venerdì 29 aprile 2022

Letteratura in terrazza

Stamattina siamo andati sulla terrazza di scuola insieme alla 1A del Liceo Machiavelli a leggere un brano di Hemingway.

Dopo due anni di Dad, mascherine, gel igienizzanti e distanziamento, uscire al sole per una lezione all'aperto (ma non troppo) ha avuto il sapore di una gita scolastica, di libertà. Di felicità :)






venerdì 22 aprile 2022

"La filosofia"



«Prof, ce l'ha instagram?»
, domanda tutt'altro che innocua: foriera di curiosità ai limiti della "maliziosità stalkerante" di ragazzi adolescenti. «Non mi troverete mai». Pivello. Tu, davvero, ingenuo e novellino. Improvvisamente sei catapultato dall'essere docente a "laureato all'università della vita". Mai sfidare dei quattordicenni: ci hanno messo poco meno di un mese, ma alla fine hanno iniziato a inviarmi richieste da parte di quasi tutta la classe.

Ma la colpa è tua, tu che ti nascondi dietro ad un anagramma: di fronte alla volontà maliziosissima - in senso buono, s'intende - e compulsiva del "prof, ce l'ha instagram?", tutto (de)cade. C'è da dire che la prima di quest'anno è una classe piena di vita e brulicante di necessaria voglia di interazione, dopo due anni infernali a distanza e a subir meccanismi machiavellici con arguti (ma inutili) cambi di denominazione acronimica da DAD a DDI.

Tutti, ma proprio tutti, atti a voler significare una sola cosa da parte del Ministero: continuiamo a distanza perché non possiamo diminuire il numero degli alunni per classe (sennò tocca assumere docenti, vaderetroSàtana), non possiamo ammettere che abbiamo tagliato così tanto alla scuola e ora ci ritroviamo senza risorse. Non dondolare la barca: passeggia sul molo guardandole tutte, ma guai a salirci sopra. Seguendoci a vicenda, assieme a  ragazze e ragazzi, abbiamo scoperto lati di noi stessi che non conoscevamo e in particolare una studentessa ho scoperto essere molto attratta dalla filosofia.

Non sa bene cosa sia, effettivamente, sa solo che è qualcosa «che ti aiuta a ragionare»: in ogni storia o post che realizza si firma così: "la filosofia". «E poi, prof» - mi fa - «credere in se stessi, in parte, è anche filosofia». Due anni di didattica a distanza totale e mista, medie completamente saltate, arriva in prima superiore e ogni tanto il suo insegnante di italiano e latino gli dice qualcosa su Platone, su Socrate, su Schopenhauer e  su Marx.


Ecco che la filosofia assume un tratto più marcato: non tanto di "auto aiuto" come poteva concepirla prima la studentessa ma come fattore in sé e per sé. Perché, in fondo, uno dei grandi inganni dei tempi disgraziati che stiamo vivendo è il seguente: l'assunto che la filosofia non serva più di tanto alla formazione di un essere umano, tanto più che la psicologia ha fagocitato (o almeno così s'è fatto credere ai più) la volontà e l'intenzione di "analisi e introspezione" di ognuno di noi. Mi ha scritto: «la filosofia ci permette di definire i modi di pensare e di agire dell’essere umano ed ogni modo di pensare e di agire è diverso da ogni persona».
Le ho immediatamente regalato la mia copia de Il mondo di Sofia di Gaarder: è una lettrice, anche se di letteratura cosiddetta "young/adult", ma ha reagito molto bene a "Sostiene Pereira" di Tabucchi e le è piaciuto molto.

Perché sto scrivendo tutto questo? Perché non vedrò la maturazione della mia studentessa e l'elaborazione successiva che sarà propria di una mente in divenire, in formazione, in costante ricerca di sapere per il suo benessere psico-fisico. Non lo vedrò perché per loro quello strano non-più-troppo-giovane-professore è stato la meteora del primo anno di scuola: un supplente è questo, d'altronde. Una meteora e un tappabuchi. Chissà se la mia studentessa di prima, la filosofia, amerà davvero i miti platonici, Socrate, Feuerbach, Kierkegaard. Non mi è dato saperlo. La continuità didattica è lo scalpo agitato dai Ministri come quello dei posti di lavoro da aumentare dal politicante di turno il giorno prima delle elezioni: frasi senza contesto e a cui la volontà conseguente è, ovviamente, del tutto assente.

Il post è visibile anche qui: sul blog "L'ortica" https://orticamagazine.noblogs.org/post/2022/04/22/la-filosofia/

giovedì 21 aprile 2022

Rutilio, testimone del presente che cambia e l'impossibile restaurazione

 In occasione dei 2775 anni di Roma, mi sono deciso a pubblicare la conversazione con Claudio Bondì, pianificata e organizzata in vista di un progetto di tesi di laurea magistrale non più portato a termine. Era un pomeriggio di settembre di cinque anni fa [2017]: con Daniele e la prof.ssa Privitera ci inoltrammo verso Trevignano per incontrare il registra allievo di Rossellini.

Una conversazione con Claudio Bondì 

Elia Schilton in un fotogramma del film "De Reditu" di Claudio Bondì.
Questa intervista prende le mosse dall’incontro avvenuto, grazie alla professoressa Tiziana Privitera, presso l’abitazione di Claudio Bondì, autore del film «De Reditu», ispirato al poemetto di Rutilio Namaziano.

La prima domanda che gli ho rivolto è stata: «per quale motivo proprio Claudio Rutilio Namaziano?» (su cui infra) e Bondì ha serenamente risposto come ho riportato di seguito nella conversazione.

Personalmente, mi sono innamorato di Rutilio durante gli studi liceali. A seguito di una bocciatura in quinta ginnasio, ho ripreso gli studi cercando di non ripetere gli errori (e le mancanze) dell’esperienza pregressa. Mi appassionava molto studiare e approfondire, attraverso letture di saggi e di romanzi storici, le vicende imperiali successive alla morte di Marco Aurelio; tuttavia mi incuriosiva anche la paganità messa alle strette dalla cristianità, e dunque ho iniziato a documentarmi su Giuliano l’“Apostata”. Terminate le letture sull’imperatore “controcorrente”, ricordo di aver letto l’inno a Roma di Rutilio sul manuale di letteratura latina: fu una sorta di folgorazione. Una folgorazione dovuta in particolare ai vv. 63 fecisti patriam diversis gentibus unam e 66 urbem fecisti quod prius orbis erat1.

E da allora Rutilio non mi ha più abbandonato.

Nel V secolo d.C. l’Impero Romano era un’entità statale e territoriale che a stento riusciva a mantenersi salda e viva: l’età degli Antonini, la cosiddetta fase “aurea” dell’Impero, era ormai ben lontana, si susseguivano le usurpazioni e il territorio amministrato dall’Imperator si assottigliava sempre di più. La «caduta senza rumore»2, che Roma subì a seguito della deposizione di Romolo Augustolo, con conseguente presa del potere da parte di Odoacre, non destò forse tra i contemporanei così grande angoscia, spavento, smarrimento. Il dominio di Roma3 non rappresentava più l’entità invincibile del passato, ma il lento declino di una potenza mondiale, a cui si aggiungevano una classe dirigente sempre più dissoluta e dedita alla corruzione, la progressiva trasformazione dei costumi e del modus vivendi a seguito della cristianizzazione dell’Impero e di altri fattori. Roma cristiana era ormai egemone nei confronti degli idoli pagani.

E questo, probabilmente, provocò la reazione dell’aristocratico Claudio Rutilio Namaziano4. Originario della Gallia, Praefectus nel 414, Rutilio, nonostante il suo supposto paganesimo, riuscì a conseguire nella Pars Occidentalis una brillante carriera di funzionario durante l’impero di Onorio, come dimostra la nomina a Praefectus Urbis nel 414, una carica, istituita da Augusto, che rimase tradizionalmente appannaggio della classe senatoria, mantenendo il suo prestigio in tutte le fasi della storia imperiale5.

Il Sacco e il Ritorno Il ritorno di Rutilio ha una meta, la Gallia Narbonese, che lo stesso Alessandro Fo individua come verosimile destinazione del viaggio, dato che: «il codice Vindobonensis indica nella soprascritta come destinazione del viaggio. In terre cioè fra le più strapazzate dalle scorrerie barbariche, fra cui restano memorabili quelle del 413 ad opera dei Visigoti stessi, di ritorno dall'Italia meridionale sotto la guida di Ataulfo. […] Si è molto discusso sull’anno preciso del viaggio, in particolare schierandosi per il 417 o il 415. Comunque stiano le cose, Rutilio parte, e nonostante sia inverno, parte per mare: infatti, ci dice, non ci sono più ponti, né ostelli, tutto ha sofferto le recenti rovine (1, 37 ss.)» 6.

Foto scattata quel dì dal buon Daniele con la prof.ssa Privitera, Bondì e uno spettinatissimo (as usual) me

Il film Claudio Bondì, regista e sceneggiatore, classe 1944, allievo di Roberto Rossellini, ha scritto e diretto numerose serie televisive per Rai Uno, Rai Tre, ORF, ZDF e tre film: Il richiamo (1999), L’educazione di Giulio (2000) e, per l’appunto, il De Reditu (2003). Quest’ultimo, a causa della estrema economia di mezzi, come ci ha raccontato nella conversazione avvenuta nella sua casa di Trevignano Romano, passò quasi sotto silenzio.


Perché realizzare un film sul V secolo dopo Cristo e, soprattutto, su Rutilio Namaziano?

«Ho scoperto Rutilio nel corso dell’esame di Letteratura Latina di [Ettore ndr] Paratore. Nel manuale era riportato come egli fosse l’ultimo poeta pagano della letteratura latina: la cosa non mi impressionò molto. Al contrario destò la mia curiosità il fatto che Rutilio Namaziano intraprese un viaggio con tre barche per tornare in Gallia e vedere in che condizioni fossero i suoi possedimenti a seguito delle devastazioni dei Visigoti. Mi sembrava una cosa molto romantica e mi rimase viva nella mente fino agli anni ’80, quando mi proposero di realizzare una serie per la televisione dal nome “Vita quotidiana di…”. Il programma si proponeva di raccontare delle epoche storiche attraverso dei personaggi. Dovevo scrivere 10 trattamenti e uno di essi fu quello su Rutilio Namaziano: attraverso la sua vita e il suo viaggio ho ricostruito la fine dell’Impero. Il testo piacque molto, ma non fui scelto a causa di limitazioni nel budget. Il testo lo pubblicai in seguito»7.

Cosa accomuna gli anni di Rutilio ai giorni nostri?

«C’è una “tangenziale” che unisce quegli anni ai nostri: sono epoche così dissimili per alcuni versi, ma fin troppo simili per altri. L’impossibilità, per esempio, che ha Rutilio di parlare con i cristiani è la stessa che proviamo noi nei confronti degli islamici. Anche negli altri film che ho realizzato ho parlato sempre della stessa cosa, se vogliamo: uno o una protagonista, attraversato dalle frecce della Storia, mentre lui o lei cerca di capire e difendersi da quello che gli o le sta capitando. Rutilio è attraversato da un evento che cambia completamente, di lì a cinquant’anni, il senso della vita di chi abitava i luoghi dell’Impero. Come aiuto regista di Rossellini ho realizzato Agostino d’Ippona, dunque mi è capitato di rappresentare una situazione analoga con loro: Agostino e i suoi compagni si sfregavano le mani a seguito della caduta della “Grande Meretrice”.

Non sono uno storico, ma certamente, nonostante le due epoche siano differenti, alcuni tratti non sono così dissimili, come dicevo: stiamo vivendo una situazione analoga a quella di Rutilio. La “grande povertà” di chi è costretto a emigrare entrerà infine nei nostri confini: non possiamo sparare a vista sulle barche, sarebbe un comportamento folle. Bisogna cercare di includere e di assimilare il più possibile, così come venne fatto in passato. Anche perché, se non sbaglio, Alarico voleva essere insignito generale dell’Imperatore. Solo a seguito del diniego dell’Imperatore ruppe il patto con Roma e successe quel che conosciamo. Nell’immaginario delle popolazioni non romane, essere insigniti di un titolo che, probabilmente, all’epoca non valeva moltissimo, sarebbe di per sé bastato».

Rutilio, nonostante fosse di estrazione aristocratica, nel film si scontra con quella che era la “miopia” politica della classe senatoria. Perché nel suo De Reditu si verifica questo scontro?

«Quando Rutilio va dai senatori a proporgli quel piano, del tutto visionario, di mettere insieme un esercito per rovesciare il potere imperiale e “sanare” situazioni che andavano sanate, per l’appunto, i senatori lo prendono per matto. D’altra parte, però, aspettano di vedere quali mosse metta in atto Rutilio. Non sia mai che quel “pazzo” fosse riuscito nell’intento!

Dunque, da un lato c’era l’intuizione, da parte mia, di mostrare quel che sarebbe accaduto di lì a poco, storicamente parlando, nel medioevo: l’incastellamento. I senatori, grazie ai possedimenti e al capitale accumulato nel corso della loro vita, iniziano a ritirarsi nelle loro ville e a vivere per conto loro.

D’altro canto c’era la volontà di mostrare il lato per così dire tutto “democristiano” dei senatori romani: accontentare tutti, non essere nemici di nessuno, senza necessariamente interpretarlo come un fatto negativo, dato che probabilmente non c’era altro comportamento da tenere. Rutilio, infatti, è molto rigido nelle sue posizioni e i senatori provano a fargli capire che già nelle legioni la proporzione di germani era decisamente elevata».

Democristiani” o meno, sembrano essere più realisti.

«Certamente: è proprio da quel dialogo e da quell’incontro che volevo far apparire il lato romantico di Rutilio. Il comportamento “democristiano” si rivela subito dopo, come dicevo prima: quando Rutilio va via dalla villa, i senatori, riflettendo tra loro, affermano che comunque non è stato cacciato via da loro.

Ho, poi, un difetto che dichiara la mia età: non riesco a fare un film o scrivere un libro senza alcuno scopo. L’utilità di questo film è chiarire alcune cose, non da un punto di vista didascalico, ma per far capire alcuni meccanismi fondamentali che si ripetono.»

Il meccanismo che sta dietro il finale, allora, qual è?8

«Il finale non lo conosce nessuno. Non avevo la minima intenzione di far morire Rutilio: sapevo che non era morto e che era arrivato almeno fino a Milano nel suo viaggio; non potevo farlo combattere contro i catafratti, che l’avrebbero schiacciato in pochissimo tempo. Non lo so neanch’io che fine fa Rutilio. Quando noi incontriamo un testo che, improvvisamente, si interrompe, bisogna fare in modo di far terminare il tutto. Nel film, peraltro, ho messo in scena cose non vere, come ad esempio il fatto che Rutilio si stia recando in Gallia anche per radunare delle legioni e scavalcare così l’Imperatore, che stava a Ravenna, come ho detto prima. Avevo bisogno di quello spunto per il percorso che segue Rutilio nel dialogo con i senatori, quando, rifiutandosi di seguirlo, si iniziava a delineare il processo dell’incastellamento medievale. Questo finale che ho trovato nel film vuole significare una mia devozione nei confronti di Rutilio».

Una devozione che legittimerebbe anche lo spunto dell’esercito da radunare contro l’autorità imperiale di Ravenna?

«Ci sono tante cose che sono state lasciate a metà e che vanno prese, per l’appunto, per la trattazione cinematografica in sé».

Nella narrazione filmica, però, si trattano anche tematiche letterariamente concrete, come le devastazioni dei cristiani nei confronti degli idoli pagani.

«Il discorso iniziale fra Rutilio e Palladio fa parte di un tema su cui la letteratura (già quella latina) ha prodotto tonnellate di testi. I cristiani, appena ottenuta un’oncia di potere, si adoperarono nella rimozione e distruzione degli idoli pagani. Successivamente, con l’intelligenza, si appropriarono di quel che la cultura e l’Impero aveva compiuto. Certo, con dei “filtri”, secondo me: molte opere non sono arrivate perché forse davano molto (o troppo) fastidio. Una scena in particolare, nel film, non ho potuto realizzarla e un po’ me ne rammarico: prima dell’uccisione del rematore, i catafratti avrebbero dovuto incontrare due processioni, una di cristiani e un’altra di pagani. Paradossalmente, entrambe le processioni proseguivano su strade diverse per andare nello stesso posto, ma in senso inverso: i catafratti avrebbero dovuto prendere tutti a bastonate indiscriminatamente. Con questo intendevo dire che la situazione era talmente complicata che non si riuscivano quasi a distinguere le due religioni e le due manifestazioni religiose».

Nel senso che le credenze religiose sono viste, in entrambi i casi, come un intralcio al potere?

«Esattamente: al potere non gliene importava nulla. Intendo dire che in quella fase tanto i pagani quanto i cristiani davano fastidio in egual maniera al potere. Rutilio vive, viaggia e scrive in un periodo in cui le differenze fra le due religioni, così come le loro manifestazioni, erano sottilissime. Quella scena avrebbe potuto far capire come e quanto fosse caotica la situazione dell’Impero nel V secolo.»

Anche nell’opera di Rutilio, infatti, il potere non ne esce benissimo, mi riferisco al medaglione su Stilicone…

«No, affatto. Un’altra scena, a proposito di questo tema, che non ho potuto realizzare, riguarda l’inizio del film, quando Rutilio arriva ad Ostia. Il protagonista avrebbe dovuto imbattersi in un gruppo di Visigoti, o comunque di non latini, i quali incontravano un vecchietto per strada, fracassandolo di botte senza una ragione specifica. Entrambe le scene, quella sopra descritta e quella che ho detto ora, avrebbero rappresentato cose che non sarebbero mai potute accadere cinquant’anni prima e che, invece, accadevano negli anni in cui Rutilio aveva deciso di intraprendere il viaggio»

Gli schemi saltano per tutti, insomma, tanto per i cristiani quanto per i pagani.

«Non solo, anche per l’autorità cristiana, la quale, come ho detto prima, tanto in ambito storico, quanto in ambito documentale, non fa arrivare delle testimonianze importantissime, di cui abbiamo solo i titoli. Giuliano, ad esempio, è diventato l’“Apostata”, il traditore: avrei voluto fare un film anche su di lui. Non era Apostata per nulla ma venne marchiato così dai cristiani, solo perché aveva osato dire che i maestri, dovendo insegnare la storia antica, non potevano essere cristiani. La sua non era un’ostilità aprioristica: era ben motivata. Come faceva un maestro a spiegare il complesso divino pagano e la storia precedente al cristianesimo, se condannava tutto quello che era avvenuto precedentemente a Cristo?».

I discorsi attorno alla religione, inevitabilmente, portano alle considerazioni sull’attuale e il riferimento non può che tornare all’integrazione e ai nostri giorni, cosa ne pensa a riguardo?

«La questione è complessa: pensiamo però al fatto che i cristiani distruggono, se vogliamo, buona parte di quello che era un mondo stabilitosi da settecento anni. Pensi al Pantheon: un meraviglioso esempio di integrazione, un luogo in cui erano presenti tutti gli déi: tutti diventavano cittadini romani e potevano venerare chiunque volessero. In un certo qual modo la tolleranza dell’Impero era simile a quella presente nell’Impero Asburgico, in cui convivevano circa quattordici nazionalità diverse».

A proposito di religioni, Rutilio se la prende anche coi giudei.

«Roma era, certamente, antisemita, ma solo perché i Giudei davvero non venivano capiti, erano percepiti come “strani”. Quando nel film faccio dire ai personaggi che il proprietario della locanda in cui si sono fermati è giudeo, perché aveva messo loro in conto anche l’erba che avevano calpestato, probabilmente sarà stato così [ride]: denigrare “la tirchieria” è un costume che attraversa le epoche».

Passiamo a Rutilio e alla sua figura storica e letteraria. Personalmente mi sono innamorato della sua opera letteraria quando ero al liceo, lei nel corso degli studi universitari. Prima di realizzare il film, però, passa moltissimo tempo. Come mai?

«Nella mia vita, quando ho cercato di fare determinate cose non sono riuscito a realizzarle. Quando invece non le pensavo neanche, è successo che le ho fatte e portate a termine. È strano, non trova? Se mi incaponisco a voler fare qualcosa, non c’è verso che riesca a farla. Devo scrivere, quello sì, e anche molto, ma se incontro resistenze non devo occuparmene o incaponirmi. Il film su Rutilio giaceva “da una parte”: per me era morto e sepolto a seguito del primo rifiuto televisivo. Inaspettatamente, arrivò l’occasione per Rutilio anni dopo. Tra l’altro c’è da dire che la Rai continua a mandare in onda pezzettini, di qualche secondo o minuto, a seconda delle necessità, del mio film nei più disparati programmi di divulgazione o anche storici: anche in “Ulisse” di Alberto Angela, ho ritrovato dei frammenti. Se questo film l’avesse comprato la Rai la sua sorte, forse, sarebbe stata diversa».

Si ricorda come venne accolto e quale fu il giudizio riguardo al film?

«Ero molto scontento del film. Mi sembrava di non essere riuscito a raccontare nulla di quello che avevo in mente, anche perché prima della sceneggiatura finale ne avevo realizzate nove. Testi, tutti e nove, che ho regalato ad Alessandro Fo. Ogni sceneggiatura successiva alla prima è stata una riduzione, a seconda di quello che il budget che avevo a disposizione consentiva di produrre. Avrei voluto girare con tre barche, anziché con una, avrei voluto girare le scene che ho descritto sopra oltre all’inseguimento dei catafratti, i quali, secondo la prima stesura, avrebbe dovuto essere una truppa, non “quattro scalmanati” come nel film. In me, probabilmente, era rimasto più forte che in altri uno scontento enorme rispetto a quello che ho dovuto togliere e che mi sembrava importante rispetto al [prodotto finale] montato. Alessandro Fo, che si imbucò [ride] letteralmente alla prima proiezione del film riservata alla troupe, dopo i titoli di coda mi fermò e mi disse che avevo realizzato una cosa straordinaria e mi riempì di elogi. Io mi aspettavo che, al contrario, mi prendesse da parte per darmi del mascalzone e farabutto!».

Quindi critica positiva nonostante la sua contrarietà?

«Esattamente! Il Manifesto fece un articolo a sei colonne con il seguente titolo: “Contro The Passion, De Reditu: un apologo pagano”, scritto, se non ricordo male, da Silvestri. Il ritaglio di quel giornale, insieme a molto altro, l’ho donato al Museo del Cinema di Torino, quindi ora non ce l’ho, ma spero sia facilmente reperibile in rete. Il tema era importante, per la verità, e la pubblicazione del film ha spiazzato un po’ tutti. Al contrario, io ero quasi furibondo dopo la pubblicazione del film. Pensavo ricorrentemente che una cosa a cui tenevo moltissimo fosse il film, che “alla fine dei giochi”, mi era venuto peggio. Pensavo perfino che la gente se ne potesse andare via a proiezione in corso!»

Quanto costò, infine, il film?

«Ottocento mila euro e le riprese durarono sette settimane. In una cosa sono stato feroce: la barca del film non è stata mossa da motori o nient’altro di meccanico. La barca ha funzionato coi suoi tempi.»

Quindi, nonostante le sue infelicità, il film venne accolto bene.

«Anche altri colleghi registi mi chiesero quello che mi hai chiesto, ovvero, come mi fosse venuto in mente di realizzare questo film. Mi ero appassionato all’aspetto romantico dell’avventura verso l’ignoto che un solo uomo vuole fare, nel tentativo di [recuperare] una situazione irrecuperabile. E ne è venuto fuori un prodotto che, in un modo o nell’altro, ha i suoi devoti. Non dobbiamo, però, vedere Rutilio come un anti-cristiano, piuttosto come un filosofo che reagiva a tutto quello che stava succedendo a lui».

Una reazione rispetto all’attualità che lo circondava, dunque?

«Necessaria, aggiungerei. Anche perché i cristiani di allora ritenevano imminente la fine del Mondo. Potevano dire, in sostanza, tutto quel che volevano, convincendo la gente del fatto che la fine sarebbe stata imminente e che presso di loro avrebbero trovato la salvezza».

A proposito di accoliti del film, in rete si possono trovare diversi articoli e post di blog di cinefili che plaudono alla sua opera. C’è un aneddoto, anche recente, che vuole ricordare a riguardo?

«Un aneddoto che ricordo con piacere, a tal proposito, è questo: nel 2010 ero a Trieste, al Festival del cinema latinoamericano: portavo un documentario La balena di Rossellini9. Finisce la proiezione del film e mi si avvicina una signora, chiedendomi se avessi realizzato anche il De Reditu: «Mi deve fare un favore» - mi disse - «c’è mio marito, uno storico, che passa ogni sera a recuperare i pezzi del suo film trovati su Internet, tra YouTube e altre piattaforme: non ci dorme la notte, gli faccia avere un dvd». Forse, allora, De Reditu qualcosa ha messo in moto nella comunità di appassionati, di storici e non. Ne ho avuto la riprova a seguito della proiezione che c’è stata alla Casa del Cinema quattro anni fa: la domanda che più mi è stata posta era come mi fosse venuto in mente di farlo, questo benedetto film».

È proprio questo, in fondo, che muove curiosità e interesse nei confronti del De Reditu: il film ha una sua platea di aficionados, facilmente rintracciabile tramite una ricerca in Internet attraverso un qualsiasi motore di ricerca. Proprio Bondì, a seguito di questo interesse10, ha concesso che il film venisse caricato integralmente su YouTube11.

1 Rutilio Namaziano, Il ritorno, a cura di A. Fo, Torino, Einaudi, 1992.

2 Momigliano, Storia e Storiografia antica, Bologna, Il Mulino, 1985.

3 Non fu sempre Roma la sede imperiale, tuttavia, come un immaginario collettivo ha erroneamente tramandato: Milano e Ravenna furono le città a cui gli imperatori preferirono affidare il titolo di capitale come lo si intende oggi. L’ultima sede imperiale fu appunto Ravenna. Né bisogna trascurare il fenomeno non inconsueto delle usurpazioni, a sua volta responsabile della designazione di una diversa sede imperiale, relativa alla porzione di territorio, su cui l’usurpatore di turno esercitava il proprio dominio.

4 Per una sintesi del vivace dibattito sull’ordine dei tria nomina, cfr. A. Fo, Ritorno a Claudio Rutilio Namaziano, Pisa, 1989, p. 50.

5 «Le belle proprietà di Gallia, di un uomo che ha trovato in Roma il vertice della bellezza della civiltà non sono sfuggite alle devastazioni, sì che ora egli deve ritornarvi. Claudio Rutilio Namaziano è un aristocratico, figlio del funzionario imperiale Lacanio, ha egli pure ricoperto importanti cariche, principale delle quali la prefettura di Roma (nel 413 o nel 414), e abbonda di amicizie e parentele eminenti». Così Fo, ibidem

6 Rutilio Namaziano, Il ritorno, cit. Significativo il passaggio, in cui chiarisce il motivo del viaggio, I, 19-22: At mea dilectis fortuna revellitur oris / indigenamque suum Gallica rura vocant. / Illa quidem longis nimium deformia bellis / sed quam grata minus, tam miseranda magis.

7 C. Bondì– A. Ricci, La storia a misura d’uomo: vita quotidiana nell’Italia antica, Torino, ERI, 1980.

8  Il de reditu è incompiuto: il film di Bondì prova a immaginare un finale, nel quale le guardie imperiali riescono a mettersi sulle tracce di Rutilio, uccidendo un membro dell’equipaggio della barca. «Sembra passato moltissimo, amico, e invece siamo appena a metà del viaggio», così Rutilio nella pellicola si esprime, rivolgendosi a Minervio (Rodolfo Corsato), il quale, sfoderando appena la spada, risponde enigmaticamente: «di questo o di quell’altro?», mentre i cavalli delle guardie imperiali galoppano (non pacificamente) in direzione dei due.

9  Film ideato da Rossellini nel 1971, ambientato in Cile, che non ha mai visto la luce.

10 La decisione di Bondì è in totale controtendenza rispetto a quello di registi, musicisti e artisti in generale: si veda il caso Napster/Metallica, la cui disputa aprì un dibattito feroce tra chi scaricava illegalmente musica e la difesa del diritto d’autore.

11 Qui, il link del film completo: <https://www.youtube.com/watch?v=6esfS4lrz5I>.

Ancora una cosa...

Piccola nota personale, a margine della conversazione. La passione per i versi di Rutilio Namaziano l'ho sempre condivisa (fin da quando si è palesata) con Domenico, compagno di liceo e ora docente a Oxford. Io bocciato in quinta ginnasio, lui vera e propria miniera di sapere già a 16 anni; lui autodidatta ma tecnico (nel senso stretto della parola) a suonare la chitarra, io grattacorde. Eppure, nonostante la distanza, siamo ancora in contatto, ed è davvero una tra le cose più belle che mi ha lasciato il liceo. A lui, però, Rutilio non piaceva affatto: il latino era "barbaro", rozzo, altroché odi et amo quare id faciam etc etc. Al momento dell'iscrizione all'Università andò alla Normale di Pisa e all'esame di ammissione, mi raccontò poi, gli chiesero di chi fossero i versi su cui tanto gli ruppi le scatole a 16 anni: non solo glielo ha detto ma gliel'ha pure citati a memoria. Ammesso alla Normale senza riserve, ovviamente. Rutilio ora pro nobis.

domenica 10 aprile 2022

Travolti da un insolito Destino di una partita della seconda categoria laziale

«Una volta tanto possiamo anche pareggiare: o vinciamo o perdiamo. È che non ci piacciono le mezze misure».

La sintesi migliore a fine partita la pronuncia il portiere: Daniele Poma, oggi sui gradoni (espulso la settimana scorsa contro il Mar.Na) a sostenere la Borgata con cori e canti assieme ai tifosi.

Alla Borgata le mezze misure non piacciono e, in effetti, anche in questo caso lo ha dimostrato: primo tempo sopra le righe, non proprio reattiva nella ripresa.

Ma procediamo con ordine.

Se si esclude il direttore di gara (Destino, da cui il titolo del post riprendendo il titolo di una nota pellicola del cinema italiano), che non si accorge neanche di un pugno dato volontariamente dal portiere ospite a Chieffo, si può ben dire che il protagonista di questa partita è stato il forte vento. La Borgata scende in campo compatta e con la voglia di dimostrare tutto: non semplicemente “portare a casa la giornata”. Il piglio con cui gli undici granata entrano nel rettangolo di gioco è eccellente, nonostante nella prima frazione il vento soffi in direzione contraria dell’attacco dei locali. Ma De André insegna che a fermare il vento gli si fa solo perdere tempo. Eolo, spostati: ci servono i tre punti!

Il vero motore dell’attacco granata sembra essere un reattivo e presente Proietti: più volte nel primo quarto d’ora il numero 7 viene cercato e pescato dai suoi compagni ma, troppo spesso, la sua iniziativa è isolata e non riesce a connettersi col resto dell’azione. Il centrocampo della Borgata tiene e sebbene il 16 arancionero si faccia vedere, tagliando porzioni di campo per accentrare l’azione della Caput Roma, regge e Monopoli viene contenuto. La prima grande occasione è al 17’: cavalcata di Chieffo dalla destra e tiro velenosamente preciso. Isopo respinge ma non blocca: sopraggiunge Cassatella nei pressi dell’area piccola che tenta l’intervento col destro per impedire il secondo tempo di reazione dell’estremo difensore, ma giunge un attimo in ritardo e la sfera è ospite. La Borgata preme sul pedale dell’acceleratore e inizia a creare occasioni, una dopo l’altra: al 18’ è Proietti a farsi vedere dalle parti di Isopo, tentativo che si spegne sul lato sinistro della porta; al 19’ è Ciamarra che prova a impensierire l’estremo difensore della Caput.

La Caput Roma riesce a farsi vedere solamente attorno al ventesimo di gioco: Segamonti pesca in cross Domizi: supera due uomini e arriva a tu per tu con Capuani. È una frazione di secondo: Capuani sembrava già battuto ma Domizi non tira, l’estremo difensore granata si tuffa tra le gambe dell’avversario fermando l’azione d’imperio.

La partita si sblocca al 25’ e, per una volta, è bene utilizzare una di quelle espressioni oscene che però fa molto “cronaca sportiva”: “colossale dormita” della difesa ospite, in particolar modo di Segamonti, e Chieffo riesce a insaccare portando avanti la Borgata con un destro preciso.

I granata sono in festa e consci che la partita vada chiusa. E anche nel giro di pochi minuti: servono maturità e testa, c’è bisogno di lucidità. Il ritmo alla mezz’ora si fa più blando ma al 35’ il solito Chieffo, assieme a Pompi, tenta il raddoppio: Isopo blocca il risultato sull’1-0. Proietti vuole segnare a tutti i costi: ci prova al 33’ così come cinque minuti dopo: non riesce e se la prende col palo. Lo prende a calci sfogando rabbia e frustrazione, ma lo sa anche lui: la prestazione, fino a quel momento, c’era.

L’unico giocatore ospite che sembra manifestare più carattere nella prima frazione di gioco pare sia Monopoli: riesce sempre a saltare più di un giocatore granata e a farsi largo tra le maglie difensive locali che, di fronte a lui, diventano un po’ troppo porose. Un’avvisaglia per quel che sarebbe successo nella ripresa. Già, cos’è successo? La Borgata, a cui non piacciono le mezze misure, torna a giocare con il vento favorevole ma – forse - con l’umore di chi aveva già in testa l'esser riusciti a portare a casa i tre punti senza troppi sforzi. Una mancanza di maturità, una stanchezza in potenza: il gol al 25’ del primo tempo è stato una goccia di miele sulla lingua dopo aver assaporato solo medicine amare nel corso delle ultime settimane. Testa e cuore: la Borgata ce li ha e anche “sovrabbondanti”. Costanza e realismo molto meno. Se la Caput Roma nel primo tempo si aggirava nel rettangolo verde senza troppo comprendere cosa stesse succedendo, nella ripresa ha un atteggiamento completamente diverso, complici anche le sostituzioni (con l’entrata di Giannetti e Viscontini). Mister Peschiaroli cambia il modulo e la differenza è subito evidente, nonostante la prima azione dei secondi quarantacinque minuti di gioco siano ancora legati all’iniziativa della Borgata: Cassatella salta due difensori e tenta la bordata che impegna Isopo in due tempi. Ma il risultato è ancora bloccato. Quattro minuti dopo, al 7’, è Duello che insacca e la Caput Roma riprende una partita che, forse, nella testa dei giocatori granata era già stata data per archiviata.

Quando si torna in campo dopo la pausa, solitamente, succede sempre di tutto: accade che Ciamarra sfiori l’incrocio dei pali su un ottimo assist di Proietti (14’) e che un pallone (al 19’) calciato dal 9 locale colpisca prima la traversa e, poi, finisca poco oltre la linea di porta. Dentro al campo: non è gol. L’illusione è servita: l’emozione mozzata di netto in gola.

È proprio ora, però, che la Borgata tira i remi in barca: la Caput Roma inizia a fare quel che vuole.

Il vantaggio definitivo arriverà al 34’. Gol di Serafino, decano arancionero, in evidente e chilometrico fuorigioco su cui il direttore di gara non ha avuto nulla da dire. Gli schemi saltano completamente: la Borgata si fa avanti e viene punta dalle ripartenze arancionere. Il gol non arriva. Un pugno sì, però, quello del portiere Isopo a Chieffo.

Al 43’ l’arbitro non assegna l’autogol verificatosi a seguito di una punizione calciata dalla Borgata: rimostranze, proteste, un mare di maglie bianche che accerchiano una divisa giallo fluo ed estremo difensore che mette in atto il Galateo al completo, vibrando un colpo al 2 granata che si stava avvicinando all'area piccola arancionera.

Ma l’arbitro non vede.

Forse, però, è vero: la partita andava chiusa prima. Dici “ma come? Ci abbiamo provato, non hai visto?”. Tutto sommato c’è sempre domenica prossima per continuare ad imparare e camminare domandando. Perché, in fondo, è questa l’estrema sintesi: a noi le mezze misure non piacciono, ma dobbiamo imparare a conoscere noi stessi, chi siamo e dove vogliamo andare. Cercando di non inciampare – metaforicamente parlando - sui nostri passi. Ché la cosa più difficile è ammettere la sconfitta. Il punto è che si può anche toccare il fondo, ma le punte dei piedi fanno forza, i muscoli delle gambe spingono, le ginocchia si flettono: ora serve la spinta per risalire e tornare a respirare a pieni polmoni, ché di acqua ce n’è già troppa stando a pari punti con la Tevere Roma.

Il tabellino della ventesima giornata | Campionato di Seconda Categoria Girone E

BORGATA GORDIANI - CAPUT ROMA XIV 1-2

MARCATORI: 25’pt Chieffo (BG) 7’at Duello (CR), 34’st Serafino (CR)

BORGATA GORDIANI: Capuani, Chieffo, Piccardi, Capostagno, Zagaria, Brigazzi, Proietti (40’st Corciulo) Alfonsini (18’st Cicolò), Ciamarra, Cassatella (33’st Michelangeli), Pompi A DISPOSIZIONE Casavecchia, Zannini, Capuzzolo, Segatori, Schiaroli ALLENATORE Fabrizio Amico CAPUT ROMA XIV: Isopo M., Di Carlo L., Monopoli I., Segamonti, Acreman (1’ st Viscontini), Peschiaroli, Fiera, Salomoni (1’ st Giannetti), Duello, Domizi (8’st Serafino), Monopoli M.,(32’st Di Carlo S.) A DISPOSIZIONE: Isopo E., Salvatori, Gentili, Viscontini, Kellil, Montanari (S.n.). ALLENATORE: Federico Peschiaroli Arbitro: Destino (Roma1) Note: Ammoniti: 12’st Segamonti (CR) 21’st Zagaria(BG) Angoli: Borgata Gordiani 3 – 1 Caput Roma XIV. Recupero: 0’pt, 3’st (assegnati) 6’st effettivi.

martedì 5 aprile 2022

La riscossa a 4253 chilometri, ma anche domenica

Foto di Elisa Vannucchi ©

Domenica 3 aprile [2022] la Borgata Gordiani avrebbe dovuto, ma forse anche potuto, giocare una partita diversa ma è andata com’è andata, al netto degli ottativi. Beninteso: chi batte queste righe non era presente alla "trasferta" di Via dell'Acqua Marcia, in quel di Pietralata, in un rinnovatissimo impianto dedicato a Fulvio Bernardini. Non c'ero e, dunque, è bene non parlare di cose che non si conoscono. Tuttavia, si può serenamente dire che i tre punti avrebbero fatto comodo al morale della Borgata, sempre più vicino ad essere come quello delle montagne russe: tra salite e discese, vittorie e sconfitte, il cuore balza fino in gola fino a scendere giù nello stomaco per assestare uno di quei destri che metà bastano. Tornare negli spogliatoi dopo aver giocato quella partita, dopo averne incassati 4 contro il Mar.Na. sarà stato duro come un gancio al mento: abusare di metafore in ambito pugilistico, in queste circostanze, viene facile, il lettore sia indulgente. Gli occhi di Zannini dopo la partita contro la capolista parlavano chiaro: conoscevano il rammarico, ma erano anche profondi come una riscossa in fieri, una di quelle cose che si riescono a cogliere solo dopo una sconfitta bruciante, all'ultimo minuto. Stamattina l'account Instagram della Borgata è stato aggiornato con le foto scattate dalla fotografa Elisa e a cui è stata aggiunta la canzone "La vita è una" del Muro del canto ed è vero: «la vita è una c'hai ragione: non conviene campà co 'r sangue amaro pe' ste quattro iene». Che i gol siano iene, non c'è dubbio: mordono e fanno intravvedere la zona playout più vicina, in un meccanismo tipico del dilettantismo tout court per cui in un secondo sei ad un passo dai play-off e in quello successivo sei con un piede in fallo e pronto a scivolare nel burrone pieno di rovi. Che i gol siano iene, non c'è dubbio: però, proprio al centro del parcheggio del campo che ospita le partite della Borgata, addosso ad un palo, qualcuno (va a sapere chi!) ha inserito dei cartelli indicanti città piuttosto lontane con tanto di distanza in chilometri: Istanbul, ad esempio, dal lampione del parcheggio sterrato di Via Verrio Flacco, dista esattamente 4253 chilometri. Chiedersi a quale scopo si sia apposto quel cartello sarebbe non solamente ridondante quanto, piuttosto, inutile: diamo per certo il dato che, ora, c'è l'indicazione e che chiunque passi di lì noti quella freccia. Un enigma sfingeo. Eppure, forse, la risposta sta proprio nell'enunciazione dell'enigma stesso: la riscossa è lì, a Via Verrio Flacco, che poi ci sia scritto Istanbul e la relativa distanza, 4253 chilometri, è un altro paio di maniche. Non importa quanta distanza percorreranno le gambe degli undici granata: l'importante è sapere da dove partire. Cioè da domenica in casa contro la Caput Roma XIV. Che poi, a proposito di Muro del canto, verrebbe "a cecio", come si dice a Roma, un'altra canzone: "Reggime er gioco":

«Reggime er gioco ancora Come è stato tanti anni fa Che a noi nun ce mettono in riga Ce piace d'arzacce pe poi ricasca'».
Azzeccatissima per la Borgata.