La letteratura è piena di libri di racconti di storia contemporanea, di questa o quella persona residente in un paese che ha vissuto un periodo cruciale che ne ha segnato la storia. È facile imbattersi in pubblicazioni di narrazioni in prima persona in una fiera del libro come «Più Libri Più Liberi», è facile imbattersi in volumi di racconti di sopravvissuti di quel giovane scappato dal dittatore x/y.
In questi volumi, spesso, il comunismo viene sovrapposto ai regimi nazifascisti e il punto cardine sono, ovviamente, le libertà sociali e individuali: nel nazifascismo sono state negate mentre spesso si sente dire, per un principio di sovrapposizione ma anche di separazione e paragone fra i due (insovrapponibili) sistemi, che nel socialismo si sarebbe dovuta sdoganare qualsiasi libertà, specie quelle individuali (i cosiddetti diritti civili), anziché quelle che riguardano la totalità della popolazione.
Il racconto la fa da padrone, il vissuto personale è il reale vettore di emozioni e sensazioni che deve poter essere trasmesso al lettore il quale, aderendo allo scritto, legge e ritiene reali le peripezie del tale che ha vissuto l'esperienza in questione senza analizzare nulla di quel che è il contorno storico (a esempio) di quel vissuto.
Parlare negativamente della società socialista, del comunismo in generale, facendo parlare o scrivere quel dissidente o quel libero cittadino a cui niente importava della vita sociale del suo paese fino a quando se n'è andato da esso, è una moda che non è mai tramontata nei paesi occidentali, fin da quando il socialismo ha preso piede nel '900. La sostanza del discorso si riduce nella narrazione mitica dell'andare oltre la frontiera: impossibile da varcare nei paesi socialisti.
Molta filmografia e svariata letteratura, a riguardo, hanno sminuito tale processo mitico di migrazione dal paese socialista, a partire da «GoodBye Lenin!»: Alex, abitante ad Est, varca la frontiera e si trova a vedere, assieme ad altri, un film porno che oggi non oseremmo classificare come tale ma decisamente kitsch e dannatamente ilare (il frame mostrava la classica "oversize" che si imbrattava di panna). Il capannello di tedeschi orientali era, come si percepisce dal video, basito e incuriosito di fronte a siffatta manifestazione pornografica.
Ma torniamo al punto. Far dire alle categorie di cui sopra (dissidente o liberocittadìno) che l'Albania, la DDR, l'Unione Sovietica erano degli inferni in terra porta con sé un mucchio di intenti denigratori e polemici, ancorché vagamente ingigantiti nella loro volontà di mera destrutturazione dell'altro: fanno molta notizia e sta tornando anche molto di moda il filone "dissidenza/contrarietà", proprio nell'Europa del XXI secolo che sta riscoprendo il fascismo e il nazismo; proprio negli abitanti dei vari paesi che compongono l'UE che si scoprono pro-liberali e apparentemente neutri, in difesa del più bieco status quo, nei confronti del mercato, fino a essere benevoli nei confronti dell'ultraliberismo, perché «tanto questo è quello che ci tocca».
Mostrare una letteratura dissidente rende chiaro alle nuove generazioni improbabili punti di contatto tra il nazifascismo e il comunismo. Chi fa questi paragoni, magari a livello accademico, è ben consapevole del fatto che l'unico fine delle società nazifasciste fosse quello dello sterminio del diverso e delle razze inferiori fino al dominio della pura razza ariana mentre quello del comunismo era tutt'altro (si tralascia qui il dato dei molti prigionieri politici, migranti e non, rifugiatisi proprio in URSS nel periodo post bellico): la dittatura del proletariato, un'espressione terribile ad orecchie nate nel nuovo millennio ma che in realtà si traduce nel «governo della maggioranza», in cui la produzione la decide chi lavora, cioè il ribaltamento del paradigma dell'attuale.
Mostrare una letteratura dissidente rende chiaro alle nuove generazioni improbabili punti di contatto tra il nazifascismo e il comunismo. Chi fa questi paragoni, magari a livello accademico, è ben consapevole del fatto che l'unico fine delle società nazifasciste fosse quello dello sterminio del diverso e delle razze inferiori fino al dominio della pura razza ariana mentre quello del comunismo era tutt'altro (si tralascia qui il dato dei molti prigionieri politici, migranti e non, rifugiatisi proprio in URSS nel periodo post bellico): la dittatura del proletariato, un'espressione terribile ad orecchie nate nel nuovo millennio ma che in realtà si traduce nel «governo della maggioranza», in cui la produzione la decide chi lavora, cioè il ribaltamento del paradigma dell'attuale.
Sia quel che sia (Sea lo que sea, come direbbero gli spagnoli), la cultura comunista viene demonizzata a prescindere, per il semplice fatto che l'alterità deve essere percepita come positiva o negativa a 360°. Dunque non esiste analisi che tenga, se si prova ad analizzare le positività o le storture del sistema socialista, è sbagliato e stop. Tertium non datur. Per non parlare di chi "argomenta": «è un'idea vecchia», come se il liberismo fosse "giovane"!
E sì che la propaganda occidentale anticomunista è stata a volte più violenta del così tanto infernale comunismo, si pensi al maccartismo che ha prodotto centinaia di omicidi e uccisioni sommarie negli Stati Uniti, per non parlare della restrizione delle libertà che ne è conseguita (PC USA e Trade unions fuori legge, alla faccia della società che tutela ogni forma di espressione e di pensiero).
Ma tant'è. Il resoconto cronachistico del «racconto quel che vedo» specie se condito dai non detti e da pregiudizi di qualsiasi tipo, da particolari macabri o iperbolici sulla terribile realtà del paese da cui il fuggitivo scappa, è decisamente di moda.
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