mercoledì 30 ottobre 2019

Il «duello» nel dibattito che non c'è

Piccola premessa
Chi ha detto che la filosofia è inutile? Probabilmente qualche Presidente di qualche stato latino americano lusofono in odor di potere assoluto, o di qualcun altro evidente estimatore di Pinochet (per quel che sta succedendo in Cile: https://www.facebook.com/TomasHirschDiputado/videos/933282370390086/). Chi si scaglia contro l’inutilità della filosofia non è qualcuno che ha compreso la vera essenza della materia individuandola nell’inutilità della stessa, piuttosto ha compreso la portata rivoluzionaria di un modus pensandi che potrebbe far crollare le fondamenta del proprio potere costituito sul terrore o su di una evidente mancanza di democrazia. Una nazione retta in modo a-democratico (con tanto di alfa privativo) evidentemente pone se stessa in opposizione al concetto di Stato giustificandone, tuttavia, la giustezza del proprio sistema. Così i dittatori nazifascisti assumevano il controllo dello Stato con la forza per fare in modo di poter governare per il bene di tutti: le funzioni vitali della Nazione potevano essere subordinate per un bene più grande, quello della salvezza dello Stato, così allo stesso modo le libertà del popolo, degli elettori o dei cittadini, com’è in voga determinare ultimamente il corpo sociale.
Oltre agli esponenti politici sopra citati, ci sarebbe da aggiungere all’elenco anche coloro i quali ritengono che il mondo possa essere determinato dalle regole dell’economia e si affida ciecamente ad economisti per prevedere il futuro dello sviluppo economico del Paese (così come le tendenze macroeconomiche) salvo poi scoprire che i numeri sono sempre implacabilmente gli stessi: +0.x o -0.y, dunque conta davvero molto poco.

Fenomenologia del dibattito politico
Eppure il dibattito politico si serve costantemente della filosofia, certo non dandogli pacche sulle spalle o mostrandole la dignità che si merita. Al contrario, il dibattito la irride forse anche senza volere, ma prendendola ugualmente in giro.
Una prova tangibile di tutto questo è anzitutto l’ultima manifestazione di un cosiddetto dibattito avvenuto in seconda serata sulla sempre pessima trasmissione «Porta a Porta» condotta dall’inossidabile Bruno Vespa. 
Titolone in grassetto dietro il conduttore della trasmissione: «Il duello: Matteo vs Matteo». 
Seduti l’uno di fronte l’altro c’erano i due Senatori della Repubblica Matteo Salvini e Matteo Renzi, leader delle loro formazioni politiche l’una sulla cresta dell’onda mediatico-elettorale, l’altra nascente. Matteo contro Matteo rimanda ad un’idea di scontro, prima ancora che ad un incontro: ci sono due persone che si contrappongono e lo fanno senza esclusione di colpi, altrimenti la puntata non si sarebbe intitolata “il duello” ma piuttosto “il confronto” o “il dibattito”. Porre un esponente contro l’altro significa trasporre sul piano dialettico una differenza di posizioni e di risposte alle questioni d’attualità e/o storiche, poste dal conduttore per orientare il dibattito.
Si potrebbe, certo, in questa sede affermare sommessamente come tale confronto e dibattito sostanzialmente non è in quanto posto su basi del tutto franabili, come avrebbe detto un timorato Aldo Baglio in «Così e la vita» mentre scalava una roccia per l’appunto franabile (e non friabile dato che frana «non è che fria»): il dibattito è tale se ci sono posizioni contrapposte riguardo una visione del mondo del tutto opposta a cui fare riferimento. Qualora, per assurdo, uno dei due fosse stato contrario all’economia di mercato (alias: il capitalismo) allora sì poteva essere utile chiamare ‘dibattito’ un incontro siffatto. Dato che i due contendenti trattano delle stesse tematiche con eguale linguaggio, a parte alcuni aggettivi ed espressioni più o meno truculente o fiorentinamente colorite, è sostanzialmente inutile collocare il confronto nell’alveo del ‘dibattito’. Chiamarlo così, al contrario, serve non a chi usufruisce del messaggio ma a chi vuole inviarlo: porre su un piano antitetico due persone che la pensano esattamente allo stesso modo e che, a parte qualche frecciatina e battuta di spirito su qualche tema particolare riguardante l’amministrazione di questo o quel comune politicamente retto dalle rispettive controparti politiche o riguardo questa o quella legge appoggiata da Renzi o da Salvini, aumenta una percezione di scontro dra le due posizioni che - in realtà - è completamente assente.
Chi riceve il messaggio, colpito dall’apparizione della puntata in grassetto “Matteo vs Matteo” e corroborato dalla specifica: “il duello” comprende che le parti in causa sono già in lotta, tuttavia - se l’ascoltatore si prendesse la briga di seguire realmente il dibattito - noterebbe che, al netto di grafiche accattivanti per porre sotto una precisa ottica la puntata televisiva, i due non si oppongono in alcun modo alle idee generali dell’altro. Qualora dovessero accennare a farlo ci troveremmo di fronte ad un gioco delle parti che dura il tempo della trasmissione: la manifestazione di equipollenza politica spesso passa attraverso una fase di supposto scontro o litigio strumentale per poi trovarsi sulle stesse posizioni.
Si dirà: «ma allora i porti aperti/chiusi? Quella è una differenza sostanziale». Tale obiezione si sostanzia già nella domanda: non esiste questione di porti aperti o chiusi in quanto se si dovesse davvero chiudere Genova o Palermo - ad esempio - l’economia italiana franerebbe (e stavolta frana davvero, non fria) in un batter d’occhio. La retorica sulla chiusura o apertura dei porti è una lotta tutta a suon di slogan che non aggiunge nient’altro a quanto già detto.
A proposito di slogan sarebbe da continuare a trattare l’argomento con dovizia di particolari, tuttavia lo scritto è già abbastanza lungo, è bene rimandare le riflessioni sugli slogan ad un altro post.

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