La foto è dell'ex collega Silvio Galeano fonte: Facebook |
Se avessi votato, avrei dato il voto a Dp, senza neanche pensarci troppo. La Democrazia cristiana perde pezzi ma è ancora al primo posto dei partiti più votati; Enrico Berlinguer porta il Pci nell'alveo del teorizzato eurocomunismo. Che poi non è altro che una mano di tinta socialdemocratica. Ma tant'è. Gli anni '90 sono ancora distanti dalla periferia romana, c'è ancora gente che ascolta cazoni orrende come disse Max Collini in Palazzo Masdoni: "le mode in periferia arrivano dopo".
I due bucatini discutono ad alta voce - come se non ci fosse nessuno in quel piccolo vagone - su quello che devono fare dopo e su chi devono incontrare. Evidentemente stanno chiamando in causa il pusher della roba: lo chiamano D'Artagnan, forse perché necessitano anche delle "spade", cioè le siringhe.
Il riferimento non è tanto letterario quanto utilitaristico.
Continuano ad ansimare, a un certo punto uno alza la voce in direzione di chi si è fermato e ha abbassato il giornale per poterli guardare, fissandoli nei loro movimenti: «Ao, ma nun l'avete mai visti du tossici che stanno a corto co 'r meta? Fateve 'n po' li cazzi vostra». E tutti tornano a fare quello che facevano prima. Una signora sbuffa e fa sbattere la lingua sul palato, emettendo quel suono che viene interpretato, dalla Groenlandia al Lesotho, come contrarietà a qualcosa che sta avvenendo.
Oggi però non vado a casa: da qualche tempo a questa parte mi vedo con una tipa (lei sì, decisamente punk) che abita da poco a Tor bella monaca, da circa due anni. Spesso ci appoggiamo di fronte al finestra della sua stanza e fumiamo di nascosto le Camel blu della nonna che non dovrebbe fumare, dunque le nasconde sotto ad un vaso rovesciato che ha in casa. La fortuna è che non si ricorda mai quante sigarette ha fumato nei giorni precedenti e così nessuno sospetta mai di noi. Appoggiamo i gomiti sull'infisso rosso incastrato nel cemento e guardiamo l'orizzonte ascoltando un po' di musica, parliamo di un sacco di cose anche se spesso ce ne stiamo in silenzio a fissare il panorama e i palazzoni.
Ci cattura l'attenzione e lo sguardo monitorare tutte le luci che si accendono una dopo l'altra man mano che la luce del giorno se ne va, poi il cielo diventa rosso e infine tutto buio e allora i rettangoli delle finestre dei palazzoni nuovi grigio-cemento si accendono una dopo l'altra.
Verso le 5 del pomeriggio sembra già fossero le 10 di sera e, in quella fase, ci fumiamo un'altra sigaretta. Mentre fumiamo la seconda sigaretta si gira verso di me e mi fa, con il gomito destro appoggiato sul bordo dell'infisso incassato nel cemento e quello sinistro appoggiato sul fianco mentre lascia cadere la mano verso la gamba: «Oh, senti qua: mi hanno passato questa cassetta di un gruppo russo. Non capisco un'acca di quello che dicono, ma senti che roba». Inserisce la cassetta nel lettore, parte una batteria artificiale, una di quelle drum machine e poi chitarra e basso super effettati. Mentre la canzone inizia, lei inizia a muoversi istintivamente al ritmo della batteria: ogni colpo di rullante è un movimento delle spalle, ora verso destra, ora verso snistra, mentre col corpo asseconda il fluire del tronco superiore. Si mette addirittura il cappuccio della felpa degli Iron Maiden e comincia a dirmi di ballare con lei.
Ma io non so ballare...
Я не умею танцевать
Я не умею танцевать
Я не умею танцевать
Mi limito a imitarla. La canzone finisce in pochi minuti, niente a che vedere coi Metallica o coi Maiden, mi fa: «Pare si chiami "post punk" 'sta roba, che te ne pare?», io resto basito: «Sembra una di quelle canzoni da paninaro!», dico sorridendo. Lei coglie il riferimento e sorride: «Ma no, è un genere che scimmiottaquello dei paninari ma non ha niente a che vedere con quello, non hai sentito la chitarra e il basso che vibrazioni che avevano?».
È l'unica cosa che mi aveva colpito: quella chitarra così piena d'effetti e dal suono tremolante mi stava facendo pensare ai nostri pomeriggi impiegati a guardare l'imbrunire su Tor Bella Monaca e a fumare le Camel di sua nonna. I palazzi della Minsk popolare e della Bielorussia (solo dopo scoprii che il gruppo era bielorusso) non erano poi così distanti. L'Istituto autonomo case popolari sembrava aver edificato un quartiere fra la Bielorussia socialista e la Tor Bella Monaca appena nata di una Roma in disordinata, confusa e sempre più diseguale espansione.
Due giorni dopo ci siamo rivisti e abbiamo ascoltato la cassetta dei Molchat Doma per tutto il pomeriggio: Na dne era la prima canzone della cassetta. Ci piaceva così tanto che solo qualche giorno più tardi saremmo andati da un compagno della sezione del Pci di Torre Angela che aveva seguito un piccolo corso di lettura e traduzione di base dal russo. Ci aveva tradotto il ritornello, se così si poteva chiamare:
I binari del tram fanno rumore
Rimane in fondo alla mia bottiglia
Finisco tutto e vengo da te
Ci aveva detto che non era proprio questa la traduzione esatta ma, arrangiata, maccheronica, era pressapoco quella che ci aveva detto.
Le nostre frequentazioni si erano fatte sempre più intense: ascoltavamo sempre più musica e parlavamo molto di più delle prime volte in cui una mattina tornando da scuola mi aveva detto: «Perché non vieni da me? Ti va di fumare insieme?», roba che non sapevo neanche come si accendesse una sigaretta.
Iniziavamo ad aspettarci fuori da scuola per tornare insieme a casa sua. Mentre salivamo sul trenino non esistevano tossici o altro, c'erano solo le canzoni dei Molchat Doma nelle nostre teste. Ci buttavamo con la schiena sulle porte del vagone e provavamo a canticchiarle a bassa voce:
iaiumieiutansevàt
iaiumieiutansevàt
Poi arrivavamo a casa e mettevamo subito la cassetta nel mangianastri del padre.
Ma io non so ballare. Eppure ballavo lo stesso.
Ma questa storia non esiste: il gruppo si chiama Molchat Doma e con il 1985 non c'entra niente. Tancevat è del 2018 ed è inserita nell'album chiamato Etazhi. Una scoperta folgorante.
E, davvero, io non so ballare.
Я не умею танцевать.