domenica 27 febbraio 2022

Il Burian non ferma la Borgata - #Nonlosaiquantotiamiamo

Inizierei spiegando che questo qui sotto è un post che vorrebbe essere parte di una rubrica. Una di quelle che si inaugurano contestualmente alla pubblicazione di un post del genere: "#Nonlosaiquantotiamiamo" è tutta dedicata alla Borgata Gordiani e al 'giuoco del calcio' delle basse sfere dilettantistiche. Quello del "palla lunga e pedalare", dei catenacci, delle riserve improvvisate, delle panchine semivuote, degli assistenti di parte. Ma anche (e soprattutto) della partita vista dai gradoni di stadi di periferia, di cori, di birre, di convivialità anelata e consumata nel giro di 90 minuti. Con-dividendo gioie, dolori, ansie, goliardia, accendini e bicchieri. Insomma, il primo post di una serie che, ci si augura, possa essere lunga e piena di vita, così come le domeniche con la Borgata.


Il Tabellino della prima giornata di ritorno | Campionato di Seconda Categoria, Girone E

BORGATA GORDIANI - TEVERE ROMA 1-0

MARCATORI: 34’pt Mascioli (BG)

BORGATA GORDIANI: Capuani, Capuzzolo, Zagaria, Alfonsini (35'st Schiaroli), Brigazzi, Capostagno, Michelangeli (9'st Di Stefano), Cassatella (25' st Pompi), Corciulo (17'st Rufini), Mascioli, Ciamarra PANCHINA:  Marcucci
ALLENATORE: Amico
TEVERE ROMA: Solazzi, Di Tolla, Odore, Di Nitto, Giuffrida, Verticchio F., Esposito (30'st Rosito), Bucello, Di Leone, Petroni, Curti (8'st Lugni). PANCHINA: Bava, Bosco, Danielli, Fia, Verticchio L.,  
ALLENATORE: Margiotta
NOTE: Ammoniti: 38’pt Bucello (TR), 27’st Petroni (TR), 29’st Leone (TR), 34’st Lugni (TR), 48’st Rosito (TR), 50’st Giuffrida (TR), 50’st Rufini (BG). Recupero: 2’pt; 5’st.

Partiamo subito col dire una cosa: oggi la Borgata ha vinto con uno di quelli che la sempre più incomprensibilmente osannata categoria di "giornalista sportivo" avrebbe chiamato "eurogol". Punizione dai quindici metri, bordata del numero 10 granata (oggi in maglia bianca) che va ad infilarsi proprio sotto all'angoletto, all'incrocio dei pali. Il portiere giallorosso prova anche a sbracciare per arrivarci ma è davvero imprendibile. Il gol di Mascioli giunge quasi allo scadere del primo tempo, in una di quelle prime frazioni di gara in cui la Borgata non sembra riuscire a sbloccare il risultato. O meglio: le intenzioni ci sono tutte, a partire dal primo quarto d'ora, quando un lestissimo Michelangeli imbecca Corciulo che non riesce a insaccare, sebbene a portiere battuto, trovando l'estrema difesa del due avversario Di Tolla a respingere quasi sulla linea di porta. Più di una volta i giallorossi ospiti si trovano a dover supplire con la difesa all'estrema eccentricità del portiere. 

Il clima è molto mite.

Le uscite dell'estremo difensore, infatti, spesso lasciano sguarnita la porta e più d'una volta, nei primi 45 minuti di gioco, i granata provano ad approfittarne ma sempre senza successo. I limiti delle due squadre vengono subito a galla: i locali oggi soffrono molti rimaneggiamenti alla squadra, una panchina cortissima a cui mister Amico ha dovuto far fronte obtorto collo, nonché l'inaspettato taglio di capelli del capitano. Però il nostro non è come Sansone: ha mantenuto forza e carisma. Il primo tempo si chiude così: con i locali in vantaggio e decisi a mantenerlo fino alla fine o anche "costi quel che costi". 

La ripresa scivola via senza che i nostri mostrino la grinta della prima frazione di gara. L'iniziativa maggiore è tutta della squadra giallorossa: prima Verticchio impensierisce la difesa granata, troppo spesso colta impreparata su contropiede e rapide azioni offensive che partono dal centrocampo; poi Curti. Entrambi tentano di riportare la partita sul pari senza riuscirci. Il nostro Di Stefano si dà da fare nella trequarti avversaria ma è, troppo spesso, un'iniziativa solitaria e senza reale concretezza. I tre punti, però, alla fine, ci sono. Il girone di ritorno comincia così: vittoria in casa e Burian, il vento gelido siberiano che oggi soffiava sul "Vittiglio", sconfitto. 







giovedì 24 febbraio 2022

Ma noi da che parte stiamo, prof?

In questo mese è capitato più di qualche volta che ragazze e ragazzi delle mie classi (più le prime, per la verità) mi sollecitassero a parlare con loro della questione russo-ucraina. È una loro esigenza cercare di capire quel che succede, non già per perdere ore di lezione, quello lo fanno già normalmente stando stravaccati sul banco alzando la mano solo per chiedere di recarsi nel giro peripatetico d'ispezione della fissità scolastica (altresì noto come «posso andà ar bagno?», rievocazione dell'«annamo a pijà r gelato» di zerocalcariana memoria). È una loro esigenza, dicevo, perché tra supplenti che arrivano tardi, professori che mancano e cattedre scoperte (alla faccia dei proclami di Bianchi), il Novecento e la contemporaneità sono argomenti che raramente vengono toccati nel loro programma di studi. 
Anche perché, spesso e volentieri, le loro conoscenze sono molto approssimative e si limitano al sentito dire, come già ho avuto empiricamente modo di testare.
Si arriva fin dove si può. Questo muoversi apoditticamente nell'esposizione, così come fatto già sopra, implica che in un prossimo post magari mi dilungherò di più sull'argomento: la situazione lo richiede.

Dicevo. L'attualità stringente e i ragazzi. Lunedì mi è capitato di parlarne in un quarto superiore, forse troppo di sfuggita, martedì in un terzo e oggi in un primo. Ho spiegato loro la situazione e illustrato che, in realtà, la guerra in quella zona geografica c'è dal 2013: quasi 13.000 morti, otto anni di guerra, di quotidianità sospesa e umanità interrotta, di carri armati che sparano ed eserciti schierati che sparano. Ospedali, scuole, case non più edifici ma obiettivi da guardare attraverso il vetro di un mirino per far fuoco e distruggere tutto in un attimo.

Molti ragazzi hanno giustamente fatto notare ai loro compagni e compagne, senza che nessuno glielo abbia esplicitamente comunicato, che se l'America continua a "mettere basi militari in Europa è chiaro che prima o poi la guerra, questi, ce l'hanno in mente: in Italia siamo pieni". Una ragazza ha iniziato a dire tutto quel che sapeva mentre io l'ascoltavo per farla esporre e farla ascoltare dai compagni: ha citato le basi di Vicenza, "qualcuna in Sicilia pure, prof, mi pare", a Livorno, «non dimenticarti la Sardegna!».

Stamattina, tuttavia, nel primo superiore, dopo aver spiegato un po' gli avvenimenti (Nato, Russia, Usa e vari movimenti pre-attacco del 24 febbraio), una studentessa prende la parola e dice: «Prof, ma noi da che parte stiamo?». 

Già, da che parte stiamo. Non è che c'è proprio una parte da prendere, se entrambi sono sbagliate. Avrei potuto dirle un mucchio di questioni aperte e in ballo, però l'unica cosa che ho sentito di dirle è stata: «Se le due parti hanno entrambe torto, non serve per forza prendere parte, non trovi?».
Risposta: «Ma non possiamo uscire dalla NATO?»
«Beh questo allo stato attuale delle cose è tecnicamente impossibile: ci sarebbe la Rivoluzione... che è poi quello che vorrebbe il tuo prof., però, vabbè, transeamus. Toh, è arrivata la prof. di inglese!»

Ma noi da che parte stiamo, prof?

P.s. La posizione dei comunisti russi (sì, perché non è che Putin siccome parla russo allora è comunista, eh, anzi, tutt'altro: è l'essere quanto mai più distante dal comunismo che esista)No alla guerra! Il nemico principale è nel nostro paese! - Partito Comunista dei Lavoratori (pclavoratori.it)
La posizione del Partito comunista dei lavoratori, di cui faccio parte: No alla guerra! - Partito Comunista dei Lavoratori (pclavoratori.it)

venerdì 4 febbraio 2022

Tra i "Klimt1918" e occupazioni di scuola, tra un vagone e l'altro della metro

I Klimt 1918 fanno parte del mio ascolto quotidiano (letteralmente “quotidiano”) da quando avevo 16 anni. Era appena uscito “Just in case we'll never meet again” e devo averlo notato su una di quelle riviste che adoravo leggere, nonostante i loro articoli pieni di sintassi non indoeuropea, come Metal Shock e Metal Maniac
Se non ricordo male, venne intervistato proprio il frontman Marco Soellner. Articolone a tutta pagina: foto dei quattro musicisti, spiegazione delle ragioni che hanno portato alla pubblicazione di quell’album. Il voto dato a quel disco fu ben oltre la sufficienza, se ben ricordo, così come il fatto che il recensore lo descrisse giudicandolo davvero molto positivamente. Curiosità alle stelle: mi fiondo in un negozio di dischi del Pigneto e compro il loro primo cd. La prima canzone che ascoltai (“Naif watercolor”), infatti, non apparteneva al nuovo disco bensì ad “Undressed Momento”: nella recensione, l'articolista lo descriveva entusiasticamente ponendolo, tuttavia ma a ragion veduta, un gradino sotto “Dopoguerra”. 
Una volta tornato a casa il primo "atto" è stato quello di convertirlo per inserirlo digitalmente nell'iPod. 
L'indomani mattina mi trovavo sul 556 per andare a scuola: quella canzone mi accompagnò per tutto il giro attorno a Tor Tre Teste che il bus era obbligato a percorrere. Era inverno e mi sembrava che il tragitto fosse stato brevissimo così come, allo stesso tempo, lungamente etereo. Per giorni nelle orecchie c'è stato il suono delle chitarre di "Naif Watercolor". Da quel momento in poi non sono più riuscito a fare a meno dei Soellner e della loro creatura dal nome così particolare. 

Per un motivo o per un altro, col passare degli anni, non sono mai riuscito ad andarli ad ascoltare dal vivo: spesso anche con motivazioni che poi non sono ben riuscito a decifrare, col famoso e infame “senno di poi” con cui siamo soliti passare in rassegna gli episodi più o meno felici della nostra esistenza. La prima volta è stata quella con la nuova formazione a settembre 2021, a tre anni pieni dall’uscita del meraviglioso “Sentimentale-Jugend", in quel concerto che è stato promosso come “piccolo concerto di fine estate”. Appena vidi la possibilità delle prenotazioni cliccai subito sul pulsante di invio della mail che avrebbe sancito la presenza futura a quel piccolo e intimo concerto. In realtà, piccolo concerto a parte, c’è dell’altro. Ovviamente, altrimenti non avrebbe senso questo post. 

Stamattina, dopo tantissimo tempo, ho riascoltato “Sleepwalk in Rome”, una delle tracce con cui mi “svegliavo” per andare a scuola. Tralascio, in questa sede, l’evidente contraddizione di svegliarsi con una canzone che si chiama “sleepwalk”, ma tant’è. Georg Wilhelm Friederich Hegel, ora pro nobis. 

Quando riuscimmo ad occupare scuola, ero già all’ultimo anno di liceo, così come miei altri compagni approdati a Largo Agosta dopo una più o meno lunga sosta nel liceo di Piazza Zambeccari. La prima sera d’occupazione dormii in palestra con chi era rimasto: eravamo in molti, per la verità. Prima di riposare il corpo lasso, mi misi a parlare tutta la sera con una compagna di liceo e che ora è una delle persone più care che affollano la mia vita, insieme al suo compagno Alessio. Dopodiché, mi diressi a dormire qualche ora prima del turno di guardia delle 4 di mattina: divisi lo stuoino per il sacco a pelo con un altro reduce ex-Kant con cui avevo condiviso un quadrimestre piuttosto delirante. Volevamo dormire con un po’ di musica nelle orecchie, dunque ci dividemmo le cuffie dell’iPod che tenevo in mano: «Devi sentire questi, Simò, sono spaziali». 
Ascoltammo tutto “Dopoguerra” e poi mi chiese di rimettere “Sleepwalk”: «Quella che aveva la parte cantata in italiano era stupenda: c’era quella schitarrata che m’ha fatto volà. Rimettila per favore!». Ci addormentammo uno di fronte l’altro con una cuffia per orecchia e con la voce di Soellner che quasi sussurrava, come fosse una ninnananna: «Stringete lana imbevuta / Mi bagno il viso un'altra volta, no / Non mi dite che / Dovete andare più lontano / Umide vesti scolorite / Che fate male sulla pelle / Come la mota sulla pelle / Le ore lorde degli incanti / I sogni scuri dei perdenti, sì / Scorrono come se / Il buio fosse acqua e terra / Torrente scuro, silenzioso / Le labbra viola seducenti / Umide membra già basite»

Mentre stamattina prendevo la metro a Santa Maria del Soccorso, mi è passata davanti quella notte e sono stato attraversato da ogni tipo di sensazione di quel momento vissuto. Le stesse identiche. Come se stessi nel sacco a pelo, anziché entrando dentro i vagoni della linea B. 

Prossima fermata "Quintiliani". Next stop "Quintiliani". 

martedì 1 febbraio 2022

Il giorno del dì di festa

Un clacson suona in lontananza. O meglio: in strada. Il secondo piano di un condominio non è poi così troppo distante da terra. Probabilmente si tratta di un autobus che non riesce a transitare a causa della cosiddetta sosta selvaggia in cui imperversa la mainstreet torremaurense. Il rumore è ripetuto e distinto: l'autista spinge sulla parte cliccabile del volante dell'automezzo aziendale con molta forza, dando spinte a intervalli più o meno regolari. In tal modo si segnala, al proprietario che ha posteggiato il veicolo, il suo essere andato contro la norma che prevede il divieto di sosta in quel preciso punto della strada. Finalmente arriva l'automobilista, prova ad abbozzare una scusa con la mano destra: il palmo è rivolto verso il finestrino dell'autista mentre con la sinistra tiene saldamente le chiavi che dovrà inserire nell'apposito spazio all'interno del cruscotto del mezzo. Bastano pochi secondi e il traffico riprende a scorrere regolarmente. Riesci a sentire tutto distintamente, anzi: piuttosto nitidamente distingui ogni rumore che ha preso parte a questo siparietto che va in scena in più momenti nel corso del giorno, delle settimane, dei mesi e - infine - degli anni. Una sorta di costante torremaurense nell'ambito del teorema del parcheggio e della sosta: macchina messa male, di solito posta in doppia fila o obliqua, 313 che non passa. Fila, clacson, santi del calendario che vengono invocati e invitati, uno dopo l'altro, ad abbandonare la sede sapientiæ e a scendere sulla terra. Immancabile, nel caso la situazione non si dovesse sbloccare nel giro di qualche minuto, il negoziante che esce dal suo esercizio commerciale per guidare l'autista in ipotetiche manovre millimetriche: "CE PASSI, CE PASSI". E poi, invece, "non ce passa".

La stanza è buia e il sole vi entra soltanto tramite le piccolissime fessure della serranda in plastica che è stata accuratamente abbassata, ma avendo l'accortezza di far filtrare quel poco di luce necessario per un risveglio che sia doppiamente dolce e - per quanto possibile - indicante perentorietà. Come a dire: "ehi, guarda, non vorrei dirti nulla, tuttavia dovresti proprio alzarti, lo sai? Se continui a chiudere gli occhi e a stare sotto le coperte sei un maledetto perdigiorno". Rievocazione manzoniana della stanza dell'avvocato Azzeccagarbugli: la luce del risveglio (come quella della giustizia che illuminava poco e male i codici e i libri aperti dall'uomo di legge) entra fioca e flebile ma decisa a illuminare. «Forse non è poi così presto», pensi. C'è, in questo caso, un dubbio che sale e assale: «La sveglia non ha suonato...». La mano destra arriva rapida e veloce a prendere lo smartphone: lo schermo digitale conferma quanto immaginato. Nessuna sveglia. L'orologio, il fido compagno di ogni lezione che ti dice a che punto devi interrompere ogni ardore da spiegazione circa le motivazioni riguardo la caduta dell'impero romano o sullo scoppio della prima guerra mondiale, l'orologio - insomma - conferma tutto: 9:20, martedì. 

«Dio mio: è martedì e non sono andato a scuola... Sarà successo un casino!». La mano destra corre di nuovo a prendere lo smartphone e a sbloccarlo con tutta la rapidità possibile e immaginabile: zero chiamate. «Possibile che la segreteria, la vicepreside, la preside, i colleghi non abbiano detto niente del fatto che, dal nulla, non sia andato a scuola? Ma che già m'hanno licenziato? Va bene che sono in ritardo di circa due ore e venti, però mancoafacosì. C'è qualcosa che non va...».

Ci deve essere qualcosa sotto. La coperta viene alzata dalla mano sinistra con un misto di rabbia e velocità stratosferica: come quando sono le 7:15, hai la prima ora e hai ignorato (in)consapevolmente la sveglia facendo sì che il tuo ritardo sia stato evidentemente già scritto nella storia che devi andare a raccontare riguardo quel giorno in cui potrai dire mesosvegliatoanemmenotrequartidoradallaprima.

Infili i piedi nelle ciabatte e ti dirigi verso il bagno: ti guardi allo specchio. Come nei film, provi a vedere se c'è qualcosa che non va con il tuo aspetto esteriore: ti avvicini sempre di più al vetro che riflette la tua immagine. Gli occhi stanno bene, assonnati, ma tutto pare funzionare. Tiri fuori la lingua: tutto in ordine. Ti tocchi la faccia e ti accarezzi un po' la barba: i polpastrelli hanno sensibilità, dunque anche in questo caso tutto procede. 

Ti avvicini alla finestra: il sole splende, è altissimo. Controlli di nuovo l'orologio: 9:30. Le labbra si inarcano e le estremità corrono verso il basso del viso, spingendo giù verso il mento: il collo asseconda il movimento maxillofacciale nell'espressione che, in un po' tutto il globo, è definita come BOH.

Poi arriva il momento in cui ti sovviene l'eterno (e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei): la meraviglia dell'assemblea d'istituto. 

Soddisfatto, metti l'acqua nella moka: sono le 9:35, la campanella della seconda ora non è suonata, ma a breve la macchinetta del caffè sbufferà. Tra poco danno in replica la rassegna stampa di Radio Radicale. 

Nella tua testa risuona il Morgenstemning i ørkenen di Peer Gynt. 


(Tutta sta manfrina per dire che, sì: ci vorrebbe un'assemblea d'istituto a settimana)