Analizzare, accapigliarsi, dibattere, scrivere e versare fiumi d'inchiostro come sta facendo la carta stampata italiana riguardo le presidenziali americane denota una serie di cose. È piuttosto evidente la questione - scevra da qualsiasi posizione ideologica e aprioristica - dell'evidente sudditanza della politica nostrana nei confronti di quella statunitense: nel corso dei decenni gli affari politici statunitensi sono diventati sempre più predominanti negli spazi dei quotidiani nazionali italiani e italianofoni. Ci si accapiglia su quel che ha detto lo sfidante democratico, su quel che avrebbe dovuto dire la minoranza interna del Partito democratico a stelle e strisce; sui vestiti di Melania Trump, su quanto trucco si picchietta in viso ogni santo giorno il Presidente Donald. Trump. Non Duck. Unfortunately.
Un dibattito essenzialmente inutile che serve solo ad addetti ai lavori piuttosto annoiati del lavoro che fanno e che riversano le loro energie su vicende oltreoceaniche così da non dare troppo peso a quel che accade nei confini nazionali.
Il Corriere della sera di ieri [1/10/2020], ad esempio, sotto al titolone «I conti segreti del Vaticano» riportava un fermo immagine del dibattito televisivo fra Donald Trump e Joe Biden: «Il peggiore faccia a faccia». E, ovviamente, commenti non richiesti, tra gli altri, di Walter Veltroni.
«Una lotta senza esclusione di colpi.
Ma anche di idee», commentano laconicamente Gaggi e Grasso nelle pagine interne del quotidiano milanese.
I giornalisti italiani sono stati molto attenti ad individuare le espressioni di Biden, i giochi delle occhiate che si scambiavano i due, le parole grosse volate, così come la mancanza di contenuto di entrambi. Un vuoto pneumatico spinto al quadrato che pure fa riempire pagine su pagine dei quotidiani.
Questo è il grande tema delle presidenziali americane: i candidati, così come per il precedente confronto Clinton-Trump, sono esattamente equipollenti. Identici nell'affrontare questioni internazionali, sovrapponibili per quel che riguarda la politica economica e potrei andare avanti per ogni ambito della vita pubblica statunitense. Un'analisi interessante a riguardo, come spesso accade, è stata sviluppata da Al Jazeera. Scrive Alan Schroeder: «Un dibattito è, in fondo, un colloquio di lavoro, con gli elettori come capo. In questa intervista per la presidenza, Biden ha ricordato di sottolineare i bisogni dei padroni, mentre Trump ha sottolineato i suoi».
Entrambi, in sostanza, hanno fatto in modo di risultare attrattivi per i propri elettori: i padroni. Il vero nodo di fondo è tutto in quest'affermazione: due facce di una stessa medaglia che prescinde dalla casacca indossata, sia essa del Partito democratico o del Partito repubblicano. L'importante è far continuare ad andare la locomotiva del capitalismo e della speculazione. E poco importa che nel maggio di quest'anno le società Harris Poll e Just Capital, quest'ultima fondata dall'investitore miliardario Paul Tudor Jones (dunque tutt'altro che la Pravda), abbiano intervistato 1.000 persone per sapere cosa ne pensassero dell'attuale sistema economico nel mezzo della pandemia: il risultato ha riportato come solo il 25% di loro ritenesse il capitalismo come positivo per la società. Delle persone poco importa ad entrambi i candidati.
Parlare di presidenziali americane in questi termini, stanti così le cose, equivale a dibatterere dell'ultima giornata del campionato di calcio delle Isole Samoa. O del calcio polinesiano in genere.
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