Quando il rock parlava (anche) russo

Ci sono quattro musicisti sul palco. Il chitarrista, uno dei due con l'elettrica al collo, si avvicina al microfono e abbozza un saluto: «Привет!» (Ciao!). È Yuri Dimitrevich Kasparyan, chitarrista dei Kino: senza perder troppo tempo inizia a suonare intonando distintamente le note di una delle canzoni che ha reso famoso il gruppo nel corso degli anni '80 del secolo scorso. C'è anche una voce che canta ma nessuno dei quattro sta effettivamente proferendo parola di fronte al microfono. Eppure la voce è propagata chiaramente e distintamente dagli altoparlanti: si riesce a distinguere in maniera cristallina. È una voce calda e leggerissimamente gutturale, comunque molto profonda. Nessuno sta cantando il 31 gennaio 2021 a San Pietroburgo assieme ai Kino: non si tratta di una voce del presente. Non appartiene a questo tempo e all'oggi ma ad un vago "ieri". O meglio: appartiene agli anni '80 (anche lei) e li si è cristallizzata per sempre nei dischi dei Kino. Nessuno sta cantando eppure la voce si distingue nitidamente. Il fatto è che la voce di Viktor Tsoi ha cessato di essere associata al corpo che gli apparteneva nel 1990, quando c'era ancora l'Urss e la dissoluzione era a un passo. Il concerto dei Kino senza il frontman ha rappresentato un'emozione enorme per tutti i presenti: nel video del concerto, caricato su Youtube dal gruppo stesso, ci sono evidenti segni di commozione tra i presenti. Metafisica dell'assenza che è anche presenza.

L'argomento che sento l'urgenza di trattare è quello relativo ad una parte della musica pop-rock prodotta in Russia a partire dalla fine degli anni '70 fino agli anni '90 del Novecento. Fino, cioè, alla dissoluzione dell'Urss. Un articolo molto interessante sul fenomeno dei kvartirniki è stato scritto da Martina Napolitano per Il Tascabile. Rimando a quello per chiarimenti sull'underground sovietico "d'appartamento". Se si vuole leggere un post stracolmo di aprioristico sentimento di chi cura questo spazio verso le cose che lo appassionano, allora siete nel posto giusto.

L'invasione russa ai danni dell'Ucraina ha fatto scoppiare un'insensata russofobia per cui non sto qui a citare nuovamente tutto quel che è capitato (ad esempio) alle lezioni e alle presentazioni dello scrittore Paolo Nori, nonché all'assurda "caccia al nemico" che è andata sviluppandosi in questa fase della storia umana. Chi batte queste righe sogna che lo scrittore sopracitato leggesse questo suo post stracolmo di aprioristico sentimento perché la devozione che ha per i Kino è pari a quella che ha per Nori. Ma non è sicuro che possa accadere. Ad ogni modo, è bene tornare a parlare di Viktor Tsoi e del suo gruppo.

Figlio di un ingegnere di origini nordcoreane e di un'insegnante russa, visse e lavorò a San Pietroburgo dando alla luce un figlio: Aleksandr, classe 1985, uno dei principali sostenitori del progetto di reunion del gruppo e di recupero del materiale d'archivio di suo padre. Prima del concerto nell'ex zona industriale di San Pietroburgo, erano state messe in atto delle prove per poter vedere se la cosa effettivamente potesse davvero funzionare: suonare con Viktor Tsoi senza che lui ci sia, sentire la sua voce e calibrare i musicisti che suonano dal vivo con lui dall'aldilà. In uno dei primi video di promozione del concerto tenuto il 31 gennaio scorso [2021], Aleksandr Tsoi ha commentato l'idea con un semplice, quanto emblematico: «круто!» (figo!).

La contestazione nel rock sovietico
Negli anni '80 un'altra invasione (che nulla ha a che vedere con la guerra russo-ucraina in atto, tanto per chiarire) aveva portato a galla le criticità e le problematiche del sistema burocratico-sovietico di fine anni '80: si sta parlando dell'invasione dell'Afghanistan. Uno stato socialista invade un altro stato socialista: cortocircuito politico-ideologico e morti, stragi, eserciti che combattono. Nel 1979 l'invasione dell'Afghanistan aveva iniziato a mobilitare un'avanguardia di persone che si stavano mostrando ostili a quel conflitto insensato: nel 1988 uscirà uno dei dischi più rappresentativi dei Kino e della discografia di Viktor Tsoi.

Canzone che da' il nome al disco: Gruppa krovi, gruppo sanguigno. Il Vietnam statunitense era ormai passato eppure il movimento pacifista e contro la guerra avrebbe segnato per sempre l'immaginario politico, culturale, musicale della contestazione mondiale. "Run through the jungle" dei Creedence clearwater revival non era solo una canzone quanto piuttosto un manifesto politico contro la guerra e nei confronti dell'insensatezza di un conflitto che, col passare degli anni, si vedeva intensificare in violenza, morti e recrudescenza nei confronti di ogni tipo di resistenza armata contro l'esercito americano.

Gruppa krovi può essere considerata una sorta di manifesto di quell'epoca "dall'altra parte della cortina di ferro": così come la canzone dei Ccr aveva una marcata valenza anti-bellicista, così "gruppo sanguigno" portava in dote una dura reprimenda nei confronti dell'insensatezza della guerra in atto da ormai troppi anni. 

«Il mio gruppo sanguigno lo vedi sulla spalla: augurami buona fortuna quando sarò in battaglia».

Il rock negli anni '80 parlava russo e non soltanto nei confini delle repubbliche socialiste sovietiche ma anche oltrecortina. Ci furono contatti, in effetti, tra Tsoi e parte della società statunitense tanto che il disco in oggetto venne anche registrato per il mercato d'oltreoceano e le canzoni cantate in inglese.

   

Non basterebbe un giorno per descrivere la creatività, l'ecletticità dei Kino e del suo fondatore, attorno a cui è stato girato un film "Leto" nel 2018 con una regia russo-francese e una trama davvero peculiare. Il rapporto della contestazione di chi viveva ai margini della società sovietica e suonava rock è descritto in modo curioso e rappresenta una sorta di unicum, fondendo immaginazione e realtà. Celebre l'incontro/scontro tra Tsoi e Naumenko che occupa praticamente tutta la pellicola: "Come fai a dire di poter utilizzare una drum machine per suonare rock? Dobbiamo utilizzare strumenti veri, non roba che ti fa essere pop/dance!". Naumenko avrebbe voluto rappresentare l'avanguardia del rock sovietico ma non riusciva ad essere al passo coi tempi: i suoi anni '80 erano ancora in odor di "rock around the clock" mentre Tsoi aveva già lo sguardo posato altrove.

Tra finzione e pellicola, tra racconto filmico e realtà, così anche queste righe si muovono tra una canzone e l'altra, cercando di sgusciare sinuosamente come le note del basso di Igor Tikhomirov. L'atmosfera del paese che stava cambiando e in cui c'era una vita da vivere pienamente, nonostante le contraddizioni della burocrazia sovietica di quegli anni, è rappresentata pienamente da un'altra delle canzoni tra le più iconiche di Tsoi: Trolleybus, filobus. 

«Il mio vicino non può andar via: non conosce la strada [...] Non c'è autista in cabina, ma il filobus è acceso, il motore è arrugginito, ma andiamo avanti / stiamo seduti senza respirare»

Un'atmosfera che prelude al fenomeno dei doomer e dei gruppi post-punk post sovietici di cui la scena musicale russa - nonché di tutto l'est Europa - pullula, basti pensare ai Ploho, Durnoy Vkus e agli oramai ben più celebri Molchat Doma.

Mia mamma si chiama Anarchia: mio padre è un bicchiere di Porto
Quando la tensione della censura sovietica stava per essere allentata, l'irriverenza e la creatività di Tsoi diedero alla luce una delle canzoni più particolari della sua produzione: "Mamma Anarchia". Chitarra asciutta, batteria martellante: un brano punk a tutti gli effetti. Alla censura, per far passare la canzone, venne detto che era stata creata con uno scopo ben preciso: irridere il punk occidentale: «l'importante è che mi facciano cantare le mie canzoni e mi facciano suonare», quel che si dice "avere chiaro e limpido quel che si vuole fare nella vita, dato che per mantenere la famiglia e la sua vocazione da rockstar, Tsoi lavorava nei locali delle caldaie del suo condominio (soprannnominata da Tsoi stesso "Kamchatka"). Sembra di ascoltare un riff tipico dei Sex Pistols o di altri gruppi punk occidentali e, invece, ecco che arriva la voce dell'est:

«Un soldato tornava a piedi a casa / Trovò dei ragazzi per strada. / “Ehi, ragazzi, chi è la vostra mamma?” / Quel giorno chiese loro il soldato. / Mia mamma è l'anarchia, mio papà un bicchiere di porto! / Avevan tutti giubbotti di pelle / E tutti di bassa statura. / Il soldato provò a andare avanti / Però non ci riuscì. / Uno scherzo un po' insolito / Gli giocarono poi quei ragazzi / Gli pitturarono il viso di rosso e blu / E gli fecero dire parolacce». [1]

Gli pitturarono la faccia di rosso e blu: la futura federazione russa e la Csi stavano sorgendo tra i versi irriverenti di una canzone punk del gruppo più famoso della Russia sovietica; la bandiera tricolore era tanto manifestazione della contestazione quanto dissacrazione del potere militare di quel periodo. Il video qui sotto riproduce la canzone cantata alla fine del concerto citato all'inizio di questo scritto: le chitarre e la batteria sono acide e corpose al tempo stesso, così come la canzone doveva mostrarsi alle orecchie di chi l'ascoltava attorno al 1985.

Ascoltare i Kino ora, nel 2022, potrebbe rappresentare forse un esercizio vintage, per così dire, specie per gli occidentali. Tuttavia, Viktor Tsoi e il suo essere tutt'ora una vera e propria icona per tutti i paesi russofoni, rappresenta un esempio e un elemento di studio per il rock mondiale.
Di come esso sia, in un certo qual modo, una sorta di koiné che travalica muri e sistemi politico-ideologici.

[1] La traduzione della canzone è reperibile qui: https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=45313&lang=it

 

La foto a corredo del post appartiene al blog "Meg in Moscow" © e ne detiene tutti i diritti. È visibile qui: https://moscowmeg.com/2020/10/21/a-staycation-in-moscow/

Bestiale domenica: non basta la volontà a sconfigger la "malasorte"

Foto di Federico Nutricato
 

Non è facile raccontare questa domenica di fine marzo in cui la Borgata ha disputato la gara di ritorno contro l'Undici Calcio: spesso il modo migliore per ricostruire qualcosa che prende una piega diversa da quel che si stava prospettando in corso d'opera, val la pena prenderla dalla fine. Partire a raccontare da com'è finita, in buona sostanza. La domenica della Borgata inizia e finisce allo stesso modo: ricordando il compagno Dorno dell'Atletico San Lorenzo: prima del calcio d'inizio con un minuto di silenzio, con una foto assieme all'Under17 dell'Atletico (insieme ai cori dei tifosi) prima di salutare la squadra granata.

Capitan Zannini è visibilmente provato da una partita in cui ha dato tutto e di più: lo sguardo è penetrante e lascia trasparire molta tristezza e infinito rammarico, così come molta rabbia. «Ce l'hanno presa per due falli...», mormora, rimuginando, Zannini, mentre protende il corpo all'indietro e rivolge i palmi verso l'alto in segno di resa. Ci pensano i tifosi e mister Amico a ritirarlo su: gli mette una mano sulla spalla e si torna dentro gli spogliatoi. E sì che oggi le premesse per l'aprioristica disfatta c'erano tutte: confronto con la capolista, partita d'andata persa per 3 reti a 1, distacco in classifica (tutt'ora) consistente (22 punti), rosa corta contro compagine ospite che riesce a convocare venti uomini in lista. L'Undici Calcio, poi, detiene uno dei primati del Girone E della Seconda Categoria laziale: dodici partite senza sconfitte. Poco altro da dire: sulla carta, numeri alla mano, una partita complicatissima.

Affidarsi, però, solo ai numeri e alle statistiche non sempre porta ad una lettura complessiva delle cose: la Borgata ha fatto “la linguaccia” ai mostri che le stavano col fiato sul collo e ha imparato a scrollarsi di dosso la paura dimostrando – fin dal primo istante della partita – di non essere scesa nel rettangolo verde per lasciare tutto in mano alla squadra ospite. La Borgata ha imparato a soffrire e a gestire le situazioni di difficoltà: come tutte le cose in divenire, anche la squadra ha bisogno di tornare a crescere insieme ed è questo quel che ha mostrato per tutta la prima frazione di gioco.

Il primo tempo si apre con ritmi alti e serrati: l’Undici pressa la Borgata che inizia dal principio a mostrare segni di evidente sofferenza, priva ne è la punizione di Di Sabatino (U) terminata sulla traversa della porta difesa da Poma al 9’ del primo tempo. Gli ospiti tentano di imporre il proprio gioco e di imprimere alla gara un senso che non sia favorevole ai granata: i binari devono essere quelli giusti, dal punto di vista della squadra diretta da mister Giuseppucci, non quelli della squadra avversaria di mister Amico (che oggi figurava anche tra gli elementi a disposizione della squadra).

La squadra ospite vuole aprire subito le danze e fare in modo di orchestrare tanto il ritmo quanto cadenzando accenti e variazioni su tema: i biancoblu puntano al gol che pieghi la testa e la psiche dell’avversario granata. Per sfortuna di mister Giuseppucci, a difendere i pali c’è il “solito” Poma che al 22’ salva il risultato con un gran gesto atletico. Le occasioni dell’Undici Calcio, tuttavia, ci sono e tentano sempre di pungere velenosamente: al 25’ è Vespa a farsi vedere nell’area granata: tenta l’imbucata, eludendo la difesa locale, ma il tiro finisce ben alto sopra la traversa; al 38’ è la punizione di Di Sabatino ad impensierire i locali tanto che un colpo di testa di un difensore granata stava per trafiggere Poma che, reattivo, devia immantinente in corner. Vespa è la spina nel fianco della Borgata, limitatamente alla prima frazione di gioco: in situazioni di pericolo si impara subito dai propri errori e, una volta tornati in campo per la seconda frazione di gioco, le incursioni della mezzala avversaria verranno arginate. Quasi allo scadere del primo tempo, arriva il gol avversario: azione rocambolesca in area locale, Bianchi (U) ne approfitta per superare un difensore e trafiggere Poma con un pallonetto. La direzione arbitrale ha dimostrato di non essere impeccabile – eufemisticamente parlando – proprio a partire da quest’episodio per cui capitan Zannini verrà ammonito a causa delle sue rimostranze con il signor Mariano della sezione di Roma2.

Nella ripresa la Borgata scende in campo con la volontà di livellare nuovamente il risultato: all’8’ è Zannini che tenta l’incornata su punizione di Mascioli: l’estremo difensore Falconi è reattivo e blocca in due tempi. Il capitano se la prende con la rete del campo: è la grinta necessaria per poter ripartire scaricando la tensione negativa a seguito della mancata concretizzazione dell’azione. Al quarto d’ora, però, sembra che la Borgata abbia già esaurito la propria spinta propulsiva: l’Undici si chiude e, col passare dei minuti, sembra che voglia semplicemente portare a casa la partita. “Campo ostico, quello della Borgata, tanto vale chiudere qui”, avranno pensato i biancoblu. Lanci lunghi, le cosiddette “pallonate”, perdite di tempo e atteggiamenti indisponenti che irretiscono i giocatori della Borgata.

Gli undici granata, inizialmente, cadono nella trappola tesa dall’Undici, poi iniziano a reagire più concretamente e cominciano a creare occasioni: Mascioli calcia un’altra punizione ma è copia conforme con quella della prima frazione di gioco e non va a segno. Il 10 si dispera: non ci sta, ma il suo momento è nell’aria. Al 26’ è Capostagno a provare il tiro da fuori area: fuori dallo specchio della porta anche quello. La buona sorte sembra aver abbandonato gli uomini di mister Amico il quale, una volta espulso dal campo, trascorre il resto della partita a cantare e ad incitare i suoi da fuori: animo ultras, verrebbe da dire. Il minuto successivo (27’) è ancora Mascioli, imbeccato da Rufini, a farsi vedere dalle parti di Falconi ma, ancora una volta, la sortita è senza successo. Il pareggio è evidente che sta per arrivare e giunge nemmeno un pugno di minuti dopo su punizione a seguito del fallo da ultimo uomo di Boccia (U) al 30’: rosso diretto. Su punizione Mascioli insacca e il muro granata viene giù nella felicità incontenibile. La partita è ripresa e ora c’è da gestire la nuova situazione di superiorità numerica: i granata premono ma non così tanto come vorrebbero, complice una direzione arbitrale generosa nell’applicazione manualistica della norma, non sempre a fuoco nel vedere e valutare quel che accade in campo.

Lo spazio lasciato ad Innocenzi (U) è il preludio della beffa che aleggia su Via Verrio Flacco: nei minuti finali saltano tutti gli schemi e le due squadre si affrontano all’arma bianca. Fioccano cartellini, volano palloni da una parte all’altra del rettangolo verde. Il 2 ospite cerca di impensierire la difesa granata riuscendoci ma non pesca quasi mai i suoi in posizione buona. Al 48’, però, la partita finisce davvero: De Cicco trafigge Poma con un gran tiro dai 25 metri. Si toglie la maglietta, corre incontro ai suoi e lancia un urlo contro il muro granata. Come a dire “dovevate fare i conti con me”. Non un gran gesto, ma la conseguenza è che la partita si surriscalda a tal punto che il direttore di gara fischia la fine anzitempo, non prima di espellere il dirigente accompagnatore della Borgata.

Termina così una partita dura e prodiga di emozioni che la Borgata stava per riprendere completamente in mano dimostrando maturità e grande forza di volontà, schiaffeggiando – metaforicamente s’intende – tutte le statistiche e i numeri avversi alla vigilia dello scontro con la capolista. Ma tant’è: per ogni volontà enorme, c’è una malasorte sull’uscio che mette il piede tra lo stipite basso e la porta così da interrompere ogni positività. Parafrasando la celebre pellicola “Via col vento”: «domani è un altro giorno».

Il tabellino della diciottesima giornata | Campionato di Seconda Categoria Girone E

BORGATA GORDIANI - UNDICI CALCIO 1-2 MARCATORI: 43’pt Bianchi (U); 33’st Mascioli (BG); De Cicco (U)

BORGATA GORDIANI: Poma, Zagaria, Piccardi, Capostagno (Schiaroli), Brigazzi, Zannini, Proietti (22'st Rufini), Cassatella, Ciamarra, Mascioli, Michelangeli PANCHINA: Casavecchia, Palma, Segatori, Amico (ALL.), Cicolò. UNDICI CALCIO: Falconi, Innocenzi, Cipolloni, Credico, Boccia, Muccigrosso (37'st Santini), Vespa, Tossici (13'st Mazzulli), De Cicco, Di Sabatino (35'st Santantonio), Bianchi (23'st Palmieri) PANCHINA: Montagna, Bruno, Marocco, Angelini, Saltarella ALLENATORE: Giuseppucci ARBITRO: Mariano (Roma2) NOTE: ESPULSI mister Amico al 44’pt (BG), Boccia (U) al 30'st; Espulsi anche il dirigente accompagnatore della Borgata Gordiani e allontanato dalla panchina un giocatore della squadra ospite di cui non s'è riuscito a leggere il numero in quanto aveva indosso il fratino arancione sopra la divisa. AMMONITI: 11'pt Credico (U), 31'pt Brigazzi (BG), 34'pt Cipolloni (U), 43'pt Zannini (BG), 17’st Mazzulli (U), 18'st Di Sabatino, 20' st Proietti (BG), 33'st Mascioli (BG), 47'st Capostagno (BG).

Borgata Gordiani avanti sul Sempione: decide Proietti - #Nonlosaiquantotiamiamo

Cielo mezzo plumbeo, ogni tanto s'affacciava il sole ma era timidissimo, sebbene inizi già a scaldare. Si vede che sono tre mesi che non piove. La Borgata scende in campo in maglia bianca, il Sempione in rosso bordeaux: spaventare gli spettri dell'andata era doveroso, scacciarli via d'imperio è [stato] granata.

Il tabellino della seconda  giornata di ritorno | Campionato di Seconda Categoria Girone E

SEMPIONE CALCIO - BORGATA GORDIANI 1-2

MARCATORI: 20' pt Di Stefano (BG), 35' pt Alaimo (SC), 8' st Proietti (BG)

SEMPIONE CALCIO: Sprizzi, Ferri, Paolini, Cundari, Biraschi (40' pt Camilli), Bonacci, Lattuca (Temperini), Porzio (Coleti), Amaldi Racchetti (Zizza), Guida, Alaimo PANCHINA: Avallone, Forti, Cicchetti, Pascucci, Martiriggiano. 
BORGATA GORDIANI: Poma, Chieffo (35'st Capuzzolo), Piccardi, Capostagno, Brigazzi, Zannini, Proietti, Cassatella (29'st Rufini), Di Stefano, Mascioli (37'st Michelangeli), Pompi (Cicolò) PANCHINA: Capuani, Palma, Schiroli, Michelangeli, Marcucci, Cicolò. ALLENATORE: Amico
ARBITRO: Bertolini (Tivoli)
NOTE: Ammonizioni: 30'pt Biraschi (SC), 37'pt Zannini (BG), 37'st Cundari (SC), 43'st Di Stefano (BG).

La Borgata Gordiani aveva bisogno di una partita che avesse lo scopo di invertire la rotta, di effettuare un'inversione a U nonostante la doppia striscia continua. Insomma: di lasciare alle spalle il periodo poco felice che sembrava non stesse mollando la squadra e tornare a vincere. La vigilia della partita contro il Sempione si prospettava ostica: il morale della squadra non era positivo dopo l'inaspettato pareggio contro l'Acros e la sconfitta casalinga contro lo Sporting Aniene. I giocatori, però, sanno bene che non sono soli: all'allenamento del martedì sera, un pugno di tifosi ha fatto sentire tutto il proprio sostegno alla squadra e al mister. Come a dire: siamo tutti coinvolti, da questo periodo ne usciamo solo insieme.

«A torso nudo ovunque andiamo /
dai, Borgata, dai vinciamo»
E così è stato. Passato prossimo. Ma la Borgata coniuga alla perfezione l'indicativo presente e dimostra di essere "sul pezzo". La partita si sblocca cinque minuti dopo il quarto d'ora: Di Stefano, schierato da mister Amico in posizione di unico centravanti nella prima frazione di gara, insacca portando avanti la Borgata nel tripudio generale del muro granata. La partita dei titolari retti da mister Amico e capitanati da Zannini comincia a prendere forma proprio da quel momento: gli ospiti tentano l'affondo al 25esimo ma senza successo, provocando il proverbiale "capovolgimento di fronte" tipicamente calcistico per cui, dopo un affondo granata, ecco che arriva a farsi sotto il Sempione. Il centrocampo della squadra casalinga sembra dapprima essere più solido ma è capitan Zannini a  reggere bene la difesa gordiana, nonostante il colpo incassato in un contrasto che ha subito impensierito i più, mister compreso. Al 35esimo la partita si allinea nuovamente e i locali pareggiano con Alaimo: contrasto andato a vuoto di Zannini, Alaimo controlla e tira una secca staffilata all'angoletto basso dove Poma non può arrivare. 

Gli spettri della partita d'andata (persa per 2 a 3  in casa e dove accadde tutto e di tutto in "zona cesarini")  sembrano aleggiare sul campo di Via dell'ateneo salesiano: i volti si incupiscono, i cori continuano. C'è una partita da riprendere ma, ancor più importante, evitare di andare negli spogliatoi allo scoccare del 45esimo sotto di un gol. I granata reagiscono e, infatti, prima del fischio dell'arbitro al 40esimo Mascioli fa tremare la panchina locale con una delle sue punizioni: tiro precisissimo che va a sfiorare la traversa della porta difesa dal portiere Sprizzi. 

Secondo tempo. Fischio d'avvio. Passano otto minuti e la Borgata riesce a passare in vantaggio con Proietti: «A regà, qualcuno l'ha visto sto gol?», «Io n'è che c'ho capito tanto de quello che è successo però avemo segnato». Il tenore dei commenti sulla gradinata metallica del campo di Montesacro era più o meno quello sopra riportato: non è che si sia ben compreso come, ma l'importante è aver segnato. Machiavellismo granata: conta il fine, del mezzo si può anche non parlare. E, in effetti, è quello che avverrà anche in questo spazio digitale: chi scrive non ha visto l'azione avendo parzialmente supplito all'assenza dell'uno e trino Jamal ("tamburista, bevitore, tifoso"). Ah, dato che leggerà queste righe: sì, la pelle del tamburo s'è spaccata di nuovo. Desculpe!

La ripresa sembra scorrere velocissima e le occasioni si presentano da entrambe le parti, sebbene il Sempione debba fare i conti con un Daniele Poma superlativo: al quarto d'ora della ripresa è Guida, stavolta, a farsi vedere nell'area ospite. Il tiro, angolato, potente e preciso, impegna Poma che respinge in tuffo ma non entra. Così come non entra neanche il pallonetto di Ferri, a portiere granata battuto, e a difesa non attentissima al contropiede del Sempione: per l'attacco locale la giornata non è delle migliori. 

Il vero protagonista della ripresa è, se ancora non fosse chiaro, proprio Poma: salva il risultato in più d'un'occasione e sprona la difesa a mantenersi vigile. La Borgata, in effetti, soffrirà gli affondi del Sempione che si farà vedere più volte dalle parti di capitan Zannini: spesso i granata si complicano la vita da soli, come vuole il proverbio, dunque per ogni errore o palla persa, la squadra locale si sfrega le mani e tenta di penetrare il più possibile tra le maglie della difesa ospite. 

Il risultato, però, stavolta arride alla Borgata: due reti, all'inglese (come scrivono i giornali che contano), tre punti conquistati, sorpasso sul Sempione in classifica, e zona play-off che torna ad avvicinarsi.
Il protocollo è chiaro: gli spettri si scacciano insieme, così come ha tenuto a ricordare il mister granata una volta terminata la partita e raggiunti i tifosi: «la partita l'avete vinta voi: non siete stati mai zitti!».

                                                        Giovani(ssimi) tifosi crescono! 





La solidissima e per nulla scricchiolante tribuna

Gioiamo con sobrietà:



(unapartedel)Le foto di Elisa (che sono sicuramente migliori di quelle scattate al volo con lo smartphone dalla tribuna)







Un paese che non c'è e che forse dovremmo costruire: "Zenìa - folk immaginario per un paese immaginario"

Foto © Helikonia Concerti | Facebook | Roberta Gioberti
Zenìa: folk immaginario, per un Paese immaginario. Paese sia con la p maiuscola che minuscola: l'accezione potrebbe riguardare entrambi i significati della parola, sia quello più vicino a Stato che quello più letterale di piccolo agglomerato urbano. Soffermarsi sul paese e folk immaginario è un'esigenza di chi scrive per far capire e comprendere meglio la proposta di quel che è stato messo in scena dai cinque musicisti l'8 marzo al Teatro Studio Borgna dell'Auditorium (Nora Tigges – canto, testi; Massimiliano Felice – organetto e chitarra; Davide Roberto – percussioni e canto; Massimiliano Bultrini – chitarra; Caterina Palazzi – contrabbasso. Ospiti: Nicola Alesini – sax; Matteo Giuliani – chitarra; Fabiana Carosi, Camilla Dell’Agnola, Federica Migliotti, Susanna Ruffini – voci. Federica Migliotti – supervisione drammaturgica e teatrale).

Quando si pensa ad un paese immaginario, di solito, si fa riferimento all'immagine olografica del paese in cui i vicoli sono stretti, le macchine non ci passano, ci sono gli anziani che popolano le stradine - in eguale proporzione rispetto ai giovani - che si affollano nella piazza centrale. Una rappresentazione che, spesso, non è tendente alla realtà dei fatti: complessa, piena di fattori molteplici riguardanti le situazioni più varie che possono intercorrere e rompere l'ameno fluire dell'agglomerato semi-urbano, tendente al rurale, di una qualsivoglia provincia. 

Il punto è che Zenìa non c'è: non esiste. Non è mai esistito alcun paese che porti questo nome, né tanto meno ne è mai esistito uno che avesse una vera e propria lingua. Massimiliano Felice e Nora Tigges, dalla cui intuizione è nata Zenìa, hanno portato in scena una vera e propria avanguardia: inventare l'ignoto facendolo diventare un esercizio collettivo tra chi lo ha prodotto e chi lo sta ascoltando. Se il paese che tende la mano allo straniero non c'è; se non esiste un luogo che possa ancora continuare ad essere chiamato "comunità", è giunto il momento di inventarlo. 
E tanto vale strutturarne anche il linguaggio.
Tigges e Roberto, infatti, a parte gli intermezzi narrati tra una canzone e l'altra, cantano in una lingua che l'ascoltatore non conosce affatto ma con cui, col passare dei minuti e dell'esibizione, imparano a familiarizzare. E alla fine dello spettacolo anche la lingua di Zenìa, una grammatica in costante evoluzione e scoperta tanto per chi l'ha fatta nascere quanto soprattutto per chi ascolta, assume dei tratti di familiarità. Come se le parole utilizzate da Nora Tigges e Davide Roberto fossero state intimamente introiettate e fossero andate a ripescare un qualcosa di seppellito da anni legata all'infanzia di ognuno. In buona sostanza: come se avessimo sempre detto medaima per dire "insieme". 

C'è da dire che - per utilizzare le parole dei musicisti che hanno portato in scena usi e costumi, musica e passioni di un paese che non c'è -: «ogni vero viaggio, anche se immaginario, porta a conoscere l’ignoto ma anche e soprattutto a scoprire qualcosa di noi stessi». E il viaggio di Zenìa si muove tra baltrad e folk italiano, jazz e lontane eco africane: il Mediterraneo è abbracciato e toccato dalle sponde del mare che bagna le coste del paese immaginario, così come quelle che hanno prodotto tutto quel che è stato portato in scena. Un folk che è, per l'appunto, ignoto: si muove sinuosamente tra vari stili senza definizione di se stesso. Un unicum che si afferma ad ogni nota prodotta e che scalpita per essere presente.
Zenìa si raggiunge dal mare, nascosta dietro gli scogli, in una piccola baia riparata dal vento: piccole case colorate, montagne sullo sfondo e il porticciolo che ti accoglie nella luce rossa del tramonto. Da terra arrivano suoni: voci, strumenti, stoviglie… una taverna! La taverna di Zenìa. Una porta aperta ti invita ad entrare. La lingua di Zenìa è un mistero per il forestiero, eppure nei suoni e nei canti c’è qualcosa che riconosci… Immaginare un paese. Posarlo sulla terra, stretto fra le montagne e il mare, modellare i suoni della sua lingua, inventare usi e costumi e poi raccontarne storie, leggende, personaggi, memorie con musica e parole. Questa è Zenìa! Un paese dove ogni giorno si tende un filo di speranza per disorientare la malasorte offrendo cibo e riparo a chi arriva, dove uomini e donne condividono la paura, il coraggio e l’amore per la bellezza. 


Foto © Helikonia Concerti | Facebook | Roberta Gioberti

Foto © Helikonia Concerti | Facebook | Roberta Gioberti

Foto © Helikonia Concerti | Facebook | Roberta Gioberti

I servizi fotografici relativi al concerto sono visibili a questi due link: 1) https://www.facebook.com/media/set/?vanity=helikoniaconcerti&set=a.10159903720189976 2) https://www.facebook.com/alberto.marchetti63/posts/10223807220426087   


L'album ascoltabile su Spotify:

La paura delle formiche

Foto di Prabir Kashyap su Unsplash Da giorni sta facendo discutere quanto affermato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al...