È la Marcia per la vita per cui i manifestanti hanno percorso 85 chilometri a piedi dalla città di Patacamaya a La Paz: sembrerebbe una ordinaria (benché forte) dimostrazione di contestazione da parte dell’opposizione a Luis Arce. Ma l’opposizione non c’entra davvero: i manifestanti appartengono al medesimo partito del Presidente. In Piazza Murillo c’erano i fedelissimi di Evo Morales, già presidente boliviano e figura di spicco del Mas-Ipsp. Due parti in lotta per uno stesso partito. Entrambi ne rivendicano il nome, la storia e la legittimità.
«È evidente che ci sia uno scontro tra gruppi di potere. Poche persone vorrebbero far naufragare il percorso che fece nascere lo strumento politico. Non so, davvero, come mai Evo Morales voglia tornare al potere costi quel che costi, giungendo a voler dividere e spaccare il Mas, così come le organizzazioni sociali che ne fanno parte», dichiara a «L’Eco di Bergamo» Julia Damiana Ramon Sanchez, vice presidente della direzione nazionale del Mas-Ipsp e direttrice esecutiva delle Bartolinas (l’organizzazione femminile del partito) della regione di Tarija. Già deputata nel primo esecutivo Morales, successivamente ministra, Ramon Sanchez conosce bene quel che orbita socialmente e politicamente attorno all’ex presidente: «C’è stato un referendum nel 2016» – aggiunge Ramon Sanchez - «e il risultato ha espresso chiaramente come Evo non possa continuare ad essere candidato all’infinito, tanto più che non può farlo legalmente data la Costituzione».
Costituzione che lo stesso Morales modificò una volta al potere, così come mutò anche lo status giuridico della Bolivia divenuto «Stato Plurinazionale» al fine di valorizzare ogni componente indigena e originaria del paese.
Ma questo ora a Evo non importa più.
Vuole tornare al potere a tutti i costi e per farlo incita parti di organizzazioni sociali a lui fedeli di bloccare le principali strade del paese, di scendere in piazza quasi giornalmente, di diffondere notizie false tramite un’emittente radiofonica a lui vicina (Radio Kawsachun Coca). Per dare un’idea dello scontro: il 22 gennaio dello scorso anno i blocchi stradali messi in atto dai sostenitori dell’ex presidente erano durati più di un mese e avevano paralizzato le principali arterie autostradali. Secondo l'Istituto boliviano per il commercio estero, in quei giorni il paese «perse circa 75 milioni di dollari al giorno». Un dato nefasto per la Bolivia che sta affrontando una crisi economica che si riflette in ogni ambito della vita delle persone: produttiva e sociale.
«In Bolivia c’era crisi ieri, c’è oggi e ci sarà domani: non è una novità. Evo sta utilizzando la situazione per scopi politici e soprattutto per coprire le accuse pendenti nei suoi confronti», spiega a «L’Eco di Bergamo» da El Alto, alla periferia del mondo, don Riccardo Giavarini, direttore generale della Fundacion Munacim Kullakita. Bergamasco di Telgate, missionario laico, è in Bolivia dal 1977 ma sacerdote dal 2023, dopo aver ripreso gli studi di teologia interrotti a seguito della vita matrimoniale con Bertha Blanco (tra le fondatrici del Mas-Ipsp) venuta a mancare nel 2020 a causa del Covid.
L’accusa più grave a cui Morales deve far fronte è quella di abuso sessuale di una minorenne (caso avvenuto due lustri fa): il tribunale della città di Tarija ha sancito che non può allontanarsi dal paese ed è stato anche emanato un ordine di cattura nei suoi confronti. Sollecitato per tre volte a presentarsi in tribunale, Morales ha sempre disertato l’aula.
«Il punto è che Evo è dipendente dall’abuso di donne e di ragazze minorenni in termini di tratta e traffico», tuona Giavarini, che di questi argomenti ne sa qualcosa dato il suo impegno quotidiano con la struttura che dirige. Un costume, purtroppo, diffusissimo nel Paese: «Nel carcere minorile di Qalauma [nella città di Viacha] i delitti riconducibili alla violenza sessuale sono tra i più commessi», afferma Giavarini «manca una vera educazione sessuale, alla reciprocità e non vengono veicolati messaggi ed esempi positivi da parte delle istituzioni (che siano governative o scolastiche); si sono naturalizzati dei comportamenti che vedono la figura femminile solo come strumento di piacere maschile. La donna non è vista come portatrice di soggettività, partecipazione, dignità e uguaglianza: qui a El Alto le ragazzine popolano i locali notturni».
La situazione, dunque, sembra non possa giungere ad una soluzione rapida. Anzi. Lo scontro tra fazioni del Mas-Ipsp, così come quello delle organizzazioni sociali ad esso legate, parrebbe essere destinato ad una recrudescenza sempre maggiore.
La Bolivia, secondo paese al mondo per colpi di stato (35, dietro al Cile che ne vanta 36), si appresta a celebrare il giorno della nascita dello Stato plurinazionale (22 gennaio 2009) in un clima più che teso. Dopo sedici anni da quel giorno, il paese non ha ancora trovato una stabilità nella democrazia.
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