Non fate finta di non saperlo, di arricciare il naso, di storcere la bocca, di orientare verso il basso le estremità delle labbra alzando le spalle. Sappiamo tutti di cosa si sta parlando, o almeno: quelli che vivono a Roma lo hanno già avvertito. Si sente nell’aria.
Anche gli agenti atmosferici suggeriscono quel che succederà: attorno alle 14:00 l’aria inizia quasi a mancare, tanto è il caldo e le temperature molto elevate.
Sempre meglio portarsi una bottiglia d’acqua con sé (se si è in giro a quell’ora) sfortunatamente od obtorto collo contro la propria volontà. Certo è che anche alle 18:00 il caldo si fa sentire, dunque, è bene difendersi: scarpe aperte, sempre, almeno si proverà a combattere l’odiosa calura.
Ma il punto non è questo, o almeno, non solo una descrizione dei momenti della giornata in cui il caldo è al suo apice o scema, oppure di come bisognerebbe affrontare quelle situazioni torride per evitare di scoppiare e, proverbialmente, “morire di caldo”.
Chi abita a Roma, specie nel quadrante sud-est, sa che l’approssimarsi della stagione estiva coincide con un moto di sovrapposizione perfetta (in questi casi si oserebbe dire “giustapposizione”) con la comparsa di un business che pare sia sempre più florido ogni anno che passa. Incomprensibilmente. Interclassistamente.
Compaiono così, senza che uno se ne possa accorgere realmente. Un attimo è tutto ordinario e un secondo dopo la tremenda - ma confortante - routine del panorama periferico muta per qualcosa: là dove prima c’era solo una fermata dell’autobus, di una di quelle linee che non passano mai, ora a fianco c’è anche una sorta di gazebo improvvisato, un baracchino che ricorda i mercati del Kerala o di Bamako, una costruzione amovibile che ha anche fissità - evidentemente - come un frigorifero per tenere a temperature prossime allo zero i propri prodotti e venderli ai clienti i quali, incomprensibilmente, si affollano in fitta schiera di fronte ad un così improvvisato esercizio commerciale. Mandando, evidentemente, alla malora pagine e pagine di teorie economiche (deo gratias) sull’estetica del commercio e di come questa interpreti un ruolo cardine nel consumo.
Poco importa la bellezza.
Parcheggiato ai lati della strada sta un camion, rigorosamente di terza mano, con il retro aperto e un cartello che invita a far acquisti dato il basso prezzo della merce in vendita.
E allora se capita di prendere quelle strade tra le 20:00 e le 23:00 ci si ritroverà in una dimensione quasi astratta: ogni sedia dell’esercizio commerciale in oggetto è occupata, dai rimediati altoparlanti gracchianti risuonano le canzoni orrende che ogni estate «infiniti lutti addussero» alle orecchie di una - ahinoi - minoranza di persone che non ascolta quel particolare tipo di subgenere quale il “reggaeton”.
Ma, insomma: tutt’ad un tratto, è arrivato.
È arrivata la stagione dei banchetti che vedono i cocomeri ai lati delle strade.
Nessuno si salverà. Proprio nessuno.
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