Più che le percentuali relative a candidati presidente e a liste collegate, sono quelle relative all’astensione – stavolta – a farla da padrone nei commenti e nella settimana politica che ci stiamo lasciando alle spalle. Nel Lazio l’astensione arriva al 37,1% e in Lombardia vola al 41,7%.
Se in altre fasi politiche si sarebbe detto che l’eccessiva proposta politica agli occhi dell’elettore avrebbe indotto il comportamento d’astensione in quanto gli elettori sarebbero stati impossibilitati ad operare una scelta reale, stavolta il discorso è tutt’altro. I due schieramenti di centrodestra e centrosinistra si sono popolati di ben più liste che nelle altre tornate elettorali, mostrandosi volenterosi di assorbire tutto il potenziale dei votanti di ogni singola lista che avrebbe potuto rappresentare un’alterità ai due poli contrapposti. Secondo Livio Gigliuto, vicepresidente dell’Istituto Piepoli, parte del Consorzio Opinio:
«L’astensione ha varie ragioni: Si è votato da poco, pesa la debolezza dei candidati e c’è pure l’“effetto Sanremo”, perché nell’ultima settimana, quella decisiva per la scelta dell’elettore, si è parlato solo di quello»[1].
Sarà “l’effetto Sanremo” come ha definito Gigliuto al «Corriere della Sera», ma sarà anche (o forse soprattutto?) il fatto che al momento non vengono prese in considerazione dalla stampa “mainstream” e dalla comunicazione politica tout court posizioni che siano radicalmente alternative.
“Tutto okay: è colpa degli altri”
Secondo Arturo Scotto (Mdp-Articolo1), intervistato da «Radio Radicale» bisogna tener conto di almeno tre valutazioni per interpretare la complessità del voto regionale:
«la prima è quella che riguarda il dato enorme dell’astensione che ci dice come sia presente sia una progressiva “secessione” dei ceti popolari nei confronti della democrazia. Successivamente, il tema che riguarda il centrosinistra è come riprendere il cammino per recuperare i voti perduti. E poi [c’è da dire che] l’astensione cresce perché sei diviso. Terzo punto: chiunque abbia prodotto una frattura (Giuseppe Conte nel Lazio, Moratti-Calenda-Renzi in Lombardia) paga un prezzo: la domanda che viene dal campo largo, che è più largo dell’alleanza, è la richiesta di un’opposizione».
Traspare, dalle parole di Scotto, quella volontà mai sopita dalle parti del centrosinistra post veltroniano: la contrapposizione all’americana di due poli elettoralmente contrapposti, idealmente non dissimili, moralmente sovrapponibili.
Se la colpa per Carlo Calenda è dell’elettorato che non ha saputo cogliere quel che il binomio “Azione-Italia Viva”:
«Se le elettrici e gli elettori delle Regionali non si sono resi conto, che le persone e le proposte del Terzo Polo sono le migliori, serie e fattibili, la colpa non è nostra»,
per Cacciari la miopia dei gruppi dirigenti del centrosinistra è ai limiti della realtà:
« […] Va a votare un italiano su tre di quelli che ne hanno diritto. E di fronte a un tale disastro se ne escono fuori dicendo ‘guarda che bravi siamo stati abbiamo preso un voto in più dei 5Stelle’. È da darsi i pizzicotti perché uno non ci crede» [2].
Il cocomero è già guasto
All’interno del centrosinistra le cose non sembrano andare meglio, anzi. La lista denominata “Alleanza Verdi Sinistra” che ha guadagnato un posto in consiglio regionale a Milano e ha costituito i gruppi comuni tra Verdi/EuropaVerde e Sinistra Italiana alle Camere, pare essere stata già messa alla prova non tanto dai risultati quanto dalle frazioni interne.
Il 6 febbraio [2023] i consiglieri di Sinistra civica ecologista in Assemblea Capitolina (Luparelli e Cicculli) hanno dichiarato di proseguire con l’intesa con il gruppo di Europa Verde, annunciando la propria partecipazione a “Verdi e Sinistra”. Stesso nome, in apparenza, stesso carattere ma diverse combinazioni cromatiche: Sinistra Italiana sarebbe stata assente e al suo posto si sarebbe sostituita con Possibile di Civati. “Verdi e Sinistra” nel Lazio ha puntato fortemente sul candidato Claudio Marotta, unico eletto della lista, già esponente del Csoa La Strada e già attivista del movimento per il diritto all’abitare del gruppo “Action”: una candidatura , ad ogni modo, che non ha mai nascosto il legame a doppio filo con il Partito democratico, dato il rapporto personale e lavorativo che Massimiliano Smeriglio e Claudio Marotta hanno intrattenuto positivamente nel corso degli anni. Il gruppo “Verdi e sinistra” dunque dovrà superare lo scoglio dei cinque anni a Via della Pisana, provando a tenere a bada le sirene del Partito democratico.
Due eletti, dunque, ma con liste simili e non uguali: progetti dissimili e finalità sovrapponibili ma che suggeriscono un principio di dibattito tutt’altro che positivo tra Verdi/EuropaVerde e Sinistra Italiana. La lista “Polo progressista”, promossa dalla federazione romana di Sinistra Italiana in alleanza alla candidata del Movimento 5 Stelle Donatella Bianchi, ha riscosso meno dei voti che ci si poteva aspettare, attestandosi a una consigliera eletta (Alessandra Zeppieri) e fermandosi a 18.727 voti. Secondo Nicola Fratoianni:
«Sarebbe urgente una riflessione e fare chiarezza su che progetto si propone all’Italia. […] Ma noi non abbiamo alcuna intenzione di continuare questo gioco. Faremo una riflessione vera su come rafforzare “Alleanza Verdi e Sinistra” e chiederemo che l’intero campo progressista costruisca un progetto di società da proporre ai cittadini. Della competizione tra i partiti del centro-sinistra - come dimostra il doloroso dato del l’astensionismo - non importa a nessuno se poi non si è in grado di vincere contro la destra».
L’alleanza Bonelli-Fratoianni non sembra essere messa in discussione ma lo spettro di ‘certi spettri antichi’, cioè che finisca tutto come fu per “Sinistra ecologia libertà”, è dietro l’angolo.
I guai della sinistra liberale
L’altra faccia della medaglia, ma sempre in alleanza al centrosinistra, è la inevitabile crisi della cosiddetta sinistra liberale o “radicale”. La lista comune “+Europa/Radicali italiani/Volt” non arriva neanche a 15.000 voti, mentre alla precedente tornata aveva oltrepassato quota 50.000, forte anche del supporto di Emma Bonino in quella campagna elettorale. La differenziazione di posizioni tra i gruppi della ex galassia radicale, lo scollamento tra il gruppo di Marco Cappato e la definitiva rottura con il Prntt di un lustro fa, non ha giovato al partito liberaldemocratico che si è andato ri-costruendo.
La battuta di arresto dopo il fine settimana elettorale non ha scalfito, tuttavia, le intenzioni del gruppo dirigente di Via Bargoni:
«[…] Il nostro impegno in questa tornata elettorale non è stato premiato dagli elettori e abbiamo perso le due postazioni in Lazio e Lombardia ricoperte dai nostri consiglieri uscenti Alessandro Capriccioli (Lazio) e Michele Uselli (Lombardia) che, in questi 5 anni nei due Consigli regionali, hanno fatto un ottimo lavoro, spesso misconosciuto.Li ringraziamo per l'impegno e la passione che hanno messo in questi anni - realizzando quanto sappiamo, e cioè che anche un solo radicale nelle istituzioni può fare la differenza - e soprattutto per quello che hanno messo in questa campagna elettorale, difficilissima e con un'informazione totalmente appiattita sui facili vincitori. […] Ma non aver raggiunto l'obiettivo di avere degli eletti non ci fa cambiare strada. A differenza di altri, i Radicali fanno e creano politica, sempre, dentro e fuori dal palazzo».
Insomma, tutto scorre. L’importante è saper cogliere i risultati che arrivano. E se non arrivano, basta continuare sulla stessa strada e non deviare di un millimetro la rotta. Senza autocritica.
Note
[1] Renato Benedetto, In cinque mesi spariti 3 milioni di voti. FdI primo quasi ovunque, «Corriere della Sera» mercoledì 15 febbraio 2023.
[2] Umberto de Giovannangeli, “Giusto criticare la guerra, ma se lo faii scattano gli anatemi” , «Il Riformista», 15 febbraio 2023.
Nessun commento:
Posta un commento