cordigliera: la sola struttura che recepisce l’iniziativa privata in ambito sanitario di tutta la provincia di Loyaza è a Viloco. C’è poi anche chi non ha un documento: «i bambini fino a un anno non hanno carta d’identità o non sono registrati con un certificato di nascita, spesso a causa della famiglia».


Nascere a 4500 metri d’altezza
Sebbene i centri abitati del territorio di Loyaza abbiano numeri piuttosto contenuti, i bambini rappresentano una fetta molto grande della popolazione locale.
«Fino ad oggi, al mese di agosto, ci sono stati nove parti dall’inizio dell’anno nella cittadina di Cairoma: quattro nel centro di salute e cinque a domicilio», ha dichiarato la direttrice. All’anno, in media, ci sono venti o trenta parti l’anno.

L’intervento sanitario, ad ogni modo, deve tener conto del retroterra culturale della popolazione aymara: le vaccinazioni non sempre sono accettate dalle popolazione (specie se si tratta di quelle legate al Covid-19), i rimedi sono naturali e in generale c’è diffidenza verso ospedalizzazioni e medicazioni. Se si tratta di parti e di nascite che coinvolgono ragazze minori o da poco maggiorenni, la questione è ancora più accentuata. «Molte famiglie preferiscono non rivelare che la loro figlia è in stato interessante: a volte siamo chiamati a intervenire per far partorire la puerpera che non ha effettuato neanche un controllo preliminare». Lo stigma sociale è piuttosto forte. «Si partorisce in casa in molti casi» ha dichiarato l’ausiliare infermiera Rosa Patricia Quispe Chambi: «non è un male la nascita in casa, ma a Cairoma non ci sono ostetriche e personale specializzato. D’altra parte, la donna che rimane incinta non sempre ha interesse nel seguire un percorso di monitoraggio della gravidanza: il nostro intervento, spesso, è solo nella fase finale della gravidanza nonché della nascita». «Dobbiamo essere sempre pronte all’emergenza: se dovessero presentarsi complicazioni, dobbiamo andare in città, a La Paz», dicono sorridenti Flores e Chambi ma la domanda sorge spontanea: “sono cinque ore di macchina, come riuscite a gestire un’emergenza con distanze così ampie e una strada così impervia?”.
Sorridono:
«corremos como locos!», corriamo come pazzi. 

Note

1 https://www.fundacionadsis.org/es/quienes-somos

2 Il termine che ha utilizzato Muñoz è stato “alcaldia”. Letteralmente l’alcalde è una figura a metà tra il sindaco e il presidente di regione. Esiste anche una “sub alcaldia”: anche in questo caso, se rapportato all’Italia, potrebbe essere considerato tra un vicario e un sottoposto dell’alcalde.

3 Sebbene possa sembrare un tema secondario, in realtà non lo è affatto. A La Paz e soprattutto a El Alto è facilissimo trovare gruppi di cani randagi inseguire macchine, moto, terrorizzare ignari passanti, cercare cibo nei cumuli di immondizia ai lati della strada, bere acqua dai canali di scolo delle fognature (specialmente a El Alto). Molti hanno un padrone ma è proprio quest’ultimo a disinteressarsi dell’animale. Sovente accade che un cane si trovi nel bel mezzo delle trafficatissime strade della città rischiando la vita. Non è affatto raro trovare carcasse di cani ai lati delle autostrade (non illuminate) che portano a Copacabana o a Patacamaya. Vien da sé che il tema dell’antirabbica non è secondario sia a La Paz, sia a El Alto.

4 Letteralmente yunga significa “foresta”. In aymara quando una parola si ripete sta a significare un rafforzativo o una demarcazione in senso più forte di quella parola. In questo caso possiamo presupporre che il riferimento sia al fatto che la foresta sia più fitta del normale.

5 “Così è il lavoro”.

6 In tutto sono quindici reti rurali, Cairoma fa parte della quattordicesima e comprende le aree di Cairoma, per l’appunto, Malla, Luribai e Yaco. La rete urbana, d’altra parte, non comprende altre città al di fuori di El Alto e La Paz.

Fraternità cairomense

Ad agosto, mentre a Roma si boccheggiava per il caldo, in Bolivia faceva un freddo cane. A Cairoma, poco più di duemila anime a ridosso dell'Illimani e a 4.600 metri di altezza circa, ancora di più. Certo è che se il cielo era terso e non c'erano nuvole, il sole bruciava la faccia: allora sì, il caldo si sentiva.
Scoprirsi amici a quell'altitudine, cercare reciprocità per cose quotidiane, stare vicini quando c'era da stare juntos, fa un certo effetto: si è solidali in tutto e anche la convivenza e la condivisione di spazi diventano fattori unificanti e occasione per essere un tutt'uno. Scherzando, con Letizia e Francesca, abbiamo detto che a Cairoma è nata la fraternità composta da tre bergamasche e un romano. 

Specie a partire da questa foto: Maria ha allontanato il braccio per prenderci tutti, ha premuto il pulsante sullo schermo per scattare. Sentivamo di essere troppo distanti, ci siamo rimproverati bonariamente tra tutti: ho allargato le braccia cingendo dalla spalla sinistra di Maria alla destra di Francesca.
La prima foto è da "perfetti sconosciuti", la seconda da "famiglia felice".
Viva la famiglia felice di Cairoma!

Fenice Borgata: vittoria in rimonta (1-2) sul Casal Bernocchi

C'è un tempo per sognare e un tempo per realizzare che quanto sognato sia diventato - effettivamente - realtà. Prima partita in Prima categoria. 
Il vento caldo dell'estate ha portato non la fine - come cantava Alice nella celebre canzone - ma l'avvio della nuova stagione nella terra ignota del salto di categoria. E la prima-della-prima non si dimentica facilmente, anche perché fino a due giorni prima di domenica 1 ottobre la Borgata avrebbe dovuto calcare il campo di La Rustica contro il Mundial Football Club. Ci ha pensato la federazione quarantotto ore prima della partita, a informare che, in realtà, il Mundial ha assunto il nome di Spes Mundial e ha già preso parte al campionato di Promozione. Rientra in campionato, contro tutti i pronostici, il Casal Bernocchi: ultimi della classe nella scorsa stagione, zero vittorie, 16 gol realizzati e 88 subiti. Ripescati e inseriti nel girone G di Prima Categoria.

La Borgata arriva al 'Guido Cernuto' con l'undici titolare ritoccato rispetto alla formazione standard: mancano gli squalificati Capuani (dalla partita contro la Polisportiva Ciampino della scorsa stagione) e Mascioli (Moreno) e Piccardi la cui assenza a un certo punto della partita s'è fatta impetuosamente sentire. Per fortuna ci sono ritorni e nuovi arrivati: Capostagno, ad esempio, tornato a vestire la maglia granata ma stavolta difendendo i pali; Seydi (ex Fidelis), Pagano, Sonu e Caporalini giunti alla corte di mister Amico. 
 

Si parte subito a ritmi sostenuti: al 6' minuto Chimeri atterra l'ala locale, diretta alla porta difesa da Capostagno. Un minuto dopo è Cicolò a pescare deliziosamente il guizzo di Capuzzolo: scatto del 2  granata fino all'area difesa da Lombardi, cerca il rigore ma l'arbitro non ravvede gli estremi per il tiro dagli undici metri.
Al quarto d'ora si presenta la prima occasione da gol su sviluppo di calcio d'angolo, su cui la Borgata applica il solito schema: la palla schizza fuori dalla mischia di piedi, terra, polvere e caos conseguente all'interno dell'area, Proietti prova a trafiggere Lombardi ma prima respinge e poi blocca. Tre minuti dopo Di Stefano tenta il tiro dalla distanza ma ancora una volta l'estremo difensore locale blocca in due tempi. 
Altro tiro dalla distanza, altro impegno per Lombardi: stavolta è Cassatella al 18', il suo guizzo culmina con una bordata che termina di poco sopra la traversa.

La Borgata cerca di sistemarsi in campo e di attaccare con ordine ma negli ultimi metri qualcosa sembra non andare per il verso giusto: il campo di terra, pur romanticamente d'antan, non facilita le manovre dei granata e il gioco ne risente. Tanto i nostri hanno difficoltà, quanto il campo abbraccia il gioco del Casal Bernocchi: il gol di Candi arriva al 22' sull'unica azione (e altrettanto unico errore della difesa ospite) sviluppata  dal Casal Bernocchi. Palla spiovente dalla difesa, controllo sghembo del difensore granata che diventa un assist, tocco morbido del centravanti e  Capostagno che non la vede neanche partire. Esultando, Candi, mostra la lingua in segno di scherno: "ve l'ho fatta a voi lestofanti canterini!", sembra dire.
[Sono ben consapevole che non stesse pensando questo e che - potenzialmente - il registro linguistico si sarebbe orientato fortemente al turpiloquio. Ma è pur sempre una narrazione di quanto accaduto, suvvia!]
I nostri provano a rispondere quattro minuti dopo, grazie ad un calcio di punizione dal limite dell'area battuto da Cicolò: il pallone viene respinto dalla difesa e giunge ai piedi di Mascioli (Francesco). Stoppa, prende le misure in una frazione di secondo, si coordina e calcia precisamente all'angoletto basso. Troppo preciso: "fa la barba al palo" (come nelle immaginarie telecronache di Auro Bulbarelli e Massimo Caputi di Fifa '98) e termina sul fondo. Dopodiché passano dieci minuti in cui il Casal Bernocchi cerca di amministrare il risultato allungando i tempo di gioco (a volte esasperandoli), passandosi la palla senza costruire realmente qualcosa di concreto ai fini della partita. La Borgata subisce l'atteggiamento locale ma per fortuna è solo la fine del primo tempo.

Fenice Borgata
Passano pochi minuti, ma davvero pochi minuti (due per l'esattezza) e la Borgata pareggia i conti. Lancio lungo di Capostagno a pescare Cicolò. Il capitano controlla e si libera del difensore: è a tu per tu col portiere ma Lombardi riesce a respingere. Ci pensa Proietti a mettere dentro: è lì, a un passo, 1-1.
La Borgata cambia gioco e si adatta a quel che il campo richiede: palla lunga e pedalare, verrebbe da dire. Lavoro sulle fasce e cross spioventi a cercare la punta. Nove minuti più tardi arriva il gol del vantaggio: calcio d'angolo, Mascioli è sul secondo palo e mette dentro. Un difensore locale calcia via ma più forte e in alto che può ma era già entrata: l'arbitro fischia, è 1-2.

Poi ci sarebbe tanto da dire ma da quel momento in poi l'euforia è stata  tanta, troppa. Mi limito a dire che al 20' il bel gesto tecnico di Cicolò, non inteso da Di Stefano, avrebbe meritato miglior sorte, non foss'altro perché sarebbe stata un'occasione d'oro. Occasione per cui al 33' protesta tutta la squadra del Casal Bernocchi: percussione di Albanese, buttato giù da un difensore granata [non ricordo proprio chi fosse, per un attimo ho pensato al possibile rigore e s'è annebbiata la vista] in area. L'arbitro fa segno di rialzarsi: non è rigore. Vola qualche cartellino, l'allenatore e tre quarti della panchina vengono richiamati. Servirebbe un guizzo che faccia chiudere la partita alla Borgata che inizia a soffrire il caldo (atroce) e la stanchezza: al 40' De Pace si trova praticamente solo davanti a Capostagno ma il tiro non è così preciso. Un minuto dopo Di Stefano a un passo da Lombardi si divora il papabile terzo gol.

Poi cinque minuti di recupero, il triplice fischio e solo allora si gioisce davvero. La prima-della-prima è vinta e sono arrivati anche i primi 3 punti

Avanti Borgata!

Il tabellino della prima giornata | Prima categoria laziale | Girone G

CVN CASAL BERNOCCHI - BORGATA GORDIANI 1-2

MARCATORI: 23'pt Candi (CB), 2'st Proietti (BG), 13'st Mascioli F. (BG)

CVN CASAL BERNOCCHI: Lombardi, Lamarte, Cappai (43'st Romano), Pastori, Carrino (1'st Adiutori), Rizza, Cecchetti, Bernardi, Candi (1'st Ranieri), Mosso (25'st Albanese), De Pace. PANCHINA: Scacchi, Spizzica, Riccio, Coccia. ALLENATORE: Giovanni Riccio.

BORGATA GORDIANI: Capostagno, Capuzzolo (32'st Chieffo), Colavecchia, Pompi, Mascelloni, Chimeri, Di Stefano, Mascioli F. (22'st  Seydi), Cicolò, Cassatella (46'st Ienuso), Proietti (41'st Caporali). PANCHINA: Pagano, Caporalini, Sonu, Neri, Ciamarra, Chiarella. ALLENATORE: Fabrizio Amico 

ARBITRO: Lorenzo Zega (Albano Laziale)

NOTE: Ammoniti: 30'pt Carrino (CB), 40'pt dirigente accompagnatore (CB), 7'st Mascelloni (BG), 15'st Proietti (BG), 25'st Albanese (CB), 30'st Cappai (CB), 43'st Chimeri (BG) Angoli: Casal Bernocchi 3 - 6 Borgata Gordiani. Recupero: 2'pt - 6'st.

 
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