Sloganificio. Il termine viene utilizzato a ragione da Mario Sechi, già direttore del Tempo, riguardo un tweet della Raggi prima che venisse eletta Sindaco di Roma, e prima ancora della partecipazione alla campagna elettorale post-Marino/Tronca.
Dunque, quando era ancora, assieme a Stefàno, De Vito e Frongia, consigliere d'opposizione in Assemblea Capitolina, Ignatius Marinus consule.
Dunque, quando era ancora, assieme a Stefàno, De Vito e Frongia, consigliere d'opposizione in Assemblea Capitolina, Ignatius Marinus consule.
Il termine sloganificio, diffuso tramite List il nuovo progetto del direttore, è opportuno ma a cui mi sento di dover aggiungere qualcosa: non si tratta solo di sloganificio, si tratta di banalizzazione estrema (certo conseguenza del termine menzionato) e personalizzazione di un qualcosa che dovrebbe andare oltre il mero additamento del colpevole, specie nella città in questione. La politica più è litigiosa e meno sa di contare, e questo è innegabile. Quando si inizia a parlare con toni simili si va a finire, inevitabilmente, nel ridicolo.
Prova ne è non solo il tweet della Raggi in questione: Di Battista, infatti, il 5 marzo del 2015 se ne usciva scrivendo: «Piove un giorno e #Roma diventa la città più invivibile d'Europa #SottoMarinoDimettiti». Lungi dal difendere questo o quel primo cittadino, in questa sede mi limito solo a dire che un problema enorme come la gestione e l'amministrazione della Capitale non passa per mezzo di un tweet o di un post su Facebook. La propaganda va utilizzata cum grano salis, se si vuole impostare il proprio discorso pubblico in modo propagandistico lo si faccia pure, ma poi si argomenti, quali che siano le posizioni. In questo caso i social danno adito solo ad una pletora di facile propaganda, da cui si tiene ben lontano anche il minimo contenuto.
Le questioni della città di Roma sono imponenti e nella loro grandezza determinano, per forza di cose, anche quelle più piccole o quotidiane: non c’è amministrazione della Città se vengono accettati supinamente i vincoli del patto di stabilità e del debito pubblico.
Le questioni della città di Roma sono imponenti e nella loro grandezza determinano, per forza di cose, anche quelle più piccole o quotidiane: non c’è amministrazione della Città se vengono accettati supinamente i vincoli del patto di stabilità e del debito pubblico.
Proprio riguardo il debito pubblico, il Commissario Straordinario per il Rientro del Debito del Comune di Roma, Silvia Scozzese, relazionando in commissione bilancio della Camera dei Deputati del 5 aprile 2016, disse testualmente: «Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore».
Tagliando con la metaforica accétta: il Comune deve ridare dei soldi, ma "non sa" a chi.
Il famoso audit sul debito (qualora servisse a qualcosa) proposto dalla Raggi è stato solo uno scalpo da mostrare ad una parte del Movimento5Stelle, niente di più. E ancora oggi, nonostante l'anno interno di governo, i gommoni servono ancora, Virginia Raggi consule.
Nessun commento:
Posta un commento