La Sardegna contro le servitù militari

Il 13 settembre si terrà la manifestazione contro i poligoni militari in Sardegna, o per meglio dire: la ‘manifestada Natzionale contra s’ocupatzione militare’. A lanciare la piattaforma per la manifestazione del 13 erano state cinque organizzazioni, tra formazioni politiche e comitati civici: A Manca pro s’Indipendentzia (aMpI), Sardigna Natzione Indipendentzia (Sni), Comitato Sardo ‘Gettiamo le Basi’, Comitato ‘Su Giassu’, Comitato Civico ‘Su Sentidu’.
Nella giornata di oggi il quotidiano L’Unione Sarda’ ha distribuito il poster  ‘No Servitù’, volto a coinvolgere i sardi sulla richiesta di ridiscutere la presenza dei militari nell’isola. Iniziativa concomitante con la visita del Governatore Francesco Pigliaru al Poligono di Capo Frasca  e la discussione di questo pomeriggio del Consiglio regionale, in seduta straordinaria, proprio sulle servitù.
La Regione Sardegna, ha spiegato Pigliaru,  chiede una riduzione di almeno settemila ettari delle servitù militari, ad iniziare da Capo Frasca, sui trentamila complessiviin proporzione al taglio del 21% effettuato dalla Difesa nazionale sul numero degli uomini operativi: portati da 190 mila a 150 mila.
Quello che chiedono i manifestanti, però, è la dismissione totale delle servitù militari e l’avvio di bonifiche dei territori interessati. Non la riduzione.
Nel comunicato del 2 agosto relativo all’appuntamento del 13 si leggeva: «L’occupazione militare della Sardigna rappresenta un sopruso che dura da sessanta anni e che non siamo più disposti a tollerare. La nostra terra è ridotta a un campo di sperimentazione militare in cui diventa lecita qualsiasi soglia di inquinamento e viene testata qualsiasi tecnica di sterminio» e ancora«L’occupazione militare rappresenta la negazione più evidente della nostra sovranità nazionale e impedisce uno sviluppo socio-economico indipendente del nostro popolo, condannando la Sardigna all’infamante ruolo di area di servizio della guerra».
L’obiettivo era, dunque, di organizzare ‘su populu Sardu’ per una dimostrazione contro i poligoni militari che occupano il suolo della Sardegna con tali proposte: «Vogliamo che la Sardigna diventi un’isola di pace e che il suo territorio sia assolutamente indisponibile per le esercitazioni di guerra, di qualunque esercito (compreso quello italiano) e sia interdetto a qualunque attività o presenza connesse con chi usa la guerra per aggredire altri popoli o per crimini contro i civili, colpendo ospedali, scuole, rifugi per sfollati e abitazioni civili. Chiediamo che la Sardigna sia immediatamente e per sempre interdetta all’aviazione militare israeliana. Invitiamo tutto il popolo sardo, le associazioni, i partiti e i comitati ad aderire e partecipare alla manifestazione indetta a Capo Frasca il prossimo 13 di settembre per pretendere a gran voce: blocco immediato di tutte le esercitazioni militarichiusura di tutte le servitù, basi e poligoni militari con la bonifica e la riconversione delle aree interessate».
Cosa c’entra l’aviazione militare israeliana nel poligono sardo di Capo Frasca?  E’ presto detto, come riportava il quotidiano ‘L’Unione Sarda’ il 23 luglio: «le attività sono già pianificate e riportate nel “Programma esercitazioni a fuoco per il secondo semestre 2014” stilato dal ministero della Difesa». Per quanto riguarda il sito di Capo Frasca: «sulla costa occidentale voleranno anche gli aerei dell’Iaf, l‘aeronautica militare israeliana. Ma mentre su Gaza purtroppo fanno sul serio, in Sardegna si addestreranno. E faranno parte dei caccia e velivoli che scaricheranno “artifici”, così li chiamano, da 6 chili a una tonnellata. Voleranno anche Tornado, Amx, Mirage, F16 e altri caccia di varie nazioni alleate dell’Italia. Tutti, assicurano dall’Aeronautica, sganceranno “inerti”, ma saranno continue le esercitazioni con razzi da 2 pollici e i colpi con i “cannoncini di bordo”».
Subito dopo ‘L’Unione Sarda‘ la notizia è stata data anche dal sito web del ‘Fatto quotidiano’ che riporta come: «il “Programma esercitazioni a fuoco secondo semestre 2014” del Reparto Sperimentale Standardizzazione al Tiro Aereo – Air Weapon Training Installation (Rssta-Awti), datato 3 marzo 2014» prevedeva che «gli F-15 e gli F-16 dell’Israeli Air Force vengano al poligono di Capo Frasca (Oristano) a sganciare bombe inerti da una tonnellata». Non solo Capo Frasca, però: il quotidiano Sardo ha annotato come anche gli altri poligoni di QuirraMacomer e Teulada sarebbero stati interessati da imponenti esercitazioni militari.
Durante il mese di agosto la protesta è montata e l’organizzazione della manifestazione lanciata dal pugno di organizzazioni politiche e civiche sopracitate non sembrava dovesse assumere una così imponente proporzione: dal grumo di soggetti iniziali si è arrivati a ricevere adesioni – praticamente – da tutta l’area indipendentistasardista e sovranista compresa qualche organizzazione politica nazionale (Rifondazione/Comunisti Italiani – presenti nell’Isola sotto la sigla di ‘Sinistra Sarda’ -, Coordinamento dei comitati NO MUOS, Comitato contro la guerra – Milano). Più di cinquanta le organizzazioni che hanno aderito e parteciperanno alla dimostrazione a Capo Frasca per manifestare contro le servitù militari, ovvero «di strutture e infrastrutture al servizio delle forze armate italiane o della Nato» che occupano migliaia di ettari di terreno: «35 mila gli ettari di territorio sardo sotto vincolo di servitù militare», come riporta il sito della Regione Sardegna.
Per dare un’idea di quanto siano imponenti tali aree il sito della Regione fornisce mappe (visibili qui) e numeri: «il poligono del Salto di Quirra-Perdasdefogu(nella Sardegna orientale) di 12.700 ettari e il poligono di Teulada di 7.200 ettari sono i primi due poligoni italiani per estensionementre il poligono Nato di Capo Frasca (costa occidentale) ne occupa oltre 1.400. A questo vanno aggiunte le basi tra le quali spicca il caso di quella degli Stati Uniti di S.Stefano a La Maddalena».
Capo Frasca, dunque, è tornato prepotentemente sulle bocche di tutti coloro che manifesteranno sabato 13, il poligono che vede il collegamento con l’aeroporto militare Nato di Decimomannu, «che  rappresenta la base aerea più attiva in Europa». Tale area possiede «una superficie di 18,16 kmq, di cui 5,72 kmq di demanio e 12,44 kmq di servitù e l’aeroporto viene utilizzato da italiani, tedeschi, inglesi e americani, soprattutto per l’addestramento di piloti di aerei supersonici al tiro nel Poligono di Capo Frasca»come annota la Regione Sardegna.
Proprio il 4 settembre, ad una manciata di giorni dalla ‘manifestada natzionale contra s’ocupatzione militare’, succede il fattaccio«Capo Frasca esplode», era il titolo dell’aggiornamento più in vista sul sito del quotidiano on line sardiniapost.it.  Il giorno dopo ‘La Nuova Sardegna’ riportava l’accertamento di: «esplosioni all’interno del poligono di Capo Frasca, durante l’incendio provocato ieri dalle esercitazioni militari in corso». Quindi, «stando alla ricostruzione degli uomini del Corpo forestale regionale – intervenuti nel territorio di Arbus (Medio Campidano) per spegnere il rogo che ha distrutto ben 32 ettari di macchia mediterranea, secondo il dato più aggiornato – il fuoco è stato originato dalle scintille provocate dall’impatto sul terreno di un corpo inerte lanciato durante le esercitazioni».
Il video (visibile quicaricato on line da Mauro Pili (ex Presidente della regione Sardegna ed ora deputato del gruppo misto – fuoriuscito dal Popolo della Libertà, in quota Unidos) mostra una densa colonna di fumo nero proveniente dal sito del poligono militare nonostante siano passate ore dall’esplosione. E se Gianluca Collu (segretario di ProgReStwittava «#CapoFrasca oggi è stata bombardata. I turisti scappano, il danno economico e ambientale è pesantissimo. #Sardegna» e rispondeva “L’Italia” a chi su twitter gli scriveva “chi ha fatto questo?”, Luigi Piga (portavoce nazionale del Fronte indipendentista unidu),  raggiunto dal quotidiano on line ‘Controlacrisi’, commentava amaramente «è normale che non si sappia nulla riguardo l’esplosione avvenuta a Capo Frasca. Purtroppo è normale: nei giorni scorsi il Ministro della Difesa ha confermato la strategicità dell’isola eper come la vedo io, è un’intimidazione ai Sardi e alla Sardegna. Sappiamo di essere dalla parte del giusto e continueremo su questa linea: si vuole continuare con le esercitazioni militari? Noi continueremo con la nostra posizione politica e vedremo che posizione prenderà la Regione Sardegna. Ed essa non può essere ambigua come al solito: deve essere chiara»
Se la situazione era quella dell’insopportabilità nei confronti dei poligoni già prima dell’accaduto, ora la misura è – come si sarebbe potuto facilmente immaginare – più che colmaPrima ‘del fattaccio dei giorni scorsi, i Sardi consideravano le servitù delle vere e proprie occupazioni, il Senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Cotti ci aveva provato a suon di emendamenti: «All’articolo 120 della Costituzione, dopo il primo comma, è inserito il seguente: “L’impiego permanente di parti di territorio nazionale come poligoni militari per esercitazioni a fuoco è consentito previa intesa con la Regione o Provincia autonoma interessata, anche ai fini dell’adozione di adeguate misure compensative di carattere economico e sociale”».
Testo bocciato con 180 voti contrariLe conseguenze delle servitù sono – nei fatti – sotto gli occhi di tutti: «le ricadute sul territorio comprendono il divieto di esercitare la pesca e la presenza di ordigni inesplosi in mare e in terra». Ed è proprio questo per cui Sardigna Natzione aveva rilanciato la battaglia contro i poligoni già nel giugno.  La questione che si stava proponendo era quella del Lago Omodeo (Oristano) e gli indipendentisti avevano indetto un sit in «nella zona esterna da quella interdetta dall’ordinanza 6/2014 del prefetto di Oristano. L’ordinanza pone la zona del Lago Omodeo disponibile per “poter svolgere le esercitazioni a fuoco per l’addestramento periodico di numerosi reparti delle forze dell’ordine dell’Isola”».
Secondo il segretario nazionale Bustianu Cumpostu la vicenda di quei giorni del Lago Omodeo era sintetizzabile così«Noi non vogliamo più vedere i nostri territori nelle aule dei tribunali, non vogliamo che il Lago Omodeo sia una servitù che domani costituisca una commissione d’inchiesta: eliminiamo il problema. Il fatto è che la commissione non avrebbe discusso se non ci fosse stato il ‘caso’ della servitù di Quirra». Lo stesso Cumpostudopo i fatti accaduti nel poligono di Capo Frasca dei primi di settembre che ha devastato 32 ettari di territorio Sardo, ha commentato come l’incidente dovuto dall’esplosone sia «un’umiliazione» per la Sardegna tutta, intervistato da ‘Controlacrisi’. «A Capo Frasca – commenta il segretario di Sni – è successo un danno perché nessuno si è preoccupato di quel territorio e nessuno ne ha difeso l’usocome se fosse un qualcosa ‘che vale poco’Il nostro territorio viene considerato dallo Stato italiano come qualcosa che ‘vale poco’. Che poi, ora, lo Stato è uno Stato-Governo perché tutti si sono identificati con la figura di Matteo Renzi: essi hanno scarsa considerazione del nostro territorio e della nostra popolazione. Può succedere di tutto, quindi. Ecco perché veniamo umiliati».

Secondo iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna, partito di cui fa parte il consigliere regionale Gavino Salea Capo Frasca non sarebbe successo «nulla di nuovo se non fosse che per l’ennesima volta ci troviamo a commentare un incidente che fortunatamente non ha causato feriti e che, grazie al pronto intervento della Forestale, ha limitato i danni su un territorio ormai maltrattato da decenni. L’incendio divampato a Capo Frasca, definito un piccolo focolaio dal Ministero della Difesa, è stato provocato dal bombardamento di aerei da guerra tedeschi: 25 ettari sono andati distrutti». La stessa organizzazione continua in una nota: «in pratica: sarebbe come se un piromane venisse scoperto mentre sta bruciando 25 ettariNel momento in cui arrivano i soccorsi è lui stesso ad impedire l’intervento e invece che essere arrestato in flagranza di reato e condannato a risarcire i danni, viene aperta con lui una trattativa per verificare se è lui il colpevoleIn questo caso il piromane è l’aviazione tedesca appoggiata dallo Stato italiano».
La strozzatura è – dunque – evidente: da un lato vi è la protervia dello Stato italiano che, si voglia o meno, sta assestando una serie di fendenti alla Sardegna uno dopo l’altro, dall’altro c’è la reazione di un popolo a cui la sovranità viene sempre più limitata.
La reazione è quella, da parte dei Sardi stessi, di pretendere una maggiore sovranità e indipendenza da parte dello Stato centrale che, come già riportato da questo quotidiano on line, ‘deve dei soldi’ alla Regione Sardegna. Lo ha affermato il docente presso l’Università di Tor Vergata e segretario del Partito dei Sardi Franciscu Sedda: «i sardi pagavano il 100% delle tasse che venivano raccolte dallo Stato che a sua volta doveva renderne l’80% ai sardi e quindi di volta in volta venivano trattenute delle somme indebitamente. E dunque in 20 anni si era creato un credito della Sardegna nei confronti con lo Stato stimabile attorno ai 10 miliardi di euro. Questo ha fatto sì che intanto crollasse il mito della ‘Sardegna mantenuta’ e costantemente in debito nei confronti dello Stato Italiano; in secondo luogo, soprattutto, ha fatto ammettere allo Stato Italiano, sulla spinta di società civile, dell’indipendentismo in particolare e dalla giunta Soru, che era in debito. Tant’è che il primo ministro Enrico Letta, allora sottosegretario all’economia, disse che era vero: “Vi dobbiamo dei soldi”».

L’aver accettato supinamente il patto di stabilità e crescita (o fiscal compact), poi, non ha aiutato il risanamento dell’economia isolana. Né, per la verità, di quella ‘del continente’. La riacquisizione della propria sovranità, dunque, per i Sardi è la prima di tante mosse che dovranno attuare e se qualcheduno ‘del continente’ dovesse venire a manifestare nell’IsolaCumpostu avverte: «Gli italiani che verranno, difenderanno il territorio Sardo in quanto è presente un sopruso, un’occupazione e un danno al territorio e alla gente.  Poi, come è ovvio, li ospiteremo e li tratteremo con ogni riguardo, ma capiscano essi che qui c’è un popolo che vuole essere sovrano sul proprio territorio così come gli italiani lo sono sul proprio. Questo è il discorso».

Nazioni senza Stato: la lezione scozzese

Articolo pubblicato su ilmanifestosardo.it il 1 agosto 2014 https://www.manifestosardo.org/nazioni-senza-stato-la-lezione-scozzese/

Pubblichiamo l’intervento inviatoci da Marco Piccinelli studente romano di lettere di tor vergata e collaboratore di controlacrisi.org, Marco osserva la politica sarda con gli occhi del continentale e quella nazionale con occhio critico (Red)

Coloro i quali ritengono che la questione politica indipendentista delle nazioni senza Stato sia marginale, o comunque chiusa attorno all’agglomerato di popolo che determinate organizzazioni politiche intendono rappresentare, si sbagliano di grosso. La questione politica mossa dagli indipendentisti di tutt’Europa è manifesta e sarà sempre più cruciale a partire dal 18 settembre. Anche dopo quella data, per la verità, quale che sia il risultato referendario che uscirà dalle urne scozzesi.
A metà del mese che sancisce l’inizio dell’autunno, la popolazione scozzese andrà a votare su una proposta referendaria, rispondendo ‘sì’ o ‘no’ al quesito «Should Scotland be an independent country?», che suona un po’ come “Dovrebbe, la Scozia, essere un Paese indipendente?”, con quello should molto ‘british’ preferito alla domanda proposta dal Partito Nazionalista Scozzese: «Do you agree that Scotland should be an independent country?» (Sei d’accordo sul fatto che la Scozia dovrebbe essere un Paese indipendente?).
Nel dibattito indipendentista delle nazioni senza Stato la questione si fa materialmente, concretamente politica: mentre prima dell’appuntamento referendario scozzese il tema era irriso e bollato come ‘folklore’ o ‘retorica’. O comunque, come già prima detto, decisamente marginale. I casi a cui si può fare riferimento, oltre la Scozia, sono molteplici: Catalogna, Groenlandia, Isole Faroer. Non tanto per la prima, sulla quale pende un dibattito serrato tra Rajoy e i catalani, quanto per le seconde: situazioni risoltesi politicamente, attraverso strumenti democratici di partecipazione popolare.
E mentre in Spagna si dibatte aspramente sulla legittimità o meno dell’appuntamento referendario, in Scozia si procede spediti, così come s’è proceduto anni addietro in Groenlandia e nelle Faroer: lì il processo di autodeterminazione ha visto più di un passaggio e la Danimarca ha dovuto recedere su quasi tutto, eccetto la Difesa.
La Groenlandia in particolare, nei piccoli villaggi che popolano le coste del Paese, possiede funzionari di polizia Danesi. Stessa situazione nelle Isole Faroer.
Per dirla come la scriverebbe il network millennivm.org: una «multipolarità che garantisca la libertà dei popoli all’autodeterminazione storica ed alla libera scelta di un proprio modello di sviluppo». All’interno di questo dibattito che si fa sempre più transnazionale non può non rientrarci la questione Palestinese, forse emblema delle battaglie di un popolo nel suo affermarsi Stato contro l’oppressione di un altro Stato dominante. Il popolo palestinese da anni si batte per l’affermazione e la traduzione dell’essere Nazione e non più ‘colonia’ o ‘striscia’. La compressione delle volontà di un popolo che vuole farsi Nazione, che lo è de facto ma non de iure può portare a degenerazioni tali da sfociare in conflitti senza tregua come quello isreaelo-palestinese che ha assumo caratteri sempre più tetri e disumani.
All’interno della galassia indipendentista sarda, il dibattito è stato congelato tra alleanza coi partiti italiani e andare da soli. Nell’ambito delle Ghjurnate di Corti, in Corsica, Bustianu Cumpostu di Sardigna Natzione si è permesso di togliersi un sassolino dalla scarpa affermando, seduto a fianco del neo consigliere regionale in quota iRS Gavino Sale, come «Noi indipendentisti siamo stati insufficienti rispetto ad una data situazione. […] I partiti italiani, che hanno una relazione con gli indipendentisti sardi, da che parte stanno? In Scozia ci sarà un ‘sì’ o un ‘no’!», come a dire, ‘non ci sono sfumature, o si è da una parte della barricata o dall’altra’. E mentre da un lato si frantuma ancora di più la galassia indipendentista con ‘a Manca’ che si slaccia dal Fiu, Colli si dimette da Segretario dei Psd’az, il 13 settembre si manifesterà a Capo Frasca contro le occupazioni militari.

Gaetano Azzariti: «Le riforme costituzionali? Un gran pasticcio»

Sulle riforme costituzionali un gran pasticcio, a partire dal linguaggio usato. Parla il costituzionalista Gaetano Azzariti.
Articolo pubblicato il 28/7/2014 sul quotidiano digitale «Controlacrisi.org», non più raggiungibile online.

 
Da una parte il contingentamento dei tempi, dall’altra la richiesta di ridurre a cento le migliaia di emendamenti delle opposizioni proveniente dal vicesegretario del Partito democratico Guerini, dove si sta andando a parare? Lei che idea s’è fatto in merito?
«Mi sembra che ci sia un forte sbandamento: queste oscillazioni sono espressione di una difficoltà e non chiarezza di intenti. Da un lato c’è una fortissima volontà, del Governo e della maggioranza parlamentare che sostiene le riforme, di conseguire risultato, anche forzando le regole della dialettica parlamentare e utilizzando degli strumenti anti-ostruzionismo che il regolamento parlamentare permette. Quindi il contingentamento stesso che, certamente, è una misura estrema e contro lo spirito del dibattito parlamentare. Sono strumenti legittimi, ma certamente contro lo spirito del dibattito parlamentare, da un lato. Dall’altra parte c’è, evidentemente, la consapevolezza che modificare la Costituzione in punti così delicati – se mi passa il termine – a colpi di maggioranza, cioè a prescindere dal dibattito parlamentare non è un buon viatico per una buona riforma costituzionale e, anzi, più che non è buon viatico, è assolutamente improprio rispetto a quello che dovrebbe essere la discussione sul testo che per antonomasia dovrebbe essere il più discusso e confrontato con le opposizioni: la nostra Costituzione, più di ogni altra, insiste sul confronto parlamentare, questo è il senso delle maggioranze qualificate che essa prevede. C’è, quindi, questa difficoltà. Ripeto: da una parte una forzatura e dall’altra la consapevolezza che si rischia d’andare a sbattere».


A tal proposito anche la costituzionalista Carlassarre, in un’intervista realizzata dal quotidiano ‘il manifesto’, affermava di stare dalla parte delle opposizioni nonostante l’ostruzionismo perché, ha affermato: «[…] Strozzare un dibattito su una riforma che deve essere votata con una maggioranza elevata proprio perché sia ragionata e condivisa. Mi sembra una cosa inaudita»
«Certo, ma se ogni legge deve poter essere discussa, ‘la legge delle leggi’ – cioè la Costituzione – dovrebbe essere la più discussa. Ripeto, questa situazione complessivamente intesa, è l’espressione di una perdita del senso delle proporzioni. Ci troviamo di fronte ad una situazione sostanzialmente paradossale: da un lato l’ostruzionismo, dall’altro la volontà di forzare la mano. Da una parte e dall’altra, aggiungo, però, che per superare questa situazione paradossale, la palla è al governo: solo la maggioranza può fare delle aperture È chiaro che mentre l’opposizione non ascoltata è costretta – forse sì – a ricorrere all’ostruzionismo, che è uno degli strumenti utilizzati dalle opposizioni quando non trovano spazi di ascolto, la maggioranza ha la responsabilità di questa situazione di paralisi. Questa è la mia opinione: dovrebbe essere il Governo ad aprire all’opposizione».


Riguardo ciò che ha detto, cioè alla «perdita del senso delle proporzioni», mi viene in mente una parte dell’intervento in Aula del Ministro Maria Elena Boschi, che ormai sulla rete è diventato praticamente virale, in cui ella afferma: «Ho sentito alcuni parlare di svolta autoritaria. Questa è una allucinazione e come tutte le allucinazioni non può essere smentita con la forza della ragione. Non c’è niente di autoritario. Parlare di svolta illiberale è una bugia e le bugie in politica non servono». Come legge le parole della Boschi?
«Direi che il linguaggio esprime una cultura politica. In questo momento si dimostra poco consona allo spirito di riforma costituzionale che dovrebbe avere non il Governo ma la maggioranza politica. La vecchia idea liberale, in base alla quale le idee altrui si rispettano quale che esse siano, non dovrebbe permettere espressioni improprie alle quali, purtroppo, la ministra ci ha già abituati. Si ricorda la polemica contro i “professoroni”? Ecco, quella è un’altra espressione di una ‘certa cultura politica’ che, in qualche modo, non è consona al ruolo di apertura al dialogo che dovrebbe avere un Ministro delle Riforme Costituzionali. Ripeto, insisto sul fatto che si tratta di un ministro delle riforme costituzionali perché che il Governo sia più o meno arrogante, è un fatto di stile, diciamo così. Può piacere o non piacere, forse una maggioranza politica che sia particolarmente esuberante e che sfoggi linguaggio, diciamo così, affrettato, rimane nell’ordine del possibile. Ma quando questo stesso linguaggio così agguerrito si trasferisce sul piano nobile della revisione costituzionale, diventa un linguaggio improprio. Questo perché il piano del confronto costituzionale è un piano del confronto, non del rifiuto. ‘Allucinazione’, ‘professoroni’, e qualche altra espressione che viene utilizzata è, invece, chiaramente espressione di un rifiuto. È evidente ed ovvio che la Boschi non condivide alcune posizioni come quella che affermi la riduzione degli spazi di democrazia attraverso questa riforma costituzionale.
Il Ministro, però, dovrebbe accettare il confronto non foss’altro per il ruolo che ricopre. E comunque, le logiche della riforma Costituzionale sono quelle del confronto, le logiche del rifiuto delle opposizioni possono essere quelle del confronto ordinario, del confronto di piccolo cabotaggio, dell’imposizione delle regole di parte.
Mentre, invece, il ministro Boschi dovrebbe capire che si sta scrivendo le regole di tutti, non le regole delle parti. E allora, nessuno può essere allucinato e nessuno può essere delegittimato nelle sue posizioni. Possono, ripeto, non essere condivise le opinioni delle opposizioni, come non possono essere condivise neanche le posizioni della maggioranza, ma la logica del confronto deve prevalere, e il linguaggio dovrebbe essere appropriato ed idoneo a questa logica».


In tutto questo, Renzi e la maggioranza, improvvisamente, apre ad un referendum riguardo le riforme costituzionali. Lo stesso Presidente del Consiglio che aveva chiuso le porte ad una consultazione referendaria, ora le riapre. Cosa sta succedendo: questa riapertura sta, in un certo qual modo, nel solco tracciato dall’esecutivo che andava dicendo poco fa?
«Guardi, voglio dire due cose. L’apertura sul referendum, che in sé è ovviamente giusta e opportuna, mi sembra – però – proposta come alternativa al dialogo. Cioè, se fosse questo, sembra che si dica: “io non discuto con voi, non c’è nessuna svolta autoritaria e illiberale, voi avete torto tant’è vero che sono disposto ad indire un referendum”.
Ora, sotto questa prospettiva, è sotteso un uso strumentale dell’istituto del referendum perché, in qualche modo, fa sì che questo istituto sia brandito come strumento di carattere populistico: non discuto con l’opposizione in Parlamento ma discuto col popolo una volta che ho forzato la mano e imposto la mia revisione costituzionale.
Ecco, sotto questo profilo, certamente, è un uso di un istituto delicatissimo: si tratta di una presa di posizione del tutto condivisibile, però è un uso strumentale di tutto ciò.
Detto questo, in una situazione per la quale dovesse essere approvata la riforma costituzionale in modo così divisivo – senza nessun confronto – allora il referendum costituzionale nel merito è certamente opportuno, quindi, sotto questo profilo mi sembra che siano tutti a richiederlo, tanto le opposizioni quanto la maggioranza. Mi sembra sia un unico punto di convergenza tra maggioranza e opposizione».


Qualche settimana fa c’era stato un accesissimo dibattito circa l’immunità parlamentare per i senatori che andranno a comporre il nuovo-Senato. Sentendo il rettore dell’università della Val d’Aosta Fabrizio Cassella in merito, egli affermava come l’immunità per i nuovi senatori fosse un qualcosa di utile nel lungo periodo, non tanto nel breve dal momento che viene vista molto male dall’opinione pubblica, considerati anche gli scandali nei Consigli Regionali del Paese (quasi tutti). Per lei si tratta di un istituto utile nel lungo periodo come affermava Cassella o no?
«Io lascerei il primo comma dell’articolo 68, che prevede l’immunità per i voti dati nell’esercizio delle funzioni. Mentre cancellerei l’immunità vera e propria, cioè quella compresa negli attuali secondi commi e seguenti dell’articolo 68, per le regioni che diceva lei poc’anzi.
Francamente mentre riterrei che l’autonomia del Parlamento e dei suoi Parlamentari, tanto Deputati quanto i Senatori – anche se andranno ad essere eletti in modo indiretto secondo le attuali prospettive del Governo – riterrei che nell’esercizio delle loro funzioni debbano essere coperti dalla insindacabilità. Quello è il primo comma. Per quanto riguarda, più strettamente, l’immunità, io francamente, in questo momento storico la escluderei tanto per i deputati quanto per i senatori, come che essi dovessero essere eletti.
Mi spiego ancora meglio: non è la modalità di elezione da cui dipende se assegnare o meno l’immunità (fatta salva la insindacabilità) quanto la garanzia dell’organo. Tendo a distinguere monto tra insindacabilità ed immunità, quest’ultima è stata un istituto storico molto importante ma in questo momento mi sembra superata. Magari tra qualche secolo ne riparleremo (ride nda)!
La valutazione sull’immunità in senso stretto è certamente anche legata alla cattiva capacità di gestirla diversamente da parte dei consiglieri regionali e anche, forse, da parte dei parlamentari stessi».

Grillo nell'Efd - il gruppo di Magdi Allam - Controlacrisi.org

 articolo apparso su Controlacrisi.org 


«I Gruppi Politici europei che hanno ufficialmente manifestato interesse per la delegazione italiana del M5S sono Europa per la Liberta e la Democrazia (EFD) e Conservatori e Riformisti Europei (ECR). Per completezza, si segnala che anche Alleanza dei Liberali e Democratici per l'Europa (ALDE), il gruppo più europeista e federalista esistente al Parlamento Europeo, ha espresso una posizione unitaria, la quale tuttavia ha considerato i sette punti per l'Europa del M5S come ‘completamente incompatibili con la loro agenda pro-Europa’ definendo il M5S ‘profondamente anti europeo' e il suo programma ‘irrealistico e populista’».

Questo uno stralcio del post sul blog di Beppe Grillo che, nella giornata di ieri, fungeva da cappello introduttivo alla votazione on line lanciata per le ore 15:00 agli iscritti al portale.
Tre i gruppi parlamentari, dunque, che gli iscritti al blog potevano votare: Efd, Ecr e il gruppo misto, quindi il non allinearsi.
I commenti in calce al post sono stati duri e riportavano contestazioni pesanti nei confronti del detenente il nome del sito di riferimento degli attivisti pentastellati. Ma si sa: su internet, sulla rete, il dibattito tende a polarizzarsi radicalmente salvo poi appiattirsi nella vita reale.
La maggior parte di chi sbraita contro le nefandezze dei democratici o dei forzisti, assimilandoli - magari neanche a torto - in un unico contenitore annettendoci anche genericamente ‘i partiti’, incitandoli a tornare alle loro magioni, si lasciano poi facilmente prendere da chi vende le false promesse dei mille euro per le casalinghe o dal voto utile a far vincere uno piuttosto che l’altro.
Assenti, poi, i Verdi Europei, nel trittico proposto da Grillo e Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, scriveva così su Facebook nella giornata di ieri: 

«Grillo ha impresso una svolta conservatrice e non ecologista con la decisione di andare con Cameron o con Farage (a meno che cosa improbabile non decidano di non iscriversi a nessun gruppo)».

Una manciata di ore, un pugno di tweets di qualche deputata e deputato pentastellato, e il gioco è fatto: il Movimento 5 stelle andrà nel gruppo degli Efd, quello del tanto discusso Farage dell’Ukip e quello da cui è appena uscito, e non rientrato perché non risultato eletto, Magdi Cristiano Allam candidatosi nelle liste di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale.
Giulia Sarti, parlamentare 5 stelle, aveva twittato: «Questo è il mio voto turandomi il naso per il gruppo europeo: conservatori e riformisti, i nipotini di Churchill. Solo per non far vincere Farage»; Stefano Vignaroli, collega della Sarti, invece digitava su twitter: 

«Sono indeciso se non votare il sondaggio sul blog o votare di non iscriversi perché trovo le altre opzioni scarsamente pluralistiche».

Il Movimento 5 stelle e il ‘menopeggismo’ imperante imposto dall’alto.
I parlamentari cinquestelle, piaccia o non piaccia, sono entrati da persone comuni nelle Istituzioni e stanno lavorando alacremente e con spirito di dedizione, questo è innegabile.
Vederli sottostare a delle proposte che non sono di loro emanazione, stando ai commenti rapidi di 140 caratteri, non sa di movimento nuovo e di rinnovamento politico ma di ben altro.
E così, invece, su 29.584 votanti la stragrande maggioranza (23.121, pari al 78%) ha indicato come gruppo di riferimento per il Movimento 5 stelle, l’Efd; la seconda scelta degli iscritti al blog è stata quella di chi avrebbe preferito il, cosiddetto, ‘gruppo misto’ (quello dei non iscritti), 3.533 i voti (12%). La più bassa percentuale di votanti è stata quella che intendeva mandare i cinque stelle nell’Ecr: 2.930 i voti.

Da sinistra, da Rifondazione, Paolo Ferrero ha così commentato in una nota: 

«Il Movimento 5 Stelle ha deciso di allearsi in Europa all'iperliberista e razzista Farage. Non è vero che non esistono la destra e la sinistra: la destra è quella con cui in Europa si allea Grillo e il M5S. La sinistra è quella con cui si allea lista ‘L’altra Europa con Tsipras’: la sinistra europea e il GUE».

Al di là delle percentuali dei votanti e di chi ha effettivamente votato esprimendo la propria preferenza per questo o quell’altro gruppo, la notazione che è opportuno fare è come la scelta sul piatto posta da Beppe Grillo sia stata polarizzata e definitiva al momento della consultazione on line: o il gruppo conservatore e riformista, comunque tendente a destra, o quello federalista democratico, che tende ancora più a destra.

Comunque si voglia leggere la faccenda da parte grillina, cioè sia che l’alleanza con l’Efd sia proficua per l’opposizione senza esclusione di colpi nei confronti dell’Unione Europea; sia che la consultazione sia stata coercizzata dalla scelta di due soli gruppi parlamentari, ora la risultante è una e una sola: il Movimento 5 stelle ha, finalmente, preso una posizione. E l’ha fatto senza dichiarare, in seguito, che i giornalisti volevano ingabbiare il Movimento in ‘vecchie categorie’ come la ‘destra’ e la ‘sinistra, perché il Movimento è ‘oltre’.
Stavolta la posizione c’è stata, c’è e ci sarà per la legislatura tutta.
Sarà interessante, dunque, vedere le reazioni di tutti coloro che si riconoscono nel Movimento 5 stelle e di Grillo stesso. Sempre che riesca ad accedere al suo sito che, da stamattina, è fuori uso come quello della Casaleggio Associati.

L'Iran ai mondiali

Non sono un grande appassionato di calcio, anzi, se dicessi che tifo per il Venezia perché mi sono innamorato della città sospesa sull'acqua da quando ero molto molto piccolo, sarei - quantomeno - preso in giro a vita.
Nonostante non coltivi questo grande amore per il calcio, ogni tanto, quando il Venezia era stato retrocesso d'ufficio in serie D causa plurifallimento, qualche partita la seguivo; il nome di qualche giocatore me l'ero perfino imparato. Quando trasmettevano la partita su Rai Sport 1, una tra quelle rare volte che trasmettevano il Venezia, emettevo un grugnito di incoraggiamento ogni volta che Volpato prendeva la palla.
Gliela serviva da dietro Lelj, il centrocampista che ora milita in una delle squadre dell'eccellenza vicentina, credo sia col Marano, ma come dico, sbaglio.
Soffrivo insieme ai tifosi quando, in diretta, il Treviso aveva rifilato tre gol al Venezia e Zubin ne era riuscito a mettere dentro uno solo e pure su rigore.
Disfatta completa, ma c'era l'orgoglio lagunare che faceva cantare 'el pope' a tutta la curva.
In quel periodo, nel secondo liceo (per i profani, quarto superiore), era arrivato nella mia classe un compagno nato in Italia ma con origine iraniane.
Giocava e gioca a calcio a 5, in difesa, e non è niente male, anzi!
Qualche volta ci vedevamo per studiare insieme: lui era molto intuitivo nelle materie scientifiche e a matematica era molto bravo mentre io, appena mi mettevano tre cifre sotto gli occhi, le pupille iniziavano ad allargarsi come in preda ad overdose.
Lui, comunque, sempre oltre la sufficienza nelle materie scientifiche. Io costantemente ad aggrapparmi ad un 6-/5 e mezzo sperando che lievitasse da sé in una stiracchiata sufficienza che non mi facesse prendere il debito.
Comunque sia, le materie letterarie erano quello che mi piaceva, quindi ci compensavamo: io dicevo in breve a lui qualche autore di latino, la critica e l'analisi di qualche testo; lui mi indottrinava in matematica. Così come faceva l'altro compagno che, da un'altra scuola della periferia romana, era approdato insieme a lui nella classe in cui stavo del Bdn.
Una volta, in cui la voglia di studiare non era elevatissima, non che fosse impossibile questo fattore, per la verità (eravamo molto discontinui nello studio, ma almeno armati di buona volontà), mi aveva fatto vedere il video di un giocatore iraniano famoso anche in Europa e di cui, ovviamente, ignoravo completamente l'esistenza.
Mi aveva fatto vedere qualche video scritto in persiano, caratteri a me incomprensibili, che però a lui riusciva facilissimo leggere, ovviamente.
Ali Karimi, era il giocatore del video.
Il tizio faceva girare gli occhi e la testa ai difensori avversari, era una specie di fenomeno ai miei occhi e in effetti in un video, stavolta a caratteri latini, la descrizione recitava "Ali karimi, iranian Maradona".
Magari un po' esagerato il paragone, ma certamente quel giocatore lì aveva capacità.

L'altro giorno mi imbatto, per caso, nel tabellino delle partite che si succederanno nei prossimi giorni per l'inizio dei mondiali di calcio del 2014 che, quest'anno, si svolgeranno in Brasile.
Noto, non con poca sorpresa, che in un girone è inserito anche l'Iran e penso alla squadra sognata che mi ero fatto, in cui c'era anche Ali Karimi, nonostante in questi ultimi anni non abbia più indossato la maglia della sua Nazione.
Ripenso al compagno di classe che esultava per le vittorie dell'Iran in coppa d'Asia di quell'anno in cui mi aveva fatto vedere il video delle prodezze del giocatore iraniano, che ha giocato anche in Germania nel Bayern Monaco.
Ho mandato un po' la testa in tilt e ho associato quell'Iran, quell'Ali Karimi e a come sarà vissuto il mondiale in quella casa di Centocelle. A tifare, sorridendo spensieratamente, due nazionali.

Se viene rovinato anche il 25 aprile

Oggi, è il 25 aprile e, personalmente, ho acquisito il valore della giornata del 25 aprile cammin facendo, non sapevo nulla di lotte partigiane, azionisti, comunisti, socialisti. 
Ho appreso man mano il valore della Resistenza e delle lotte partigiane durante il liceo, poi - ovviamente -  in questi anni universitari, stando a contatto con i compagni e le compagne delle sezioni di Tor Bella Monaca, del Villaggio Breda, quest'ultima intitolata ad un partigiano del luogo che, prima, più che urbanizzato era piena campagna. 
Ai cortei del 25 Aprile ho cominciato ad andarci tardi, partecipando, inizialmente, alla commemorazione territoriale a Piazza delle Camelie, a Centocelle; da quattro anni a questa parte vado anche al corteo centrale che arriva a Porta San Paolo, terminando col comizio a Piramide. 

Oggi, ad esempio, sono partito da casa felice: mi ero addirittura messo la giacca, m'ero vestito bene. Mi sarei preparato per la solita camminata antifascista assieme ai compagni, a gente comune, magari non iscritta ad alcun partito, ma che sente di dover manifestare il proprio antifascismo contro la nuova alzata di scudi dei fascisti in tutta europa. 
È un dato di fatto: le elezioni amministrative in Francia hanno consegnato un Fronte Nazionale della Le Pen in grande spolvero sebbene si fosse presentato solo in 600 comuni; piazza Maidan, in Ucraina, ha visto la passerella dei fascisti di Settore Destro e la distruzione delle sezioni delle organizzazioni comuniste ucraine. Non sapevo di essere comunista, mi hanno insegnato ad esserlo ed è un qualcosa di inspiegabile: non è una moda né un momento giovanile, come possono dirti, è una speranza per una nuova umanità, realmente. Comunque sia, mi metto in moto e prendo la metro; arrivo a Colosseo, dov'era l'appuntamento per la partenza del corteo. 

Arrivo, vedo la polizia che tiene distanti i gruppi della comunità ebraica romana e della Brigata Ebraica, quella brigata partigiana che ha combattuto nelle fila dell'esercito inglese. Volano parole da parte loro nei confronti dei palestinesi: «Fascisti! Assassini!». 
Si continua così finché il presidente della comunità ebraica Pacifici dice che «La festa è nostra, W Il 25 aprile», con annesse prese di posizione da parte dei manifestanti, cioè, che se ci fosse stata anche una sola bandiera palestinese, il corteo non sarebbe partito. La situazione cambia rapidamente in pochissimi minuti, la polizia circonda le persone con le bandiere della Palestina, il corteo parte e lascia i comunisti al palo perché stavano difendendo il diritto alla manifestazione per chi possedeva quelle bandiere https://www.facebook.com/photo.php?v=289439267881703&l=3474844196601414610 Arrivano discussioni su discussioni mentre si sta fermi: provocatori ai lati della strada che tastavano il nostro livello di sopportazione , momenti di tensione quando alcuni, veri e propri energumeni che si sono dichiarati appartenenti alla comunità ebraica, con tanto di bandiera con la stella di David in mano, hanno iniziato ad aggredire verbalmente e fisicamente alcuni manifestanti. 
Un compagno, nella mischia, si è beccato un cazzotto sullo zigomo. 
Una signora che teneva una bandiera palestinese, ignara, si è trovata un signore che le brandiva una bandiera israeliana davanti mentre la intimava di rimuovere immediatamente quel pezzo di stoffa palestinese.
Il tizio che brandiva la bandiera dello Stato Israeliano, visto che la signora non abbassava la bandiera, ha iniziato a prenderle la stecca di plastica e dire «Non ci deve stare questa! La dovete togliere!». Sono susseguite, poi, delle fasi concitate in cui la polizia ha cercato di azionare le proprie camionette, i celerini si sono messi i caschi, è arrivata anche la finanza a dare man forte. Nel parapiglia un altro energumeno ha iniziato a provocare altri manifestanti da un'altra parte della strada, molto ravvicinata a quella precedente visto il fazzoletto di terra in cui si stava svolgendo l'azione. Il risultato è che sono volate parole grosse «Vattene da qui!» e «Non mettete le mani addosso, vi ammazzo tutti!», mentre riprendevo la scena col cellulare un altro signore mi mette la mano sul telefono e mi ostruisce la visuale. 
I compagni di Labaro Tv, mentre riprendevano tutto da più vicino, si sono visti rompere la propria telecamera, dopo essere stati aggrediti verbalmente e non. Non ho una tempra fortissima, lo ammetto, e, visto tutto questo, mi siedo da una parte a ragionare su come il nostro 25 aprile di quest'anno sarebbe stato compromesso definitivamente. «Il 25 aprile, per me, è Natale», mi dice Eugenio, un compagno, un ragazzo.

Come non condividere quanto detto? E' la festa della pace, per la liberazione di tutti i popoli da tutti gli oppressori, della liberazione partigiana dal nazifascismo. E questo, forse, alla comunità ebraica romana non è andato a genio. Rimaniamo fermi, ancora fermi, partiamo tardissimo quando ormai la testa del corteo ha già raggiunto la Piramide e Porta San Paolo, dileguandosi completamente, per poter concedere la sfilata al sindaco Marino che ha retto lo striscione dell'Anpi per i canonici minuti utili allo scatto di qualche foto. 
Partiamo cantando 'Su comunisti della Capitale': eravamo duecento, ma sembravamo un milione tale era l'aria che era presente nei polmoni di ognuno. Mi sono messo a filmare su un muretto la scena https://www.facebook.com/photo.php?v=289460834546213&l=4636604421531018927 e non era niente male, al colpo d'occhio. 

Personalmente, non ho la tempra di reggere una situazione di tensione in un ambito che sarebbe dovuto essere, per la mia visione pacifista e non violenta, una passeggiata antifascista, per la Liberazione vera e reale. 
Non sopportavo l'idea che degli energumeni avessero rovinato un 25 aprile, prima di Porta San Paolo me ne sono tornato indietro. Forse, magari sicuramente, ho sbagliato. 

Ma il 25 aprile, per me, è la festa della pace, della Liberazione dei popoli per la costruzione di una nuova umanità. 
Del socialismo, perché no...

Legge elettorale, parlano 'gli altri'

Articolo pubblicato su Lindro.it https://www.lindro.it/legge-elettorale-parlano-gli-altri/
La Corte Costituzionale, otto anni dopo la legge Calderoli 270/2005 – nota ai più come Porcellum, ha dichiarato come incostituzionali alcuni elementi significativi del sistema elettorale proposto dall’onorevole della Lega Nord ed in vigore fino al 2013. All’interno del Parlamento, ormai da mesi, si dibatte animatamente circa il modello di legge elettorale da attuare in sostituzione del Porcellum, o meglio: del proporzionale con sbarramento al 4%. Esattamente, un proporzionale: la Corte Costituzionale, rendendo scevro il Porcellum di elementi come il premio di maggioranza, che scattava anche con un solo voto in più di una lista/coalizione rispetto ad un’altra; delle liste bloccate, quindi la mancanza del voto di preferenza,  ha fatto sì che al corpo elettorale venisse consegnato un sistema proporzionale con sbarramento al 4%. Più o meno come quello in vigore nella cosiddetta Prima Repubblica, in cui non vi erano premi di maggioranza né alleanze.
Le posizioni dei partiti all’interno delle Camere, quindi, sono – più o meno – allineate su posizioni di linea generale comuni: nuova legge elettorale che sia maggioritaria, superamento del bicameralismo perfetto, mentre sulle preferenze è nato qualche attrito tra il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano e l’asse Matteo Renzi/Silvio Berlusconi che ha proposto la legge chiamata Italicum. Il testo base di tale legge prevedeva uno sbarramento all’8% per i partiti non coalizzati, al 12% per le coalizioni e al 5% per liste e partiti all’interno di una coalizione mentre il premio di maggioranza sarebbe scattato al 35%. Le modifiche, pochissime per la verità, apportate all’Italicum non sono così sostanziali: il premio di maggioranza scatta alla formazione che raggiungerà il 38% mentre lo sbarramento all’interno della coalizione è sceso dello 0,5%: quindi dal 5% al 4,5%.
Ma se al Parlamento si decidono sbarramenti che, nell’evidenza dei fatti, limitano la rappresentanza democratica e incardinano un sistema elettorale verso il bipartitismo, al di fuori delle Camere il Paese è diverso: a partire dagli appelli dei Costituzionalisti atti a  denunciare le sostanziali mancanze di differenze tra l’Italicum e il Porcellum, ci sono anche le forze politiche a proporre  altri sistemi. Da Rifondazione al MiR, dal Pli ai Comunisti Italiani passando per i Radicali, le proposte sono articolate e molteplici tra loro. L’unica forza politica, invece, tendenzialmente favorevole alla legge Italicum è il MiR (Moderati in Rivoluzione). Il partito, con a capo l’avvocato Giampiero Samorì, si era presentato all’interno della coalizione di centrodestra alle scorse politiche di febbraio, raggiungendo lo 0,24% alla Camera e lo 0,23% al Senato, non riuscendo, quindi, ad entrare nelle istituzioni.
Il giudizio di Samorì, raggiunto da ‘Lindro.it’ rispetto alla legge “è sostanzialmente positivo. Nel senso che di una certa semplificazione c’è bisogno perché siamo nel pieno di una crisi sistemica molto forte, più forte di quello che tutti pensano. Squinzi, il presidente di Confindustria, l’ha lasciato intendere, aldilà delle parole di circostanza del Governo. Una crisi così forte ha bisogno di un momento di semplificazione, altrimenti non è gestibile. Quindi complessivamente il giudizio è buono”. Certo è che “ovviamente, questa legge comporta, diciamo così, un’esigenza di aggregazione”  per cui le organizzazioni politiche “che hanno avuto la capacità di presentare le liste ma non hanno raccolto i suffragi sufficienti, come la nostra, devono fare una scelta di campo per lo schieramento che gli è più confacente. Altrimenti possono fare testimonianza e quindi possono presentarsi in tutti i collegi raccogliendo ciò che possono raccogliere, ma è una testimonianza”.
Per Samorì, comunque, “non tanto per le liste molto piccole come la nostra, ma parlando sempre in generale” c’è un limite nell’Italicum e, cioè, che “non è garantito nemmeno un diritto di tribuna e in una società così articolata, come la nostra, non prevederlo può voler dire creare una eccessiva tensione e divaricazione fra la società civile ed il Parlamento. Mi spiego: nei sistemi politici in cui esistono due forze e sono presenti alte soglie di sbarramento, la società civile stessa, in realtà, è un po’ più coesa e possiede una identità di vedute molto prossima sui grandi temi, con delle variazioni di qualche colore: tra i Repubblicani ed i Democratici in America, ad esempio, c’è la piena condivisione di quello che è il sistema capitalistico e delle regole del sistema. Ci saranno dei meccanismi di elastificazione sulla sanità, sulle imposte, ma i grandi temi sono condivisi e sono comuni. Ci sono delle società, come la nostra, quindi, molto più variegate, dove è difficile che molta gente si riconosca in uno o in un altro dei due partiti che dovranno andare a contendersi il Governo. Facciamo l’ipotesi che ci sia un partito o un movimento che si presenti in coalizione e prenda l’ 11%. Non ritengo giusto che quella forza politica non abbia neanche un parlamentare: non che ne abbia 60, perché potrebbe alterare la maggioranza ma penso che sarebbe stato meglio ridurre il numero dei parlamentari di chi ha la minoranza qualificata, lasciando il premio di maggioranza per chi ha la maggioranza, ed introdurre diritto di tribuna per chi raggiunge determinate soglie. Una lista che raggiunge il 10% se ha tre deputati fornisce pluralità al Parlamento, quello che ha la minoranza qualificata, cioè il 22% ad esempio, se invece di possedere 100 parlamentari ne ottiene 98 non gli cambia nulla; perché c’è comunque chi detiene la maggioranza. Questo, secondo me, è un aspetto che stato un po’ trascurato. Il rischio è che l’opposizione venga fatta fuori dal Parlamento in modo anche scomposto”.
Oltre al diritto di tribuna, un altro limite della legge Renzi/Berlusconi è rappresentato dalle candidature multiple che “servono solo ai capibastone. È la stessa cosa delle preferenze sotto mentite spoglie. Per cui, il capo del partito di turno che ha paura a candidarsi nella sua città perché teme di non essere votato, si presenta in diciotto città così almeno in una viene eletto. E questo è contrario alla logica del sistema”. Il rischio, comunque, è quello di una limitazione della rappresentanza democratica e per il presidente del MiR lo è ma ci sono dei momenti nella storia del mondo in cui, per riuscire ad uscire da certe fasi molto complesse,  è indispensabile un minimo di strozzatura ai principi classici della democrazia. Le porto un esempio non di attualità: in America c’è una regola non scritta, ma a cui tutti si attengono, per cui i Presidenti della Repubblica non possono candidarsi più di due volte. E’ una consuetudine che è rispettata. In tempo di guerra Franklin Delano Roosvelt ottenne il mandato tre volte. Anche in quel caso si pose il problema se quel fatto non avrebbe potuto aprire la porta a fenomeni di involuzione democratica, ma la situazione molto eccezionale ha fatto sì che tutti i commentatori americani avessero ritenuto che fosse accettabile quel temporaneo sacrificio. Noi abbiamo una situazione abbastanza speculare: siamo in una crisi economica strutturale e allora i processi decisionali, che comportano una democrazia compiuta al 100% del livello, non sempre sono in grado di rispondere a questa situazione. Un minimo di semplificazione, quindi, in questo momento forse è accettabile. È un prezzo accettabile da pagare per arrivare ad avere un Governo che in cinque anni sappia sviluppare un progetto di forti riforme”.
Il MiR, come prima riportato, è una delle poche forze che non propone un sistema elettorale, come potrebbe essere – ad esempio – un proporzionale puro o con sbarramenti, in alternativa all’Italicum. Per Samorì col proporzionale “la governabilità è molto attenuata perché non si riesce a determinare esattamente chi vince e non si può dare il premio di maggioranza a chi magari proporzionalmente ha preso il 23% o il 27%. Perché vuol dire dare in mano il Governo dell’Italia con una percentuale non rilevante del corpo elettorale. Ogni sistema elettorale ha le sue controindicazioni, questo è un dato di fatto”. Comunque sia, dal momento che anche dopo vent’anni di maggioritario non c’è mai stata la cosiddetta “maggioranza certa” giacché si è sempre dovuti ricorrere al premio per la coalizione che otteneva più voti, secondo il presidente del MiR nell’italicum sì, è presente un premio di maggioranza, ma “è previsto anche il doppio turno”. Certo è che “si può discutere poi se al primo turno esso debba scattare al 37%, al 40% o al 45% su questo va fatta una valutazione approfondita. Ma nel secondo turno uno dei due vince”.
Per Cesare Procaccini, segretario del PdCI (Partito dei Comunisti Italiani), invece, l’Italicum fa “impallidire la legge truffa perché è una legge anticostituzionale antidemocratica non solo per gli sbarramenti atti a garantire quasi esclusivamente i due partiti –  Pd e Forza Italia – ma si terrà senza rappresentanza istituzionale un corpo vastissimo di elettori”. “Quindi è una legge, quella che si sta delineando,  continua Procaccini – pericolosa per la partecipazione democratica”. Un altro elemento, però, viene considerato un imbroglio da parte del segretario del PdCI: l’abolizione del Senato, o meglio:  “la finta abolizione del Senato”, perché la “costituzione del Senato delle autonomie peggiorerà la situazione e acuirà il conflitto tra le diverse istituzioni”.
La proposta di Procaccini, in alternativa all’Italicum è una legge elettorale proporzionale senza sbarramenti: è dimostrato che non solo favorirebbe la partecipazione, ma dal punto di vista della tenuta elettorale è evidente che le maggioranze nate con sistema maggioritario non hanno retto. Perché la maggioranza del Governo Berlusconi, a cui è subentrato Monti, non era mai stata così alta, eppure non ha ottenuto e non ha eseguito nulla! Bisognerebbe andare a realizzare una legge elettorale proporzionale senza sbarramenti o, al massimo, con sbarramenti minimi e accompagnare a questo, allora sì, un superamento del bicameralismo per arrivare ad un sistema monocamerale. Così si ha la massima partecipazione e anche l’efficienza del sistema istituzionale. Da questo punto di vista si darebbe maggiore ruolo alle assemblee elettive e si andrebbe verso quella Repubblica delle autonomie, prevista dalla Costituzione”.
Per quanto riguarda, invece, il Partito della Rifondazione Comunista (Prc) Paolo Ferrero, segretario del partito, ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo un incontro. Si legge nella missiva: «Intendo farLe notare come questo grave attacco alla democrazia ed alla rappresentanza popolare sia fortemente accentuato dai contenuti del recentissimo ‘patto’ sulla modifica della legge elettorale siglato da Renzi e Berlusconi che – a nostro avviso e, come evidenziato in un recentissimo appello di autorevoli costituzionalisti – ci consegnano una proposta totalmente incompatibile con le indicazioni della Corte Costituzionale, che ha considerato illegittimo un premio di maggioranza “foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto”  e che ha contestato il principio della lista bloccata del Ddl Calderoli in quanto produce “un eccessiva divaricazione fra la composizione dell’ organo di rappresentanza politica e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto “anche perché – continua la Corte – le liste bloccate minano il principio “del sostegno personale dei cittadini agli eletti e ferisce la logica della rappresentanza consegnata dalla Costituzione” ».
Lo stesso segretario del Prc, raggiunto da ‘Lindro.it’ il 27 gennaio aveva dichiarato come l’italicum fosse una vera e propria«legge di regime, peggio del Porcellum» perché permane il dato del premio di maggioranza, l’idea di come «chi vince piglia tutto». Ferrero, dunque, continuava col dire come fosse «gravissimo che dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, Renzi riproponga una legge che è incostituzionale come quella», dal momento che l’idea di fondo dell’italicum è «di distruzione del pluralismo politico».
Oltre al Prc e al PdCI, un gruppo di Costituzionalisti, tra cui Gaetano Azzariti, Stefano Rodotà, Raniero La Valle, Mauro Barberis e Gianni Ferrara, si sono riuniti attorno ad un appello “ai Parlamentari della Repubblica: “Italicum peggio del Porcellum”. Nell’appello si legge: «La proposta di riforma elettorale depositata alla Camera a seguito dell’accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi consiste sostanzialmente, con pochi correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale – il cosiddetto “Porcellum” – e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014». Per questo «di fronte all’incredibile pervicacia con cui il sistema politico sta tentando di riprodurre con poche varianti lo stesso sistema elettorale che la Corte ha appena annullato perché in contrasto con tutti i principi della democrazia rappresentativa, i sottoscritti (i firmatari dell’appello) esprimono il loro sconcerto e la loro protesta».
Un altro appello, invece, prende il nome di “In nome del popolo sovrano”: partendo dalla Capitale, esso è riuscito a mettere insieme le federazioni romane del PdCI, del Prc e dei Verdi, insieme alla lista Repubblica Romana, Libera Cittadinanza e i comitati Boicotta il Biscione, Viva la Costituzione fino ad arrivare a Giuristi Democratici. Nell’appello i soggetti aderenti spiegano il loro essere contro la proposta Renzi/Berlusconi «perché vìola le regole fondamentali della democrazia e dello stato di diritto. Perché contraddice lo spirito della Costituzione e l’alta lezione storica dei Padri e delle Madri costituenti. Perché ignora e beffa la sentenza della Consulta e le sue motivazioni .E perché noi crediamo che la crisi profonda di questo Paese – crisi istituzionale, politica, civile, culturale, sociale, economica, occupazionale – debba essere affrontata solo da una rappresentanza forte di un potere costituente democraticamente attribuito dal popolo sovrano».
Tornando alle forze politiche, invece, Stefano de Luca segretario del PLI (Partito Liberale Italiano) afferma di essere assolutamente a favore del proporzionale, però, come spiego in un articolo che ho scritto, rintracciabile sul sito del partito, ci sono vari tipi e varie formule e per esempio c’è il proporzionale con le preferenze come lo avevamo fino al 1992. Non sono uno che mette al rogo o condanna le preferenze, per intenderci, non c’è dubbio che in alcune aree del paese le preferenze hanno portato qualche fenomeno di corruzione, di scambio. Soprattutto oggigiorno in cui non ci sono più i partiti ma ci sono dei comitati elettorali permanenti: uomini che hanno grandi ambizioni e grandi mezzi per cui possono spendere dei soldi per investire nella buona riuscita del loro obiettivo.
La soluzione a questo, però, è il collegio uninominale.
Per il segretario liberale l’Italicum prende il peggio del sistema francese, spagnolo ed anglosassone: Il sistema che è stato inventato dal duo Renzi/Berlusconi è il peggiore che ci si poteva immaginare perché prende, in primis, il peggio del sistema francese per quanto riguarda il doppio turno. E questo perché in Francia il primo turno è riservato ai partiti poi arrivano gli accordi tra le liste e dopo si  passa al secondo turno. Viceversa qui, nell’Italicum, si fa l’accordo al primo turno, i partiti che non hanno raggiunto la soglia hanno regalato agli altri la propria fetta di consenso e vanno a casa mentre per il secondo turno sono vietati gli accordi. E’ stato architettato ad hoc per imporre la dittatura dei partiti più grandi, in mano a personaggi che hanno più forza e potere mediatico. Prende, poi, il peggio del sistema spagnolo: cioè i collegi piccoli che favoriscono i partiti grandi, ovviamente, perché è chiaro che i partiti di più modeste percentuali avrebbero bisogno del proporzionale per potere avere, nel quadro complessivo del Paese, una rappresentanza. In più non ci sono collegi piccoli e uninominali ma piccoli con più candidati imposti. E mi dica lei, che differenza c’è tra Italicum e Porcellum? Nessuna, comunque è un Parlamento di nominati. Si prende, poi, il peggio della tradizione britannica con la differenza che in Inghilterra c’è la tradizione del bipartitismo! Questo sistema è, ripeto, il peggiore che si poteva immaginare”.
A questo De Luca propone una sua soluzione: “Propongo un sistema con collegi piccoli uninominali –  ‘tanti deputati da eleggere tanti collegi’ –  con la possibilità per i partiti che hanno raggiunto l’1% di avere un diritto di tribuna. Un deputato ogni 1% oppure uno ogni frazione: se ho l’1,1% 2 deputati, se ho raggiunto il 2,1%, allora saranno 3 deputati. Anche perché altrimenti il sistema politico non avrà mai osmosi: se tu il parere dei minori non ce l’hai è chiaro che il Parlamento  resterà mummificato! Però, con un corollario molto importante. Il numero dei parlamentari non deve essere per forza fisso. Anziché fare il doppio turno e prendere il 37% dei seggi con lo scatto del premio di maggioranza, io prendo il 37% più il bonus, cioè, poniamo, il 10%. Tutto il resto lo devo dividere tra gli altri. Ma come? Ognuno in proporzione a ciò che ha avuto! Cioè: non è detto che la Camera debba avere 630 deputati, ne potrebbe avere anche 450. In sostanza: se il primo partito prende il 27%, il 28% o il 30% non c’è bisogno del doppio turno dal momento che il primo partito prende un premio di governabilità e gli altri prendono la percentuale che hanno. Questo che cosa eviterebbe? Una cosa semplicissima: il rischio di un doppio turno all’italiana.  Se, per esempio, la coalizione di Berlusconi raggiunge il 36,9% e il PD il 30, siccome gli alleati del primo turno di Forza Italia, se non hanno superato la soglia vanno a casa non impegnandosi nella campagna elettorale, chi ha perso il primo turno vince le elezioni. Può succedere!”.
Infine Marco Cappato, già europarlamentare e consigliere comunale a Milano, di Radicali Italiani propone la legge elettorale che i Radicali propongono da sempre e che nei sondaggi d’opinione è la più popolare e, cioè, il sistema americano: maggioritario secco ad un turno con collegi uninominali, sistema federalista e presidenzialista. Proprio perché è il sistema elettorale più popolare non è stato nemmeno preso in considerazione come ipotesi di partenza, tantomeno ipotizzato da nessuno, perché è una proposta in grado di togliere potere ai partiti, alle correnti e alle corporazioni per mettere al centro della competizione elettorale i candidati, cioè le persone, con la loro storia e i territori con le loro esigenze. Quindi la logica che unisce Renzi e Berlusconi, ma come loro anche quella di Veltroni e degli altri, è pensare che in Italia il grande problema della democrazia siano i ricatti dei piccoli partiti. In realtà il grande problema, in Italia, sono i ricatti e i furti dei piccoli e dei grandi partiti contro l’interesse generale del paese e degli elettori”.
Ma il bipartitismo, caratteristica peculiare del sistema americano, non è il bipolarismo, afferma Cappato, perché “nel sistema anglosassone, ad esempio, la politica come dovrebbe essere, non è limitata ai soli partiti: ci sono i parlamentari che rappresentano i territori e poi ci sono migliaia di partiti, di formazioni e associazioni. La politica non è ridotta al livello dei partiti, noi come Radicali sappiamo benissimo che nel sistema bipartitista, per dire, non potremmo presentare da soli il nostro candidato, ma sappiamo benissimo anche che questo non sarebbe un problema perché il risultato da ottenere, che è al centro della competizione elettorale, è il candidato e non il partito! Questo è il punto di fondo di ogni legge elettorale”.

L'Europa al bivio

Articolo pubblicato su Lindro.it https://www.lindro.it/l-europa-al-bivio/
La tornata elettorale europea va ad innestarsi in un quadro politico nazionale di caos magmatico: le larghe intese si sono fatte più strette ma le sue politiche, di fatto, non sono cambiate; i vertici del Pd sono diventati più cool con l’avvento alla segreteria di Matteo Renzi e propongono di cambiare passo a partire dalla legge elettorale (rigorosamente maggioritaria); il Pdl è diventato (o tornato, che dir si voglia in questo caso) Forza Italia con l’esclusione dal Senato di Silvio Berlusconi.
In un apparente clima di attendismo, ogni forza politica presente nel Transatlantico sta muovendo le proprie pedine, ben coperta da uno spesso sipario, per cercare di forzare i tempi ed andare alle elezioni nazionali assieme a quelle europee.
Le elezioni europee, dunque, dovrebbero tenersi nella seconda metà di maggio, quattro anni dopo quelle di metà giugno 2009, le due tornate elettorali, però, non si assomigliano affatto.
Nel 2009 un redivivo Berlusconi dominava nuovamente le scene della politica italiana con il Pdl, il Partito Democratico era in ritirata dopo la recente ferita aperta della sconfitta, la Lega Nord raggiungeva picchi mai raggiunti così come l’Idv di Antonio di Pietro; a destra del Pdl tutto era più o meno narcotizzato dal partito di Berlusconi che prendeva l’arraffabile delle cosiddette liste minori e a sinistra del Pd si era appena consumata l’ennesima scissione dal partito della Rifondazione Comunista: Nichi Vendola, assieme ai Verdi, al Psi e a parti del Pdci, aveva dato vita al cartello elettorale che, di lì a qualche mese, avrebbe dato vita a “sinistra ecologia libertà”.
Non vi era ancora traccia, però, dei tredici mesi di governo tecnico guidato da Mario Monti e le sue misure lacrime e sangue, così come non era ancora presente in maniera così massiccia il Movimento 5 stelle.
Le liste civiche a 5 stelle andavano ancora formandosi e non riscuotevano il successo che ora possiede il movimento che dovrà decidere, quindi, a quale federazione dell’Europarlamento aderire.
Il tema dello scetticismo riguardo l’Ue, comunque, si è fatto largo negli ultimi tempi e proprio nell’anno appena trascorso, diverse formazioni politiche di diversi paesi dell’Ue hanno fatto riferimento ad un possibile referendum sull’Euro e sull’Unione Europea.
Insomma, di fattori diversi ce ne sono e anche molti: dall’euroscettiscismo all’europopulismo, dal nuovo sistema di voto per le europee alle federazioni dei partiti all’interno del parlamento europeo. Per sbrogliare il bandolo della matassa abbiamo contattato il prof. Arduino Paniccia,  docente di Studi Strategici e Relazioni Internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche di Trieste, autore del volume “Trasformare il Futuro”.
Alle prossime elezioni europee, dunque, si voterà con un sistema diverso da quello del 2009 ma per Paniccia questa che verrà sarà l’ “elezione più importante, dalla prima che si è tenuta, per l’elezione del Parlamento Europeo. E questo sia per il nuovo sistema di voto che  per quanto mi riguarda non è così influente nei suoi aspetti strutturali, sia dal punto di vista politico. Il nuovo sistema di voto tenta di fare due cose: portare il Parlamento più vicino ai cittadini che lo votano e portare il Parlamento più vicino, anzi, strettamente collegato alla Commissione. Tentare di fare quello che già è stato fatto nella storia dei governi nazionali: cioè di portare il Parlamento che esprime, sostanzialmente, il governo. Questo è un tentativo della tecnocrazia europea, della burocrazia europea, di salvare capre e cavoli. Perché salvare capre e cavoli? Perché queste sono le elezioni più determinanti, più pericolose, più sostanziose, della storia dell’Unione europea. Perché queste elezioni potrebbero – anziché raggiungere due obiettivi anzidetti (avvicinamento del Parlamento al popolo europeo  e avvicinamento del Parlamento al Governo Europeo), diventare un referendum contro l’unione germanica europea o unione dei paesi del Nord, chiamiamola così in termini strategici, o potrebbero diventare il luogo dell’astensione. Questo è il duplice aspetto, la duplice analisi: se uno conduce un’analisi sui sistemi e sul voto, allora può fare un’analisi che, secondo me, non serve a moltissimo; mentre invece, l’altro tipo di analisi, detiene, antestante, il vero problema problema politico: Unione Europea “sì” o “no”,  Euro “sì” o “no” oppure disinteresse ed astensione.”
Quindi il tema del referendum sull’Unione Europea è quantomai vivo, anche a causa degli euroscetticismi ed europopulismi – come sono stati caratterizzati dalla stampa in queste settimane – che vanno sempre più espandendo il loro raggio d’azione raggiungendo consensi dove prima c’era un vuoto. A partire dallo germanocentrismodell’UE, il prof. Paniccia cerca di chiarire l’euroscetticismo e il termine europopulismo affermando che “per certi versi sono termini anche contrari” e pesano, elettoralmente parlando, in maniera molto differente dal momento che l’euroscetticismo, in termini di percentuale, pesa di più. Se noi volessimo condurre un’analisi strategica l’euroscetticismo si andrebbe a collocare attorno al 40%, (considerando i non voti, le schede bianche, la diserzione elettorale eccetera), l’europopulismo, il nazionalpopolarismo si potrebbe collocare attorno al 20%. Ma comunque si sta parlando di medie”, dal momento che un fenomeno può reagire diversamente rispetto all’altro nel contesto di un dato Paese. “Secondo me, brevemente, facendo una media, l’euroscetticismo si prende il 40% dei consensi e i cosiddetti nazionalpopolari il 20%: i primi, comunque, sono numericamente di più ma non vuol dire niente! L’euroscettico è uno che sta nell’ombra, che si nasconde dietro la scheda bianca, dietro l’astensione, oppure dietro il disinteresse, o nello scetticismo da salotto. Un tempo c’erano i radical chic,  adesso c’è l’euroscetticismo: colui che nella riunione importante non ha il coraggio di attaccare l’Europa, di dire che è un fallimento, ma nel salotto vagheggia sulla questione e non dice ciò ritiene opportuno. Lo scettico non è uno che va all’attacco, il suo contrario – quindi – è il  nazionalpopolare che gli si pone brutalmente in antitesi: va in televisione, finisce sui media, afferma che si debbano cacciare gli immigrati. E’ un altro tipo di personaggio, dunque. Quel 20%, dal punto di vista dell’impatto della forza d’urto, vale molto di più di quel 40% dell’euroscetticismo, quindi”.
E anche la stessa strutturazione dei partiti Europei, intesi come federazioni al cui interno vi sono i partiti nazionali, è “vecchio modo di concepire la politica” perché “è funzionale al tentativo che dicevo prima, cioè, di rendere più popolare (non nazionalpopolare) il discorso del distacco fra l’Europa e i popoli”.

“Oggi i grandi temi dell’Europa non sono quelli individuati sempre nei segmenti di tipo politico, delle vecchie litanie che sentiamo anche in Italia, di cui non ne possiamo più. Quelli nuovi sono temi completamente diversi: sono la spaccatura tra Nord e sud dell’Europa, è il chiedersi che fine farà questa massa di giovani che sta cominciando a rassegnarsi all’Unione Sovietica europea” che per Paniccia rappresenta il processo per cui, “terminata l’industrializzazione, i nostri giovani, non addestrati dall’università, non dalle famiglie, stanno rifluendo in una specie di grillismo del salario minimo garantito, e la sera vanno a bere lo spritz. L’unione sovietica europea, quindi, è il tentativo di dare a 500 milioni di persone, invece che un futuro di competizione, di primi posti, di capacità e di competere, di restare nei grandi continenti, (come la Cina negli Stati Uniti, il subcontinente alla brasiliana) di avere un’Europa che produce delle cose anche interessanti, ma di seconda linea. Ho dei grandi dubbi che si possa rimanere  tra quelli che contano senza che si possa competere duramente”.

Quindi serve una ritrattazione dei trattati europei?
“Ha capito quello che le volevo dire: io sono a favore della revisione totale dei trattati europei. Hanno fallito. Un trattato che ti porta alla debacle è un trattato che ha perso, che non vale niente, come si fa a non ridiscuterli? Solo degli ottusi possono continuare a sostenere i trattati e lo fanno per un motivo ideologico: noi, però, dobbiamo guardare con sospetto tutto quello che è ideologico. Per questo prima l’ho chiamata Unione sovietica europea, e prima Unione Germanica. Perché tradizionalmente sono delle posizioni ideologiche, quelle dei tedeschi, per esempio, che per anni hanno fatto il loro interesse mentre ora sono diventati delle vestali del sacrificio (per gli altri). La posizione pragmatica, di cui si occupa uno che fa strategia (che è all’opposto dell’ideologia), è quella di andare subito alla revisione dei trattati perché quando un trattato viene sottoscritto e poi fallisce è da ritrattare immediatamente. In essi, poi, è riportato più volte, la dicitura della stabilità dei prezzi. Ma l’Europa, un Continente, è un negozio di alimentari? Non scherziamo…”