Per chi volesse, questi sono i due link agli articoli scritti a Cairoma su Antonio Caglioni e sul sistema sanitario a 5200 metri d'altitudine: Il sacerdote rivoluzionario alla fine del Mondo e Sanità pubblica e privata in Bolivia. Cercando l’assistenza capillare, trovando disordine generale.
L'introduzione al libro di Bonalumi è firmata da Don Emilio Brozzoni, sacerdote come Antonio Caglioni (a cui è davvero difficile anteporre il don davanti al nome, ma questo - a parere di chi scrive - rientra tra i pregi piuttosto che nell'ambito opposto dei difetti), bergamasco come lui, ma fenomenologicamente agli antipodi.
Don Emilio nell'introduzione racconta di un episodio curioso: una volta ricongiuntosi con Riccardo Giavarini a La Paz (don anche lui ma da soli due anni), decidono di andare a trovare Antonio Caglioni a Viloco. Il viaggio è lungo, le strade non sono agevoli ma finalmente - dopo varie ore di fuoristrada - riescono ad arrivare là, "alla fine del mondo", a cinquemila metri d'altezza, ai piedi delle montagne popolate dai minatori di stagno in cerca della vena grande.
È il 1990, è notte e - c'è da immaginarselo - c'era una stellata meravigliosamente impressionante, data l'assenza di lampioni e illuminazioni per le vie della cittadina. Don Emilio, che immaginiamo si fosse già abituato alla mancanza d'ossigeno, riesce a prendere sonno e a dormire piuttosto bene, almeno fino a quando viene svegliato di soprassalto.
Di colpo, i tre (Caglioni, Giavarini, Brozzoni) sentono di non essere più soli: Don Emilio si sveglia e pensa ai ladri. Poi si guarda intorno: "ma che si ruberanno mai, qua" (di certo lo avrà pensato in bergamasco).
È un attimo: un uomo armato fino ai denti gli punta un fucile: «Eres Miguel?! [Sei Miguel?]» gli chiede insistentemente.
Non sa di cosa stia parlando e il commando armato si fa insistente: stanno cercando un Miguel, ex prete mezzo italiano, mezzo tedesco, e loro, tutti e tre italiani (due consacrati e un laico), senza documenti, sembravano essere il bersaglio perfetto. Miguel si sarà nascosto da quelle parti, ai piedi delle montagne popolate dai minatori per sfuggire allo Stato.
Però don Emilio non era Miguel e, nel testo d'introduzione al libro di Bonalumi, scrive un aneddoto molto divertente di quella notte in cui, dopo aver conosciuto personalmente Riccardo Giavarini, sono sicuro che si sia verificato esattamente come don Emilio ha raccontato: nel mezzo del trambusto, di uomini armati che fanno irruzione a casa di don Antonio, Riccardo cerca di placare gli animi chiedendo se - in piena notte - prendessero un caffè per poter parlare e chiarirsi.
«[…] Mi fanno alzare dal letto (mani in alto), mettere pantaloni, scarpe e giacca a vento. Bontà loro, niente manette ai polsi. Mi vogliono immediatamente portare a La Paz. Riccardo intuisce che la situazione è grave e vuole intavolare un minimo di dialogo: “Prendete un caffè o un tè? Siete stanchi e la strada è lunga”»1.Ma chi era Miguel?
Scrive ancora don Emilio nell’introduzione al libro di Bonalumi:
«[…] Alle tre di notte cinque di loro con il mitra circondano la casa di don Antonio e tre in borghese sfondano la porta. Sono i tre che mi ritrovo davanti con le pistole puntate. Finalmente viene a galla il motivo di questo trambusto. È stato rapito il figlio del padrone della Coca Cola in Bolivia. È ricercato un “terrorista” (così lo definiscono) altoatesino, da ragazzo studente in un seminario di gesuiti, impegnato politicamente con gruppi estremisti… Il filo logico è chiaro. Hanno davanti un italiano, senza passaporto, col breviario, nella casa di padre Antonio2, in una regione fuori dal mondo. È lui. È Miguel. Sentono già profumo di promozione».Ma facciamo un passo indietro e riavvolgiamo il nastro.
A te che leggi: abbi pazienza. Sarà piuttosto lunga.
Il comandante Gonzalo va alla guerra
«Caro Fratello, il tempo speso con i minatori di Potosì mi ha avvicinato alle persone. Le cose per la Bolivia si stanno mettendo molto male. Il peso è stato svalutato, i salari sono rimasti stagnanti: per le strade è possibile vedere persone che piangono. Sono molto scioccato e solo a vederli anche i miei occhi si appannavano»3.
«All’ultimo anno del liceo, in occasione degli esami di maturità, Michael conosce un missionario del seminario teologico di San Giuseppe di Bressanone, e resta così colpito dalla sua figura che decide di seguirne la strada. Quando comunica ai genitori la volontà di farsi prete e diventare missionario, la sorpresa non manca, ma i segni premonitori dii una vocazione religiosa erano già stati avvertiti in famiglia»4.
Si rende conto di essere in un’isola dorata e quel mondo, l’Occidente, già non gli basta più: vuole stare a contatto con chi ha davvero bisogno del messaggio di Cristo e della sua potenza rivoluzionaria.
Si rende conto di essere fortemente attratto dalla Teologia della Liberazione e dal comunismo: studia gli scritti di Karl Marx, si interessa di quel che accade in America Latina e di quello che i Gesuiti stanno portando avanti nel Continente.
Nel 1982 è a Cochabamba dopo un viaggio di «147 ore fra autobus e treno»5 ma, anche lì, i vestiti sono stretti, metaforicamente parlando:
«La mia opzione politica è un’opzione per il marxismo. Marx ha dato al mondo dei lavoratori se non una soluzione, per lo meno un compito e una speranza. Per questo motivo non esiste, nel mondo dei lavoratori, un solo gruppo politico che non sia in qualche modo marxista […] il marxismo è la via maestra per risolvere le straordinarie ingiustizie sociali che costituiscono la fonte principale dell’oppressione. E questo non con alcuni cerotti, ma con un cambiamento radicale dell’attuale sistema»6.
«In confronto al “popolo semplice” viviamo in una casa di lusso. […] Con alcuni colleghi abbiamo pensato di modificare l’orario delle lezioni, della preghiera e della celebrazione eucaristica in modo tale da avere la possibilità di fare qualcosa, di parlare con la gente, di condividere i suoi problemi. Questa possibilità ci è stata negata. […] “È come se io non vivessi in Bolivia, ma in un’isola”, pensa uno di loro. Dobbiamo imparare ad amare i poveri. Lo chiamiamo “giocare ad esser poveri”. Al contrario noi non vogliamo giocare, ma vivere a contatto con i poveri in maniera autentica. E questo signiffica, in maniera molto semplice, condividere la loro vita. […] Se dovessimo arrivare alla conclusione che questa nostra strada nella Compagnia dle Gesù non ci può portare laddove noi vorremmo, siamo pronti a cercarla altrove»7
L’animo di Michael è in continuo fermento e ricerca: si iscrive all’Università Mayor “San Andrés” (Umsa) in cui entra in contatto con i gruppi marxisti (trotskysti, marxisti-leninisti ma anche socialisti e socialdemocratici. La Bolivia è un paese che non trova mai quiete, politicamente e socialmente parlando: sono anni difficili e quel che in Italia abbiamo definito “trasformismo” a fine ‘800, nel paese più povero dell’America Latina rappresenta la normalità.
Scriveva il «Manchester Evening News» nel 1960:
«In Bolivia le rivoluzioni sono quasi [da considerare] uno sport nazionale. Ce ne sono state 179 negli ultimi 130 anni. Una volta è capitato che ci fossero anche tre presidenti in uno stesso giorno»8.
Tutti i presidenti, non militari, succeduti all’ultimo golpe, sono riconducibili al Movimento nazionalista rivoluzionario e al Movimento della sinistra rivoluzionaria ma è un chiaro esempio di “socialist sounding”: le alleanze, pur di conservare il potere ottenuto dalle elezioni, fanno convergere interessi molteplici. Interessi rappresentati anche dai partiti di ex militari e apertamente anticomunisti-socialisti e dichiaratamente fascisti.
Strana idea della rivoluzione, strana idea di sinistra.
Nothdurfter guarda, vive tutto questo ed è esterrefatto: il paese langue, la politica sbandiera una rivoluzione che non vuole iniziare (figurarsi se voglia un giorno portarla a compimento!) e i marxisti sono divisi. Bisogna far qualcosa, pensa Michael.
Inizia la sua esperienza con il teatro popolare nelle «borgate proletarie e nelle zone minerarie» mettendo in scena spettacoli che denunciano ingiustizie sociali e lo sfruttamento delle masse. Insieme a quest’attività, si avvicina sempre di più alle idee di Ernesto Che Guevara: c’è bisogno della rivoluzione. Quella vera, però, quella che si fa con le armi.
Nel novembre 1986, in un’altra lettera ad Othwin, dichiarerà la sua intenzione ma in lingua spagnola:
«D’ora in poi ti scriverò sempre in spagnolo, perché non mi va che la mamma legga le mie lettere dirette a voi. Non potrebbe capire le mie attitudini “estremiste”»9.
«[…] La sinistra boliviana sta vivendo una crisi profonda nella quale nessuno si salva. Per questo motivo bisogna costruire qualcosa di nuovo. […] Non sarà facile. […] Occorreranno molte ore di discussione, ma soprattutto molti giorni di silenziosi sacrifici, e semplice dedizione, molte vite e molti morti, molte lacrime e molto sdegno, innumerevoli momenti di solitudine politica, di dubbi e debolezza ideologica. Io, però, sono deciso – assieme alla mia organizzazione – per dare tutto ciò che posso dare d me stesso, poco a poco, accelerando ogni giorno il ritmo»10.
«Mi trovo più o meno d’accordo con quanto sostiene Lenin in Stato e Rivoluzione in relazione alla necessità di farla finita con lo Stato stesso, che implica violenza rivoluzionaria. O con quanto dice il Che: “Non esiste pratica rivoluzionaria senza lotta armata”. Senza dubbio, però, bisogna contestualizzare. Tatticamente la violenza può essere controproducente, ma dal punto di vista strategico rappresenta una necessità imperiosa»11.
Passano gli anni, cruciali, 1986 e 1987, dopodiché è rivoluzione: il clima politico (o, per meglio dire: il caos politico) presente in Bolivia favorisce l’inclinazione e l’opzione – per citare Nothdurfter – per la lotta armata.
«Considero un compito principale della mia vita contribuire a condurre una vera rivoluzione in Bolivia e in qualunque altro posto mi tocchi vivere»12.
La prima vera operazione (e anche l’ultima) si chiama operazione Bautizo: si dovrà rapire un pezzo grosso del capitalismo boliviano, uno che ha implicazioni anche con l’economia americana. Il nome ricade su Jorge Lonsdale, presidente di Vascal S.A., azienda concessionaria unica per la distribuzione della Coca-Cola (e bevande del gruppo statunitense) in Bolivia. C’è anche il nome, ora, del gruppo: Comision Nestor Paz Zamora (Cnpz).
Il nome scelto non è casuale: Jaime Paz Zamora, presidente boliviano appena eletto, è rappresentante del Movimento della sinistra rivoluzionaria ma per mantenere il controllo dello Stato – e traffici a cui s’è accennato sopra – non ha esitato ad allearsi con i fascisti dell’alleanza nazionalista vicini a Banzer Suarez. Scrive Miguel:
«Nestor è il fratello dell’attuale Presidente della repubblica ed è morto durante un’azione di guerriglia a Teoponte. Nestor è l’opposto di Jaime: il primo era un rivoluzionario e cristiano convinto e come tale si è comportato sino alla morte. Il secondo si è alleato con l’ex dittatore Hugo Banzer»13.
Per quanto possa essere crudo e atroce, è l’epilogo di chi aveva, senza troppi mezzi, dichiarato guerra, spinto dall’idealismo e dall’ardore romantico e rivoluzionario ad un nemico più grande, meglio organizzato e, sebbene rappresentante una “democrazia dalle ginocchia fragili”, sicuramente più strutturato della Cnpz. Nel documentario di Pichler, uno dei sopravvissuti agli arresti (tutti venticinquenni, cristiani e comunisti), chiamato in causa dal regista, dirà che Miguel era il più idealista e che dava a tutti una grande forza d’animo (sebbene negli ultimi tempi si sentisse molto isolato16) ma era anche molto impreparato.
«Lo eravamo tutti [molto impreparati]: era una cronaca di una morte annunciata».
Tra le strade della regione di Araca |
Dalla lettera-testamento, scritta nell’agosto 1990 da Miguel ai suoi genitori:
«[…]
So bene che nessuna delle persone con cui convivo potrà mai darmi un diploma o un titolo di studio, ma secondo questa logica Gesù sarebbe diventato un fariseo e non sarebbe mai stato crocefisso. Io non sono Cristo, ma non intendo in alcun modo diventare un fariseo, ce ne sono fin troppi.
[…]
Dopo la guerra fredda arriva la calda “pax capitalista”, la pace che per noi si chiama “guerra di bassa intensità-alta probabilità”, la pace dei ricchi che hanno sempre di più e dei poveri che hanno sempre di meno. Per l’Est e per l’Ovest “libera economia di mercato” e “stato di diritto”; per il Sud, la guerra e lo scambio di merci, soverchiante e iniquo: il neoliberismo.
La principale questione è l’alternativa. Ieri, tutti coloro che premevano per una svolta dicevano chiaro e tondo: socialismo! Il cosiddetto socialismo reale è, però, in crisi profonda e ora troppi gioiscono per la presunta fine del comunismo. In questa logica, però, non dovrebbe più esistere un solo cristiano, perlomeno dai tempi dell’Inquisizione.
La teologia della liberazione, invece, esiste e non ha nulla a che fare con l’Inquisizione. I movimenti di liberazione dell’America Latina hanno così poco a che vedere con Stalin...
So di non essere stato un buon figlio per voi. Posso anche immaginare che il contenuto di questa lettera vi possa far preoccupare, ma dovete sapere che io faccio ciò che devo fare. Non pretendo che mi comprendiate, ma dovete capire che io agisco secondo coscienza, e che auguro solo il meglio a voi e a tutti gli altri. Avrei preferito tacere, ma credo di esservi debitore della verità. E la verità è che la passione e l’amore per il mondo mi spinge all’azione. Anche col rischio di commettere degli errori».
NOTE
1Luca Bonalumi, Il prete che mirava in alto, p.10, 2016, Edizioni Gruppo Aeper, Torre de’ Roveri (BG).
2Nelle
medesime pagine don Emilio, a proposito della stretta sorveglianza
delle autorità di polizia nei confronti di don Antonio, accenna
alle vicende del libro di Bonalumi scrivendo:
«[…] al
posto di controllo, i gendarmi notano al volante un certo padre
Antonio, da tempo sotto stretta sorveglianza per le tante vicende
raccontate in questo libro; Riccardo, un volontario italiano ben
conosciuto per i numerosi progetti in atto insieme a uno
sconosciuto».
3Da una delle lettere scritte da Michael al fratello Othwin contenuta sia nel libro di Cagnan che nel documentario «Der Pfad des Kriegers» di Andreas Pichler, 2008
4Paolo Cagnan, Il comandante Gonzalo va alla guerra, p.21, 1997, erremme edizioni, Pomezia (RM).
5Avendo avuto esperienza diretta dei trasporti e delle strade boliviane, quella di Nothdurfter non è stata un’iperbole.
6Lettera
al fratello Othwin scritta a Cochabamba e datata 31 dicembre 1982.
Paolo Cagnan, Il comandante Gonzalo va alla guerra,
p.28,
1997, erremme edizioni, Pomezia (RM).
7Ibidem.
8s.n., On the top of the world, 14 ottobre 1960, «Manchester evening news».
9Paolo Cagnan, Il comandante Gonzalo va alla guerra, p.42, 1997, erremme edizioni, Pomezia (RM).
10Ibidem.
11Ibidem.
12Lettera all’amico Ludwig Thalheimer del 6 aprile 1988, citata nel volume di Cagnan.
13Paolo Cagnan, Il comandante Gonzalo va alla guerra, p.80, 1997, erremme edizioni, Pomezia (RM).
14Cagnan ne elenca sette.
15Nelle sue ultime lettere si definiva “guerriero”.
16«Sento profondamente il silenzio dentro di me, la solitudine imposta dal mio destino [aveva definitivamente rotto con la sua ormai ex fidanzata], questa congiunzione di fattori e circostanze. Mi sono scappate alcune lacrime ma non mi arrendo al mio dolore. Il guerriero non può evitare la sofferenza ma non si lascia mai sopraffare da essa». 18 agosto 1990.
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