"La risposta è dentro di te. E però è sbagliata". Ancora sul referendum dell'11 novembre

L'11 novembre i romani andranno a votare per un referendum consultivo proposto dal comitato "Mobilitiamo Roma", formato da Radicali Italiani e Radicali Roma (tacitamente sostenuto dal Partito Democratico, Noi con l'Italia, Forza Italia e altre formazioni di destra), che verterà sulla messa a gara del servizio pubblico di trasporto della città. Ultimamente, lo ammetto, è un po' il mio chiodo fisso e scrivo praticamente solo di questo, ma c'è una motivazione. Più d'una, per la verità.

La questione che più mi turba
, politicamente, psicologicamente e socialmente, è la totale indifferenza della sinistra (dalle associazioni ai partiti, ai compagni ovunque collocati) nei confronti dell'attacco del capitale e delle sue forze politiche di riferimento al trasporto pubblico romano. Detta in altre parole: nessuna organizzazione "a sinistra" sta comprendendo la portata del referendum radicale sulla "messa a gara del servizio di trasporto pubblico". Eccezion fatta per alcune sparute iniziative di base (questa, questa e quest'altra) a sinistra si pensa a tutt'altro e, qualora si dovesse prendere posizione sul tema, lo si fa piuttosto male. Prendendo in prestito le parole di QueeloGuzzanti: la risposta è dentro i compagni, e però è sbagliata.
Difendere chi e cosa.
Già, da che parte stare. In altri tempi non si sarebbe neanche posta la domanda: si sta dalla parte dei lavoratori, degli utenti, contro la privatizzazione e le liberalizzazioni che portano caos e disagio solo per le figure sopra citate, socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti. Non sto a parlare di rincaro dei biglietti perché, altrimenti, si aprirebbe un capitolo a parte: per  chi ha tempo e voglia leggere qui un esempio di come privatizzazione non faccia rima con "risparmio" e "servizio migliore" per gli utenti: http://www.ilsitodifirenze.it/content/201-biglietti-ataf-dal-1%C2%B0-luglio-laumento-150-addio-al-risparmio-di-carta-agile.
Uscire dal discorso di contrapposizione fra lavoratori e utenti è quanto mai necessario: i primi nell'immaginario collettivo sono coalizzati contro i secondi che, però, soffrono l'odissea quotidiana del trasporto pubblico. I lavoratori non stanno dalla parte opposta degli utenti e dei pendolari (o dei (s)cittadini come piace dire oggi) e non devono prendersela con i macchinisti/autisti perché "ti chiudono le porte in faccia". Tuttavia, le campagne mediatiche e della grande editoria hanno fatto proprio in modo che accadesse questo, un po' come profetizzato dalla celebre frase pronunciata da Malcom X: «Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono».

Questo complica le cose? Assolutamente sì, ma non deve distogliere, a mio modestissimo modo di vedere, cioè quello di un signor nessuno, il problema principale: la difesa del diritto ad un trasporto di qualità, all'altezza della Capitale di uno Stato e - soprattutto - che sia pubblico. La domanda del piccolo paragrafo (difendere chi?) è volutamente provocatoria dal momento che, essendo un abbonato Atac e un utilizzatore quotidiano del servizio metropolitano, mi sono imbattuto in un volantino affisso alla fermata di Cinecittà in cui ho letto a carattere più consistente delle altre scritte questa cosa qui: "Contro la privatizzazione - Difendere Atac".

Comunicazione infelice.
In quanto a comunicazione, non me ne vogliano i compagni ovunque collocati, abbiamo dei passi enormi da fare: in questo periodo, fra scale mobili che crollano, passeggeri fermi sotto terra due ore a causa della Metro C (nuova, già vecchia), fermate della Metro A con infiltrazioni e secchi per raccogliere l'acqua, dire "difendiamo Atac" si traduce in un suicidio politico senza precedenti. L'elettore, sbandato dopo anni di berlusconismo, renzsismo, opportunismo cronico e vigliacco a sinistra, pensiero unico dominante, legge "difendiamo Atac" e interpreta "ecco la stronzata del secolo, magari privatizzano tutto". Un voto perso. Anzi, guadagnato dal fronte del "sì" senza che costoro abbiano mosso un dito. Geniale. Il volantino, di cui non ho notato la firma (mea culpa) e da quale organizzazione fosse sostenuto, mi sembra completamente tutto subalterno ideologicamente alla logica della "ricapitalizzazione" di un'azienda che non ne ha affatto bisogno, dato che avrebbe necessità di una rifondazione completa.
C'è poi chi, in ordine sparso, ripropone temi superati, come quello dell'audit sul debito di Atac, soprattutto da parte di settori "autonomi" e del sindacato di base che alle ultime elezioni ha sostenuto Virginia Raggi nella corsa alle elezioni comunali (Carovana delle periferie docet) perché prometteva un "audit sul debito di Roma" (e non infierisco su costoro con commenti triviali anche se ce ne sarebbe bisogno).
Bisogna dire di difendere il trasporto pubblico, gli utenti e i lavoratori, ma certamente non Atac. Quello che si dovrebbe dire da una certa parte politica è che l'azienda municipalizzata conta fin troppi dirigenti e fin troppo pochi lavoratori; che le giunte (di centrodestra, di centrosinistra) non hanno mosso un dito per far fronte a questa questione e, anzi, ne hanno aggravato enormemente la situazione.
Difendere, in ultima analisi, il trasporto pubblico per far sì che sia realmente tale, non "lo status quo" in sé di Atac.
"Vabbè, proviamo. No?"
Una questione si aggira per la città, la domanda qualunquista. Parafrasando il nostro amato Karl Marx, ultimamente si sente spesso questa - ma stavolta davvero - domanda qualunquista: "vabbè, peggio di così non può andare, proviamo a far entrare i privati, no?".
Mi sfugge, ma evidentemente non riesco a cogliere la profondità della proposta, da dove deriverebbe il possibile vantaggio della scommessa pascaliana del "vabbè, proviamo" riguardo i mezzi pubblici.
A Roma il privato esiste già
e dal 2000 gestisce più del 20% delle linee periferiche e ultraperiferiche dando, spesso, il peggio di sé, ancora di più di Atac (e ce ne vuole!).
fonte foto: Roma Today - Linea 543 gestita da Roma Tpl
La scommessa del "vabbè, proviamo" s'è oramai ben radicata nella coscienza (?) degli italiani, arrivando al culmine nel corso delle elezioni del 4 marzo, in cui svariati milioni di elettori hanno detto "vabbè, proviamo a vedere come sono questi altri", barrando il simbolo del M5S o della Lega, trovandosi di fronte ad uno scenario che forse neanche loro avrebbero lontanamente immaginato. Eppure è successo. Provare anche in questo campo, mi sembra un tantino azzardato: per tornare al titolo la risposta è dentro di te epperò è sbagliata.

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