Nembro e il bar solidale. [La cooperativa? Un'alternativa alla crisi].

«Sai, la clientela è quasi sempre la medesima: siamo diventati il bar della piazza» e questo ha aiutato Gherim a riprendersi dai momenti negativi. Quelli legati al lockdown, ad esempio. Quando ero a Roma, durante gli anni scolastici del Covid, non sapevo neanche dove collocare Nembro sulla cartina. Ora che vivo da queste parti è tutta un’altra storia. Da quel momento in poi la storia di Gherim prende una piega diversa: «abbiamo attraversato varie fasi e, se devo dirti, non so davvero se riesco a ricordarle tutte». 

È il 16 maggio [2025] e, terminata la registrazione dell’intervista che sarà poi pubblicata il 19 su L’Eco di Bergamo, mi concedo un altro po’ di tempo con Francesca, la responsabile della bottega. La cooperativa ha affrontato un momento per niente facile da superare: qui la scure del Covid si è abbattuta con maggior forza ma da quel dì è passato un lustro. 

«All’inizio non capivamo minimamente cosa stesse succedendo: avevamo paura perché arrivavano notizie in continuazione di amici o parenti che si ammalavano e morivano nel giro di pochi giorni. In pochissimo tempo ci siamo trincerati in casa: non uscivamo più». Il paese era bloccato. Tredicimila anime alle porte di Bergamo, al principio della Valle Seriana, una delle principali valli bergamasche. «Con i miei genitori – continua Francesca – avevo stabilito un orario per le chiamate: se ci fossimo sentiti ad orari diversi da quelli prestabiliti, avrebbe voluto dire mettersi in ‘allarme’». 
«Le campane suonavano a morto sempre più spesso, poi il parroco ha smesso anche di farle suonare. Il silenzio nel paese era spettrale ed era rotto solamente dalle sirene delle ambulanze che pure, con il susseguirsi dei giorni e all’aumentare delle chiamate, hanno deciso di presentarsi in silenzio e senza annunciare la propria presenza». 
Ma, in un modo o nell’altro, Gherim ha retto. 
«Ci sono stati riconoscimenti, i famosi ristori per mancata produzione: non è stato tanto ma neanche poco. Gli affitti sono stati stornati, le utenze non hanno pesato così tanto (avevamo spento tutto), ai dipendenti è stata riconosciuta una percentuale senza andar a gravare sulla coop: ci si è messi in cassa integrazione, tranne quando, successivamente, abbiamo ricominciato l’attività» Ma anche la riapertura subiva continue oscillazioni e seguiva il flusso dei numeri pubblicati dai bollettini nel corso delle varie conferenze stampa serali: una situazione che continuava ad essere difficile da fronteggiare. 

«Come dipendenti c’erano solo Marco e Simona. Lei è venuta a mancare proprio quando sembrava che fossimo riusciti a venire a capo delle montagne russe delle continue chiusure e riaperture. Quando Simona ci ha lasciato ho pensato che fosse davvero troppo». Nei locali sopra il seminterrato in cui proseguiva la nostra conversazione, gli avventori del bar continuavano ad affluire: le risate spezzavano la tragicità del ricordo e gli ordini creativi di bevande, più simili a preparazioni galeniche che ad ordinari caffè, venivano enunciate una dopo l’altra.
«Passo dopo passo ce l’abbiamo fatta ma sono stati mesi pesanti», sospira Francesca.

Il 31 dicembre [2025] scadrà la convenzione col comune per la gestione dei locali e Nembro potrebbe non vivere più lo spazio del Modernissimo gestito da Gherim ma la cooperativa pare aver ricevuto in dote il dono della resistenza. La situazione vissuta cinque anni fa ha mostrato che l’organizzazione cooperativa può essere una risposta alla crisi: «saremmo, effettivamente, già naufragati», ha affermato Francesca. 
Il sistema cooperativistico può rappresentare la risposta alla crisi economica e sociale, al di là di chi ha speculato su tale sistema, sull’organizzazione in sé, compromettendone la funzione agli occhi dell'opinione pubblica. Certo è che «i volontari sono stati fondamentali: si sono rimboccati le maniche, hanno tamponato la mancanza di Simona fin da subito e hanno continuato ad essere una presenza costante successivamente». 
Dopo Simona, però, viene a mancare anche Sandro il responsabile della regia per gli eventi dell’Auditorium. Un'altra batosta.

«Una volta andato in pensione, aveva deciso di spendersi per la causa ed era qui tutti i giorni per svariate ore. Ha perfezionato tutto quel che era possibile, a regola d’arte. Ad oggi, il suo lavoro è stato sostituito da altri quattro. A detta loro "in quattro non riusciamo a fare quel che faceva lui" ma continuano a farlo per far sì che tutto il suo lavoro non vada sprecato, non riescono a sopperire alla sua professionalità, pur mantenendo in vita tutto quello che Sandro aveva costruito». 

Se si entra da Gherim per un caffè stando in piedi al bancone (come da prassi italianissima per la consumazione della tazzina) e si fa attenzione alla propria sinistra, si noteranno due foto: una di Simona e l'altra di Sandro. Un ricordo del prima perché il dopo non sia manchevole, soprattutto per chi non ha vissuto quella stagione
Qualsiasi cosa succeda dopo il 31 dicembre.

Maria alle prese col suo primo caffè.
Ultimo scatto di una Kodak usa e getta che ci è stata regalata dalle chicas Letizia e Francesca prima del viaggio in Vietnam. 

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