"Progetto Comunista". Quella scritta nera in campo bianco si vide già 13 anni fa

Chi mi conosce sa il mio essere quasi enciclopedico su alcune questioni partitiche e legate ad organizzazioni politiche, specie nella loro fase congressuale. Del mio nicchismo militante e del fatto che mi interessino questioni che proprio non raggiungono oltre 4 lettori. Qualche anno fa scoprii che esisteva un blog 'I simboli della discordia' con la mia stessa malattia, solo più orientata ai simboli di partito.
Ho proposto loro un articolo e, dunque, lo ripropongo integralmente sul blog.



Progetto comunista, il nome visto in Sardegna viene da lontano (di Marco Piccinelli) - http://www.isimbolidelladiscordia.it/2019/02/progetto-comunista-il-nome-visto-in.html


Oggi pubblico un testo che ho ricevuto da Marco Piccinelli, giovane giornalista che collabora con varie testate (tra cui Pressenza) e segue questo sito, probabilmente condividendo la condizione di #drogatodipolitica che accomuna i suoi frequentatori. Quando ha visto comparire l'articolo sui contrassegni delle elezioni sarde, è stato facile per lui ricordare che il nome di una delle liste - Progetto comunista - non era affatto nuovo: era facile averne prova, visto che il simbolo per giorni non si è trovato, mentre emergevano ovunque notizie di un altro soggetto politico, che evidentemente diverso dalla lista presentata in Sardegna. Lascio la parola a lui, buon racconto.
   
Simbolo del Pc-Rol,
prima della costituzione in Pdac
Recentemente su questo blog s’è dato conto dei simboli che si sono presentati alle elezioni regionali sarde appena trascorse. Tra le liste della coalizione guidata da Massimo Zedda, ne spiccava una denominata Progetto comunista per la Sardegna, con falce e martello rossi e simbolo dei Quattro Mori. La scritta nera in campo bianco, così come il nome, riprendono però quasi in toto l'etichetta di un'organizzazione trozkista fuoriuscita dal Partito della rifondazione comunista nel 2006: Progetto comunista - Rifondare l'opposizione dei lavoratori (Pc-Rol). Quell'espressione, "Progetto comunista", era stata scelta in continuità con l'esperienza dell'Associazione marxista rivoluzionaria - Progetto comunista (Amr/Pc: il suo sito web è ancora attivo), autoattribuita sinistra di Rifondazione Comunista: lì convivevano le anime aderenti al trotskismo del partito, tanto quella che faceva capo a Marco Ferrando e Franco Grisolia, quanto quella che seguiva Francesco Ricci e Ruggero Mantovani

simbolo del Movimento per il Pcl,
prima della costituzione in partito
,
Lo scontro che vide nascere il Pc-Rol - ed è il motivo per cui sono stati citati questi quattro rappresentanti dell’area - si consumò nel corso della seconda conferenza dell’Amr, all'inizio del 2006: lì i presentatori del documento Il progetto comunista: la rifondazione rivoluzionaria "abbandonarono i lavori e si costituirono in frazione", come fu riportato da un componente del comitato centrale di Pc-Rol. Questa "frazione" che si costituì venne guidata dai dirigenti che successivamente avrebbero fondato il Partito comunista dei lavoratori (Ferrando e Grisolia): il movimento sarebbe nato nell'estate del 2006, mentre per il partito si sarebbe dovuto attendere il 2008.
simbolo depositato nel 2008
L’altro troncone dell’Amr si costituì appunto in Pc-Rol prima di dare vita ad una formazione (tuttora attiva, anche se a livello embrionale e provinciale) denominata Partito di Alternativa Comunista - Lega internazionale dei lavoratori - Quarta internazionale (Pdac). Al di là del nome più complesso, il simbolo del Pc-Rol presenta sopratutto una differenza rispetto a quello del Progetto comunista visto in Sardegna (oltre all'assenza ovvia dei quattro mori stilizzati): la disposizione di falce e martello. Il soggetto politico, infatti, essendo trotskista, pone i due strumenti di lavoro "a specchio" rispetto ai normali emblemi comunisti; in più, all'incrocio dei due "arnesi", si nota la presenza di un 4 stilizzato, che indica l'appartenenza del gruppo alla Lega internazionale dei lavoratori - Quarta Internazionale.

attuale simbolo del Pdac
Una volta costituito il Pdac e sciolto, o comunque superato, il Pc-Rol, il nome "Progetto Comunista" in ogni caso sopravvisse: la testata del soggetto politico continuò a chiamarsi così (esisteva già ai tempi dell'Amr) e, per un certo periodo, l'espressione era stata conservata all'interno del simbolo del partito, come testimonia il contrassegno elettorale depositato in occasione delle elezioni politiche del 2008. Nel simbolo attualmente in uso il vecchio nome non c'è più, ma nella memoria di coloro che hanno costituito quell'esperienza è rimasto: quando è apparsa la lista sarda del Progetto comunista, qualcuno di loro avrà sicuramente ricordato quella pagina di oltre dieci anni fa, che da un progetto ha fatto nascere un partito.






Attendonsi proclami sull'italianità dell'Albania

Karl Marx scrisse che la Storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa.
La prima volta, a seguito della catastrofe della Prima Guerra Mondiale, la Storia si è manifestata in tragedia: in Italia si iniziò a parlare di vittoria mutilata e il sentimento popolare assomigliava a quello presente nei paesi sconfitti, nonostante il bel Paese risultò vincitore. 
I generali posti sotto processo dopo la disfatta di Caporetto, si convinsero del contrario. 
I militari ritennero che la colpa era dei rossi: l'Italia era piena di socialisti e di pacifisti e se il clima era irrespirabile, certamente era colpa loro. Sarebbe stato utile del «bastone», come veniva chiamato allora. Anche Cadorna in una lettera indirizzata all'un tempo rivale Generale austriaco Konrad Krafft von Dellmensingen, all'indomani del delitto Matteotti, come «se allora [1915] ci fosse stato il governo forte di adesso [1925] sarebbe stata un'altra storia». Quella repressione arrivò, insieme con la rivendicazione di Istria e Dalmazia, con tutto quello che comportò.
A distanza di anni, il revisionismo su quella pagina di storia galoppa, così come infoibata, più che la popolazione italiana, è l’oggettività di quella fase.
Ma la tragedia è passata: il sipario è calato sul proscenio e si lascia il posto al secondo atto dell'Opera. O meglio, dell'operetta. La farsa sta nel Presidente del parlamento europeo che grida «Viva Istria e Dalmazia italiane» aprendo uno scontro diplomatico con i paesi balcanici coinvolti e che, a loro volta, rimandano al mittente le assurde rivendicazioni territoriali.
Non solo: rimandano al mittente parlando esplicitamente di revisionismo.
E menomale che a rivendicare Istria e Dalmazia italiane è il Presidente del Parlamento Europeo.
Alla faccia dell’Europa, insomma.
Attendonsi proclami sull’italianità dell’Albania.
traduzione del tweet: «Sabato ho parlato della deviazione della storia Slovenia. Lo stesso sta accadendo sul versante italiano del confine. Sfortunatamente, tra i politici presenti, anche funzionari dell'UE.  Revisionismo storico senza precedenti. Il fascismo è stato un fatto [storico] e mirava ala distruzione della nazione slovena». Nel video, la sparata del Presidente del Parlamento Europeo.

Buon viaggio (primo), compagno Pasqualino

Pasqualino.  Per me era il musicista e compagno Pasqualino, per altri il professor Ubaldini, come ho scoperto da Eros. Era il suo professore al Giovanni XXIII.
Pasqualino è venuto a mancare oggi. È partito, oggi. L'ho conosciuto grazie a Davide con cui suonava nel progetto Migala.
Quel gruppo per me rappresentava qualcosa di concreto e tangibile nella pratica musicale alternativa, il suono che creavano era davvero diverso rispetto a tutto quello che orbitava, e tutt'ora gira, attorno alla scena popolare e indipendente italiana. I Migala sono gruppo con cui ho avuto l'onore di suonare prima e dopo i concerti e con cui ho avuto il piacere di condividere momenti molto piacevoli della mia vita, in un momento in cui questa mi volgeva le spalle e sembrava essermi ostile. Davide si divideva fra i Migala e il quartetto/trio con me, Elena e Chiara. Una volta, in un concerto a Frascati, mi sono portato la pipa e avevo iniziato ad accendermela: ci siamo conosciuti meglio così, con Pasqualino, ragionando e parlando amabilmente dei tabacchi aromatizzati da usare per la pipa.
Chi lo conosce lo sa: suonava, davvero, qualsiasi legno che avesse delle corde e nel farlo era davvero stupefacente e irraggiungibile.
Quando con Gianmarco (nel 2015) avevamo formalmente fondato la sezione Anpi del VI Municipio (A. Nascimben), mi aveva contattato personalmente per prendersi la tessera, per raccontarmi delle cose sulla sua famiglia e per confrontarsi con me su alcune notizie riguardo la Guerra di Liberazione nel nostro quadrante. Abbiamo preso quell'appuntamento come fisso da quel giorno in cui decise di tornare ad iscriversi all'Anpi. Mi aveva detto che sperava, un giorno, si formasse la sezione dei partigiani d'Italia nel suo, nostro, municipio.
Ogni anno, infatti, dal 2015, ci vedevamo da Vitti per rinnovare la tessera, parlare, fumare assieme. Prima che fosse ricoverato, gli avevo proposto di musicare i "Discorsi da bar" a cui s'era appassionato: mi aveva detto che aveva già in mente qualcosa di "surreale" a supporto della voce. Non so davvero cosa potesse produrre per quei botta e risposta del tutto irragionevoli, ma sono sicuro che il risultato sarebbe stato insuperabile.
Assieme ai Migala aveva composto una canzone che amavo particolarmente e che qualcuno, in una giornata così triste come quella di oggi, gli ha dedicato postandola sul suo profilo Facebook: Viaggio primo (*).
Buon viaggio, anzi, come amavi dire tu:
Suerte!


(*) Scrivo questa postilla necessaria, sebbene abbia già pubblicato questo breve scritto. Viaggio primo, per me, era ed è tutt'ora, una canzone stupenda. Subito dopo aver ascoltato il disco dei Migala, confessai a Pasqualino e Davide che Viaggio primo fosse la canzone che mi era piaciuta più di tutte le altre. Pasqualino aveva sorriso e subito dopo si era messo a raccontare la storia di quel brano, lasciando tradire origini lontane nella sua produzione musicale. Certe volte, quando tornavo a casa da qualche suonata, da Piazza Vittorio o dopo aver suonato con Davide e Chiara: entravo in macchina, mi accendevo un sigaro e spingevo il disco sul tasto play. Nel lettore della macchina, della vecchia Ypsilon, c'era spazio per un solo disco, per molti mesi ho lasciato quello dei Migala e per svariate volte ho riascoltato, a ripetizione, quel viaggio primo, intriso di nostalgia. O, meglio, na partenza, nu ritornu, na speranza.

Trump: «Conosciamo la nostra determinazione: gli USA non diventeranno mai socialisti»

Non è proprio virale, ma poco ci manca. Si tratta del video in cui il Presidente Donald Trump,  durante un discorso al Congresso statunitense, afferma: «Conosciamo la nostra determinazione riguardo al fatto che gli Stati uniti d'America non diventeranno mai uno stato socialista».
La dichiarazione è datata 5 febbraio 2019. Stesso giorno in cui è stata vandalizzata la tomba di Karl Marx a Londra.

 Scrocianti applausi da parte di paffuti deputati americani, paciosi e soddisfatti dei loro supersize menu.
Il socialismo, il comunismo, il marxismo e il leninismo incutono ancora una paura infinita nei confronti di coloro che detengono le leve del capitalismo e della democrazia liberale, ormai diventata segreteria gestionale di quel che viene definito dal capitale transnazionale.

Nonostante tutto, mai come in questo periodo storico, le istanze di chi vorrebbe un mondo diverso, un mondo in cui tutti hanno pari diritti, doveri, dignità e libertà, sono rappresentate da organizzazioni politiche ridotte al lumicino.
La grandiosa sinfonia di quel che era il movimento comunista nel blocco occidentale europeo (Partito comunista francese, Partito comunista italiano, Partito comunista spagnolo) si è andata trasformando in una intimista e un po' triste melodia lo-fi.
Le cause sono certo molteplici e non starò qui a trattarle, dato che non basterebbe un saggio di svariate centinaia di pagine per prendere in esame tutta la complessa situazione dal 1989 in poi. 

fonte: Washington Post (Tolga Akmen/AFP/Getty Images)
Se, però, la boutade trumpiana si unisce all'atto vandalico inferto alla tomba monumentale di Karl Marx in Inghilterra, si intuisce che non è solo paura, quella dei capitalisti e della destra più in generale. 
È spietata volontà di rimozione perché nessuno sappia. Una spietata volontà di sotterrare tutto quello che il movimento comunista, socialista, rivoluzionario ha significato per il mondo intero. Vandalizzare la lapide di Marx di per sé è un atto che può aver compiuto chiunque, da un pazzo a un fascista, o da una persona con entrambe le patologie insieme, ma se ci si sforza a leggere la questione con lenti adeguate, così da rimuovere ogni sfocatura dettata dal pensiero dominante, si intuisce perfettamente che costoro hanno ancora l'enorme timore che i popoli, un giorno, non avranno «nulla da perdere, se non le loro catene». Hanno il timore di chi, passata la tempesta sovranista all'interno del proverbiale bicchier d'acqua, possa riscoprire una parte del passato della storia mondiale che s'era fatto in modo di mettere volutamente in soffitta: la storia della liberazione delle classi subalterne, della dittatura del proletariato, l'espressione che fa più paura ai capitalisti. L'espressione che più rappresenta da vicino quello che è successo nel 1917, quando i bolscevichi fecero piazza pulita dello zarismo. 
Con tanti saluti al Kaiser e alle monarchie europee.
«Nella società borghese il lavoro vivo è un mezzo per accrescere il valore accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è solo un mezzo per ampliare, arricchire e promuovere il processo vitale degli operai. Nella società borghese, dunque, il passato domina sul presente, in quella comunista, il presente sul passato». (Karl Marx, Friederich Engels, Manifesto del Partito Comunista)

La voce della coscienza [del capitale]

Il riscaldamento globale non esiste, il lavoro è una roba novecentesca, la politica deve dialogare col mercato, la finanza è un'opportunità, gli stati devono "capire meccanismi altri", le donne possono anche tacere e possibilmente fare la calza, i migranti si lasciano morire. O meglio, possono pure arrivare qua, ma devono accettare il lavoro nero. Sei l'ultimo arrivato, qua stiamo messi malissimo, dunque o «questa minestra» o «te la butto dalla finestra».

Però, tranquilli, davvero, non c'è da allarmarsi: i consumi riprenderanno, il lavoro tornerà, a condizioni di mercato - chiaro -, il Pil avrà l'impennata che lo farà tornare a livello 0 (che è pur sempre un numero neutro, senza quegli orpelli di + e - che ne condizionano la quantità e la qualità). Tutti saranno accontentati e chiunque potrà vivere serenamente in armonia. In armonia di mercato.

Voi dovete solo cercare di consumare più dell'anno precedente.
E morire in fretta, possibilmente. 
Che non è che possiamo pagà le pensioni a tutti. 
Grazie. 

post scriptum: possibili conguagli imprevisti da tenere in considerazione, no rimostranze.

(S)connessi

Il post parte con una premessa che, in realtà, è un'ardua ammissione della propria debolezza: posseggo uno smartphone, lo tengo praticamente sempre connesso a internet con la sua rete 4G, ogni tanto senza la localizzazione, ma una tantum. Dirsi sconnessi, al giorno d'oggi, è già un atto rivoluzionario nei confronti di se stessi: staccare i dati del proprio smartphone e lasciarlo a posto sul tavolo o sul comodino, distogliendo lo sguardo e concentrarsi su un qualcosa di differente è difficilissimo. La mancanza di concentrazione, la conseguente perdita di memoria, è un disturbo molto diffuso tanto fra i giovanissimi quanto tra i meno giovani e la cosa inizia ad essere preoccupante. 
Nonostante non sia propriamente un cattolico, mi corre l'obbligo di citare un passo dell'ormai celeberrima Enciclica Laudato si' di Papa Francesco: 
«I grandi sapienti del passato, in questo contesto, correrebbero il rischio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell'informazione. [...] La vera sapienza, frutto della riflessione, del dialogo e dell'incontro generoso fra le persone, non si acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale».
Intimamente ho sempre rivolto il mio sguardo interno ad un'analisi simile, ovvero al fatto per cui se una situazione siffatta di sovrapproduzione tecnologica si fosse verificata duemila anni fa, probabilmente Anassimene e Anassimandro non li avremmo conosciuti così come siamo abituati a studiarli. Così come se questa inflazionata tecnologia, alla portata di tutti, avesse toccato la più recente epoca di Karl Marx o di Antonio Gramsci, giusto per non andare a scomodare i due filosofi greci sopra citati.

La necessità della sconnessione
Ho sentito il bisogno della sconnessione quando, parlando con la mia compagna, mi sono reso conto di essere totalmente dipendente dello smartphone. Appare banale come considerazione: se uno sa di usare troppo un dispositivo, potrebbe intuirlo ben da sé. Gli occhi esterni, però, vedono molto più in profondità di due peraltro miopi. Mai come in questo caso. Ho iniziato, dunque, ad essere sconnesso prima per qualche minuto, poi per qualche ora e infine anche per dei fine settimana. Prima, tutto questo, mi sembrava davvero impossibile. Eppure ci sono riuscito. 

Da qui, deriva la necessità della sconnessione per sentirsi un po' più consapevoli (o padroni, che dir si voglia) della propria esistenza e dei momenti che si vivono. Ormai si è sempre più abituati a pensare che se una fase della propria vita non sia legata alla condivisione sui social non è stata neanche vissuta realmente o pienamente. Una grande menzogna.
Gli smartphone, e la navigazione in internet conseguente ad essi, si basano su fattori accessori e indotti: le applicazioni per ordinari subito del cibo, taxi istantanei, per non parlare dei social a cui si è sempre connessi h24. Ovviamente queste cose che ho evocato generano altri problemi che qui non tratterò (Riders, Uber etc). A tal proposito qualche anno fa decisi di iscrivermi ad Instagram perché ho notato che iniziava ad essere utilizzato anche da fotografi più o meno professionisti per la condivisione delle loro foto. Dunque, ho tentato. Circa 6 mesi fa mi sono cancellato da Instagram a causa dell'elevata alterazione della percezione della realtà e di come essa si manifesta agli occhi delle persone reali. Parallelamente, sto usando anche molto meno Facebook. Tutto ciò non ha causato in me degli scompensi di mancanze da tali applicazioni, specialmente riguardo la prima. 
Volevo poi scrivere un'altra cosa che mi sta a cuore: molti di coloro che leggeranno questo post mi conoscono e sanno che sono un tipo sui generis, dunque per molto tempo ho avuto uno smartphone Microsoft Lumia (più d'uno, per la verità). Il suo sistema operativo non è più supportato dalla casa madre e, man mano che il tempo passava, delle applicazioni hanno iniziato gradualmente ad abbandonare la piattaforma, tanto che anche Microsoft ha iniziato a non vendere più i propri smartphones.
Molti utenti si sono riversati su Android o Apple perché «ma va là, i Lumia non servono a nulla non hanno neanche mezza applicazione». Tutto molto vero. Ma siamo sicuri che rottamare sic et simpliciter uno smartphone solo perché non supporti l'applicazione x/y sia corretto o sia davvero utile alla nostra vita? La risposta nel 90% dei casi è un secco no. Anche e soprattutto perché la maggior parte delle applicazioni che vengono utilizzate non sono necessarie. 

La paura delle formiche

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