Nucleare, il deposito nazionale per le scorie è utopia o prossima realtà?

Torna il dibattito sul nucleare, sebbene non fosse mai sopìto del tutto nonostante la vittoria referendaria. Per stipare le scorie già esistenti occorrerebbe un “deposito nazionale”, parola dell’Isin

 
La questione legata all'energia nucleare torna a far parlare di sé. Per la verità il tema lo si è semplicemente accantonato e tenuto a distanza dall'opinione pubblica dall'ultima volta che si ebbe modo di tornare sulla questione del deposito nazionale delle scorie, Calenda consule. Si torna a parlare di nucleare perché è stato da poco aggiornato l'inventario dei rifiuti radioattivi italiani, il primo pubblicato, dall'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin). E, soprattutto, perché nel 2025 Italia dovrà farsi carico dei rifiuti radioattivi che aveva spedito all'estero per far sì che fossero processati. Operativo da agosto 2018 l'Isin assorbe tutte le funzioni in materia di sicurezza nucleare e di radioprotezione già attribuite dalla legislazione nazionale agli enti che già erano presenti in Italia (Cnen, Enea, Anpa, Apat) e ad alcuni dipartimenti e laboratori riguardanti la radioattività dell'Ispra. Per fare il punto sulla situazione, abbiamo contattato due dirigenti dell'Isin: il Direttore Maurizio Pernice e il Direttore Vicario, nonché ingegnere nucleare, Lamberto Matteocci.

Rifiuti nucleari

«Il report sulla situazione dei rifiuti radioattivi che abbiamo pubblicato in aprile – ha commentato Pernice – è un documento che individua quantità e tipologie di rifiuti ma soprattutto dove sono collocati momentaneamente: ogni sito presenta delle problematicità diverse su cui dobbiamo intervenire, controllando l'operato della Sogin e degli altri esercenti affinché si possano implementare le misure di protezione, dal momento che ognuno di essi deve essere mantenuto e gestito in sicurezza».

Quando si parla di rifiuti radioattivi c'è sempre il rischio di non mettere a fuoco la questione principale della materia: stiamo parlando di scorie a bassa e/o media intensità che al momento sono depositate in quelle che erano le centrali nucleari e negli altri impianti connessi al ciclo del combustibile, un tempo attivi, come ha confermato Lamberto Matteocci: «La stragrande maggioranza di rifiuti radioattivi è collocata nelle installazioni nucleari spente da anni per le quali è in corso un processo di ‘decommissioning'», cioè a dire: arrivare a fare in modo di bonificare il sito «come se gli elementi radioattivi in quel luogo non ci fossero mai stati».

Cos'è contenuto in questi stabilimenti? Generalmente vi sono contenute tre tipologie di scarto radioattivo, come ha sintetizzato l'ingegner Matteocci: «Ci sono quelli che furono generati quando gli impianti erano in esercizio; ce ne sono alcuni di bassa attività che vengono generati per il mantenimento in sicurezza; ce ne sono altri, infine, futuri che verranno prodotti a partire dallo smantellamento», ovvero tutte le parti metalliche che andranno smantellate, per far sì che vengano decontaminate ed essere rilasciate dal sito, oppure confezionate come rifiuto radioattivo. Parlare di rifiuti radioattivi porta inevitabilmente con sé un problema politico: la materia è scottante e spesso anche solo avvicinarsi all'argomento può inevitabilmente far perdere voti a questa o quella forza politica al Governo. Anche perché la gran parte dei rifiuti nucleari italiani si trova oltreconfine, in particolar modo nel Regno Unito e in Francia, come ha spiegato Matteocci: «I rifiuti che sono all'estero dovranno tornare in Italia perché gli altri paesi offrono la propria tecnologia per riprocessare e trattare il materiale» ma tutto il rimanente dovrà tornare in quanto di proprietà del paese che li ha inviati. Anche perché: «In Francia la legge nazionale non prevede che il materiale inviato per il trattamento possa sostare in gestione o in smaltimento nel Paese: dopo aver trattato le scorie del Giappone e della Germania, ad esempio, Parigi rispedisce indietro quel materiale al mittente, una volta processato».

La questione del deposito nazionale unico

Vi è la necessità, secondo l'Isin, di un deposito nazionale unico: da un lato ci sarebbero le scorie che tornano al mittente dai paesi esteri, dall'altra la necessità di raggruppare in un unico impianto di smaltimento, realizzato ad hoc in un sito rispondente a criteri molto rigorosi, tutta la ”spazzatura radioattiva«. C'è da precisare che questo impianto non è affatto da comparare ad una discarica o ad una pattumiera: «L'impianto dovrà avere requisiti stringenti, avrà più livelli di sicurezza», precisano entrambi i dirigenti e «soprattutto sarà solo per i rifiuti di bassa e media intensità»,  mentre in un altro impianto dovrebbero essere stoccati in via temporanea i rifiuti ad alta intensità. Una condivisione necessaria del sito di Deposito nazionale, stando alla normativa, dal momento che per lo smaltimento dei rifiuti ad alta intensità è importante avviare un percorso condiviso: «dovranno essere collocati in un sito di smaltimento ‘geologico', come si dice comunemente, in profondità, per  il quale, in ragione dei limitati quantitativi di tale tipologia di rifiuti, è d'interesse per l'Italia la soluzione di un sito multinazionale, da condividere con altri paesi».

L'ipotesi del deposito nazionale è, tuttavia, subordinata alla pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) da parte di Sogin, senza la quale si parla in astratto: «È come se dovessimo organizzare una gita ma non abbiamo ancora deciso dove andare», ironizzano i dirigenti. Il Direttore Pernice tiene a precisare: «Nella fase di screening iniziale viene proposta una lista di aree potenzialmente idonee, per l'appunto, sottoposta alla verifica dell'ISIN – al momento è in corso l'ultima attività al riguardo - e il soggetto attuatore (Sogin) pubblicherà il documento dopo il nulla osta dei Ministeri competenti». Al momento, tuttavia, non c'è nulla di concreto in mano, benché Pernice e Matteocci siano piuttosto ottimisti sui tempi di pubblicazione.  

 


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