La buca di Via dei colombi e lo spirito del capitalismo

Da una settimana abbondante la buca di Via dei colombi, altezza civico 133, si è riaperta esattamente allo stesso modo in cui lo aveva fatto in precedenza: l'asfalto è scivolato verso il basso lasciando il manto stradale sconnesso e disallineato.
Stesso copione di qualche tempo fa: transenne, posti auto inaccessibili. Insomma, al solito.

Ma facciamo un passo indietro.
Mesi fa, siamo a dicembre 2020 (tecnicamente lo scorso anno) il terreno cede all'altezza del civico 133 e si apre una piccola voragine. Le piogge incessanti di quei giorni fecero in modo di far attivare la cittadinanza e l'amministratore condominiale del palazzo di Via dei colombi 132 per coprire quella buca data l'ingente quantità di acqua che era entrata nella buca. Inizialmente le linee degli autobus 313 e 556 vengono deviate: per qualche giorno non passano per la 'main street' torremaurense. L'area circondata dalle transenne mettono l'italica "pezza" alla situazione così che i bus potessero transitare effettuando una sorta di gimkana. Da quel momento, l'area è rimasta delimitata e circoscritta. Qualche settimana più tardi è stato effettuato un sopralluogo che ha verificato come al di sotto del manto stradale non ci fosse nulla, almeno a detta degli operai che parlavano ad alta voce e arrivavano alle conclusioni prima citate. Il paragone da loro messo in atto era con la porzione di strada antistante l'Istituto "Nostra Signora del Suffragio": lì almeno c'erano delle cabine che sostenevano il tutto, qui sotto non c'è molto, dicevano mentre le persone erano intente all'opre giornaliere.


Le "cave" torremaurensi

Il romanticismo di chi scrive vorrebbe subito rimandare alle cave e ai cunicoli scavati nel sottosuolo del tessuto urbano di Torre Maura nel periodo della guerra: la borgata era letteralmente invasa dagli occupanti nazisti, a cui i fascisti davano man forte e ad ogni bombardamento la gente si riparava come meglio poteva. Pierina Nuvoli, attivista torremaurense e collaboratrice con le missioni estere delle Figlie del Sacro cuore di Gesù,  lo ha descritto insieme a Laura Dondolini nel libro pubblicato nel 2016 dall'editore "Civilmente": «Torre Maura. Storia di un quartiere attraverso la voce dei suoi abitanti» raccogliendo le voci di chi aveva vissuto quel periodo. Spicca, in tal senso, quello di Clelia Consalvi (classe 1932): «Durante i bombardamenti fuggivamo a ripararci presso le cave situate sul luogo dove successivamente fu costruita Villa Irma [attuale Policlinico Casilino ndr]». Stesse testimonianze - è facile immaginare - si siano tramandate nel corso delle generazioni di padre in figlio e di madre in figlia riguardo i ricordi di guerra e post-bellici. È facile ipotizzare come le cave per sfuggire ai bombardamenti siano state "create" (à la "male e peggio") anche in Via dei colombi in quanto, stando alla testimonianza libraria del libro di Nuvoli-Dondolini, l'Istituto delle Suore minime e la relativa chiesa venne edificato nel 1936, quattro anni prima la dichiarazione di guerra. Non era un luogo urbanizzato, né come ce lo immaginiamo noi ora, tuttavia iniziavano a sorgere insediamenti di a ridosso di quella che è la main street torremaurense.
Se immaginiamo come gli insediamenti a ridosso di Via dei colombi iniziassero a sorgere nel periodo antecedente al secondo conflitto bellico, altrettanto facilmente ne discende il ragionamento della conseguente necessità di riparazione degli abitanti della borgata nascente al momento dei bombardamenti. Verrebbe quasi da dire che, ecco, deve essere proprio così: al di sotto di Via dei colombi c'è davvero poco o niente a sostenere il tutto, dato che ogni volta che transita un camion o un autobus i palazzi antistanti la via tremano.

Lo spirito del capitalismo
Cosa c'entra un'insulsa voragine nell'ultimo quartiere prima del Raccordo anulare con il capitalismo? C'entra perché rappresenta il paradigma di come ci approcciamo alle cose, in quest'epoca di mezzo disgraziata. Lo spirito del capitalismo aleggia su Via dei colombi e sulla sua piccola, ma significativa, voragine. La ditta appaltatrice che si è occupata di quel tratto di strada, precedentemente traforato per far passare dei cavi cablati, contattata dalle istituzioni capitoline, è riuscita nell'intento: una bella gettata d'asfalto e il problema è risolto.
Tempo 48 ore e la voragine si è riaperta con eguale aggravio e transenne che - stavolta - coprono un'area leggermente più vasta di quella precedente. Il principio è lo stesso dei riformisti e di chi, spacciandosi per "rivoluzionari" perché vogliono "cambiare l'esistente attraverso il sistema vigente", utilizzando gli stessi strumenti ma avendo il coltello dalla parte sbagliata del manico, vuole affermare in scioltezza che questo è il migliore dei mondi possibili e che le disuguaglianze si appianeranno con il passare del tempo. Basta sapere scegliere quel che si ha in mente di attuare, le politiche da proporre e portare avanti e via dicendo.
La riparazione - e la conseguente messa in sicurezza - della via intera e in particolar modo nei suoi punti più fragili costa più tempo e più denaro. E questo è impossibile da mettere in atto, specie per coloro i quali sono stati elencati poco sopra. Sarebbe "velleitario", bisogna prendere atto della situazione - direbbero - per poter aggiustare quel che si può.
Riformare il capitalismo e gettare una manciata d'asfalto su una voragine rappresentano lo stesso livello di idiozia politica, nonché di complicità ideologica. Gioire, invece, per l'asfalto gettato in luogo della messa in sicurezza della strada o per la pavimentazione a metà della main street fa parte di una sottospecie di ambizione senile della politica che attanaglia soprattutto i consiglieri municipali del VI eletti a Torre Maura,preoccupati solo dei "mi piace" che ricevono ai post e ai "bravo" conseguenti. Anche se durano il tempo di uno sguardo rapido su un social.
La stessa visione del mondo che vorrebbero ostentare costoro, cioè i rappresentanti dinamitardi del riformismo, è quella del "facciamo purché si faccia qualcosa", ma che non sia "ideologico" quel qualcosa, dato che "l'ideologia non fa ragionare sulle cose". Come se costoro non fossero dediti alla sola e unica ideologia mondiale, cioè quella di giustificare il sistema più ingiusto e più gravido di iniquità sulle classi popolari sia, effettivamente, realizzabile.

 Postato su La Rinascita delle Torri

Un'oligarchia e una soluzione

La votazione sulla piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle ha, inevitabilmente, generato critiche e suscitato attenzioni da parte di politologi e tecnici della politica ma anche di cittadini, elettori, persone ordinarie. L'uomo qualunque, verrebbe da dire.
Dall’osservatorio parziale di docente supplente in un istituto tecnico della periferia nord est di Roma, subito dopo un’ora di supplenza, ho avuto un contatto con una docente di materia giuridica, nonché collaboratrice degli uffici della dirigenza che aveva voglia di attaccar bottone a riguardo. Molto discretamente, accetto di mettermi a disposizione del dibattito.
Entro nella classe per poter posare i miei effetti e uscirne di nuovo per poter iniziare una telefonata. La docente mi chiede che i ragazzi si erano mostrati interessati al funzionamento della piattaforma Rousseau: «Tu sai come si vota?», io rispondo che no, tecnicamente so solo che bisogna effettuare l’accesso al sito internet ma il proprio utente deve essere autorizzato e certificato, ma da chi e come non ne ho la più pallida idea.
L'interlocutore B, subendo un cortocircuito tra langue e parole, afferma: «Quindi tu sei iscritto! Come si fa? Voglio votare anche io!», la docente si mostra incuriosita del fatto di come effettivamente si possa votare e ritiene che tutti possano votare nel quesito (capestro) proposto da Grillo-Casaleggio. Rispondo, cortesemente che, in realtà, sapere come si fa non si traduca effettivamente nell'iscrizione al portale e lascio intendere che non ho interesse a quel tipo di dibattito interno al Movimento 5 Stelle.
Poi la rivelazione della docente, scoperta attraverso l’uso sincrono e coordinato del pollice e dell’indice sullo schermo del proprio telefono, così da ingrandire le scritte della schermata iniziale della piattaforma: possono votare gli utenti certificati prima del 2016.
Sdegno: «Ma questa è un’oligarchia! E io non posso votare? Cittadini, cittadini e nessuno può votare?».

Potremmo spenderci lungamente in discorsi riguardo una professoressa di materie giuridiche, con mansioni dirigenziali, che sia caduta nel tranello del cittadinismo agitato da circa un decennio dal Movimento 5 Stelle: l’aver uniformato, nell’immaginario collettivo, i cittadini tutti in cui chiunque può far riferimento al movimento pur senza farne parte, è una delle grandi illusioni circa la partecipazione digitale e fattiva in quest’era che rifiuta tutte le ideologie tranne una: quella capitalista e del mercato.

Il fatto che tutti i cittadini possano partecipare significa, semplicemente, che chiunque lo voglia può iscriversi al Movimento, votare digitalmente, accettarne le condizioni e via dicendo. Accettando anche il fatto, soprattutto questo, che non si sta parlando di un partito politico bensì di un’associazione governata da tre persone in cui non c’è, tecnicamente, libertà di dissentire rispetto alla linea programmatica definita dal leader/megafono/portavoce/cittadino-portavoce e sue definizioni. Non ci si può costituire in una "tendenza" o cose simili all'interno dell'organizzazione.
Il cortocircuito mediatico è ormai totale: alle parole non si dà tutto il peso e il carico che esse portano con sé, si pensa solo ad interpretare quanto scritto a seconda della propria volontà. Una tendenza pericolosissima che porta all’interpretazione molteplice e ultra relativistica della realtà, così che si possa – erroneamente - interpretare come “opinione” anche un fatto reale e incontrovertibile, come l’ingresso a gamba tesa della finanza all’interno del Governo italiano al fine di gestire il flusso di denaro del “Piano di recupero”. In fondo perché lasciare ad altri le carte?

La militanza cosciente è ben altra cosa rispetto alla volontà pur nobile, da singoli individui, di cambiare le cose: da soli non si riesce a combinare un bel niente. Celebre fu l’affermazione di Luigi di Maio, ai tempi esponente dell’opposizione, rivolta alle lavoratrici e ai lavoratori di Alitalia in egli proponeva di andare in solitaria, ognuno di loro, senza l’ausilio di un’organizzazione sindacale, a trattare con la dirigenza.
Legittimare le solitudini serve davvero a molto poco, se non a fare il gioco del capitale che vuole diviso, disperso, senza coscienza il campo avverso dei lavoratori.
«Vorrei votare contro solo per sfregio, ma non posso: questa è oligarchia» e neanche questo è, purtroppo, vero: una volta legittimata la triade al governo dell’associazione politica pentastellata, si accetta anche il fatto che si possa essere singole individualità che si erano – e sono – espresse per sostenere quella forza politica come vettore unico di cambiamento, delegittimando le altre, oppure, irridendone le posizioni politico-ideologiche come “antiche” o “superate”. Non c’è niente di troppo antico o superato come la volontà di unirsi per immaginare, attivarsi e costruire un avvenire migliore che sia di tutti e per tutti, contro la protervia di chi ha troppo e vuole fagocitare tutto il resto.

Il dialogo di cui sopra ha virato, infatti, rapidamente sul fatto di come una persona possa iscriversi liberamente ad un partito per poter dire la sua nei luoghi opportuni di quell’organizzazione.

E, in effetti, l’unico luogo in cui poter esprimersi è un partito, il partito delle lavoratrici e dei lavoratori, degli sfruttati. E dato che è pure iniziata la campagna di tesseramento, io ve la butto là: iscrivetevi al Partito comunista dei lavoratori e diventate, finalmente, schiera cosciente e organizzata di fronte alla solitudine individualistica di chi ci vorrebbe singole “unità di produzione” e non esseri pensanti.

L(')auto mercato

«Non ce la facciamo a mantenere aperti i negozi. Precedentemente, prima della pandemia, la bottega di Via Ripetta riusciva a fare ottimi introiti, così da poter pagare gli stipendi agli altri due negozi
[uno di Montesacro, l'altro di Piazza Bologna]. La situazione si è parecchio complicata, andata deteriorandosi nel tempo. Così, dunque, siamo ridotti quasi completamente ad alzare la serranda per volontariato in attesa della cassa integrazione. Se ci sarà».

Qualche settimana fa mi trovavo in una bottega equo e solidale. Parlando con la dipendente del negozio, la prospettiva che è andata delineandosi nel corso della conversazioni non è stata rosea. Per le botteghe il rischio concreto è quello della chiusura. La questione che sta alla base della chiusura è uno gnommero di concause, come lo definirebbe Gadda: un nodo inestricabile di motivazioni che ha portato alla situazione attuale. Il Covid, come in tutte le questioni a seguito della pandemia, non ha fatto altro che esacerbare le criticità già esistenti. Le botteghe di tutta Roma, poco meno di una manciata all'interno del Grande Raccordo Anulare, basavano la propria esistenza sul negozio del centro a via Ripetta. Le entrate e i proventi di quel punto vendita bastavano per pagare gli stipendi a tutti i dipendenti delle altre piccole realtà.
Quando, tuttavia, una situazione è già precaria o inizia a mostrare delle piccole crepe, un agente esterno (quale che sia) può arrivare a divaricarle in modo irreparabile. Il coronavirus ha mostrato le fragilità di un sistema basato unicamente sul profitto e sullo sfruttamento, più in generale; nelle situazioni specifiche come questa si è limitato a dare il proverbiale colpo di grazia.
Le attività meritorie, pur di nicchia o settoriali come le botteghe equosolidali, hanno subìto il colpo più duro di tutte le altre attività commerciali, evidentemente. L'iniziativa di vendere prodotti che prevedano una forma di commercio e di scambio di merci che vorrebbe garantire il giusto compenso al produttore e ai suoi dipendenti, assicurando anche la tutela del territorio evitandone disboscamenti, sfruttamenti ambientali massicci tipici della grande industria e della grande distribuzione organizzata, rappresenta una forte e ambiziosa caratterizzazione che non può essere sostenuta nel lungo periodo dalle aziende in oggetto. Specie se la vita di tali negozi riesce a basarsi solo sulla classe alta o medio alta, in Inghilterra si direbbe upper class. In un'espressione: alta borghesia.

La favola raccontata dai cantori liberali per cui più il consumatore compra prodotti biologici ed equosolidali, compresi quelli distribuiti dalle grandi catene transnazionali, e più il commercio si orienta verso questi prodotti da realizzare e commerciare, è una evidente menzogna raccontata a pieni polmoni a più riprese. Per quel che riguarda il cibo, ad esempio, "non possono permetterselo tutti", ma "moltissimi consumatori", dicono costoro, "se potessero, si orienterebbero verso il biologico e il non-industriale". Dunque "bisogna incoraggiare le fasce ricche perché acquistino quei prodotti ad un costo maggiore degli altri, perché si possa favorire un nuovo circolo economico: si creerebbe quell’economia di scala che poi consente di allargare l’accessibilità anche alle fasce più povere e lo si è visto in Germania in cui il biologico era appannaggio dei più ricchi ed ora è accessibile di tutti".
Questo viene raccontato da più parti, questo è il pensiero liberal-progressista, osannato soprattutto anche dai democratici nostrani: più si acquista biologico o "verde", naturalmente chi se lo può permettere, più la filiera diventa sana, economicamente parlando. È il paradosso dell'economia verde, insostenibile aprioristicamente qualora non si metta in discussione l'economia di mercato (a tal proposito si rimanda al piccolo, ma necessario, libro di Daniel Tanuro "L'impossibile capitalismo verde").

La vicenda delle botteghe equosolidali è paradigmatica. La classe sociale di riferimento, una volta piombato il lockdown e la chiusura generalizata, ha smesso di rivolgersi a quel peculiare mercato: per tesaurizzare il loro già ampio guadagno o risparmio? Probabilmente, in realtà non sappiamo la vera motivazione che li ha fatti desistere dal rivolgersi alle botteghe solidali. Il dato di fatto, incontrovertibile, è il seguente: non c'è stata continuità nel sostegno di quelle realtà da parte della classe di riferimento che, pure quei negozi, avevano designato involontariamente e su cui si erano basati per la propria vita e sostentamento.
Nel momento in cui un gruppo di persone vuole provare a nobilitare il sistema capitalistico provando ad introdurre nuove filiere o nuovi consumi che facciano leva sull'eticità della transazione e dello scambio in sé, il capitale reagisce d'imperio abbassando la qualità dei prodotti venduti e di conseguenza anche il costo vivo di quel che si va ad acquistare. Novità delle ultime settimane è l'iniziativa di alcuni settori della Coop che ha venduto a 10€ tutti i prodotti a marchio della catena e che rappresentano il necessario per poter sostentarsi una settimana. Con quella cifra si poteva acquistare pasta, passata di pomodoro, pan carré e altri prodotti. A riguardo, è bene poter fornire ai quattro lettori rimasti del blog l'articolo "Lo sfruttamento nel carrello della spesa", in cui è stato trattato proprio questo argomento, in occasione della recensione dell'ottimo "Il grande carrello", pubblicato da Laterza e scritto dai girnalisti Ciconte e Liberti.

Per farla breve, è sempre più chiaro ed evidente il concetto gramsciano di egemonia: uno strato sociale sempre più consistente di industriali, imprenditori (a.k.a. i padroni) fanno in modo di far pensare gli oppressi e gli sfruttati (lavoratori, pensionati, disoccupati) esattamente come la pensano loro. Come? Attraverso sistemi che ben conosciamo: la grande stampa digitale e cartacea è tutta orientata a voler narrare le magnifiche sorti progressive del capitalismo, unico sistema possibile in cui vivere, che certo è talvolta ingiusto, ma che prevede anche una gran possibilità per tutti. Tutti possono scommettere, non al casinò, ma in borsa. Il gioco è lo stesso, cambiano le cifre della posta.
Chi dà le carte non permette che vengano mosse critiche sul mazzo utilizzato. E poco importa alla dirigenza del casinò se hai scoperto che è truccato. Ci saranno altre persone che andranno ad occupare il tuo tavolo per "provare a cambiare dall'interno" criticando la tua posizione "settaria" ed "estremista". Se però non hai la capacità (o la volontà reale?) di scardinare e abbattere il tavolo, dimostrare che le carte sono truccate e vorrai giocare ugualmente, finirà piuttosto male. Evidentemente.

San Giorgio e il Draghi

Мое время грядет
Мой час все ближе
Мое время грядет
Мой час все ближе
 

My time is coming
My hour is getting closer
My time is coming
My hour is getting closer


Il mio tempo sta arrivando
La mia ora si sta facendo sempre più vicina

 




La paura delle formiche

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