Ieri (3/12/17) siamo stati al Sally Brown per presentare Calcio e Martello. Bella Serata e bella gente: partecipazione e attenzione e, soprattutto, si cercava di capire come mai due persone nate a distanza di 10 anni l'una dall'altra (1982 e 1992) si siano messe a scrivere un compendio sul calcio socialista non avendo mai vissuto nel socialismo, né avendo visto all'opera i campioni di cui parlavano.
Quando si parla di socialismo, inevitabilmente, si fa riferimento ad un sistema economico, sociale e politico completamente diverso da quello in cui viviamo ora, tuttavia lo si fa con una buona dose di pregiudizi e luoghi comuni. Si parla di violenze, di nefandezze e di un sistema imperfetto, come se per un qualche assurdo motivo il socialismo dovesse essere il paradiso in terra contrapposto all'inferno del capitalismo. O meglio che il socialismo debba esserlo (o debba esserlo stato) a prescindere, data la pervicacia dei suoi sostenitori. Ma (come direbbe mia madre) «l'uomo è sempre l'uomo», dunque il sistema politico può aver avuto delle storture, anche giganti, ma ciò non toglie che il socialismo ha rappresentato, realmente, un'alternativa tangibile al capitalismo e ai suoi sfaceli in nome del mercato e del profitto, dello sfruttamento dell'uomo nei confronti di un altro uomo.
Credenze popolari, luoghi comuni e propaganda, insomma, che si sono riversate (e continuano a farlo) nell'ambito calcistico: gli undici della DDR erano considerati seconde linee dell'atletica leggera e, dato che il calcio nel Campo Socialista veniva considerato inferiore alle discipline olimpiche, i calciatori erano automaticamente più scarsi e più che dilettanti. Dilettanti al quadrato, in un sistema che non concepiva i calciatori srapagati e fenomeni mediatici come ora: si poteva «venire applauditi negli stadi per fare quel che si ama», come diceva Yashin. Tutta un'altra storia.
Quando affrontiamo la tematica del socialismo nell'ambito delle presentazioni del libro, dunque, ci teniamo sempre a sottolineare delle cose che abbiamo a cuore: documentandoci sulle storie, sugli uomini e sulle vicende che hanno segnato (nel bene o nel male) il calcio nell'URSS e nei paesi del Patto di Varsavia, si scopre che la stampa occidentale ha distorto 8 vicende su 10. Tutto questo ha fatto in modo che ne venissero esaltate 2, proprio quelle in cui il calcio socialista non aveva proprio dato il meglio di sé, come accadde a Streltsov.
Wikipedia, in modo molto british: «Una leggenda metropolitana italiana che ha avuto molto credito sulla stampa, riferì come il calciatore nordcoreano fosse un dentista» |
Non significa, da parte nostra, non dare credito a quelle due storie, tutt'altro: significa considerare quelle due negative ma anche dare spazio a quelle otto di cui non si ha (mai) notizia. O se ne ha avuto contezza in modo distorto: Pak Doo-Ik non era un dentista, ad esempio, eppure ancora oggi c'è chi crede che l'Italia sia stata eliminata dalla Nord Corea a causa di un dentista.
Ecco, questo è quello che abbiamo fatto e che siamo stati stra-felici che sia stato apprezzato dai presenti al Sally Brown.
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