L'Europa al bivio

Articolo pubblicato su Lindro.it https://www.lindro.it/l-europa-al-bivio/
La tornata elettorale europea va ad innestarsi in un quadro politico nazionale di caos magmatico: le larghe intese si sono fatte più strette ma le sue politiche, di fatto, non sono cambiate; i vertici del Pd sono diventati più cool con l’avvento alla segreteria di Matteo Renzi e propongono di cambiare passo a partire dalla legge elettorale (rigorosamente maggioritaria); il Pdl è diventato (o tornato, che dir si voglia in questo caso) Forza Italia con l’esclusione dal Senato di Silvio Berlusconi.
In un apparente clima di attendismo, ogni forza politica presente nel Transatlantico sta muovendo le proprie pedine, ben coperta da uno spesso sipario, per cercare di forzare i tempi ed andare alle elezioni nazionali assieme a quelle europee.
Le elezioni europee, dunque, dovrebbero tenersi nella seconda metà di maggio, quattro anni dopo quelle di metà giugno 2009, le due tornate elettorali, però, non si assomigliano affatto.
Nel 2009 un redivivo Berlusconi dominava nuovamente le scene della politica italiana con il Pdl, il Partito Democratico era in ritirata dopo la recente ferita aperta della sconfitta, la Lega Nord raggiungeva picchi mai raggiunti così come l’Idv di Antonio di Pietro; a destra del Pdl tutto era più o meno narcotizzato dal partito di Berlusconi che prendeva l’arraffabile delle cosiddette liste minori e a sinistra del Pd si era appena consumata l’ennesima scissione dal partito della Rifondazione Comunista: Nichi Vendola, assieme ai Verdi, al Psi e a parti del Pdci, aveva dato vita al cartello elettorale che, di lì a qualche mese, avrebbe dato vita a “sinistra ecologia libertà”.
Non vi era ancora traccia, però, dei tredici mesi di governo tecnico guidato da Mario Monti e le sue misure lacrime e sangue, così come non era ancora presente in maniera così massiccia il Movimento 5 stelle.
Le liste civiche a 5 stelle andavano ancora formandosi e non riscuotevano il successo che ora possiede il movimento che dovrà decidere, quindi, a quale federazione dell’Europarlamento aderire.
Il tema dello scetticismo riguardo l’Ue, comunque, si è fatto largo negli ultimi tempi e proprio nell’anno appena trascorso, diverse formazioni politiche di diversi paesi dell’Ue hanno fatto riferimento ad un possibile referendum sull’Euro e sull’Unione Europea.
Insomma, di fattori diversi ce ne sono e anche molti: dall’euroscettiscismo all’europopulismo, dal nuovo sistema di voto per le europee alle federazioni dei partiti all’interno del parlamento europeo. Per sbrogliare il bandolo della matassa abbiamo contattato il prof. Arduino Paniccia,  docente di Studi Strategici e Relazioni Internazionali alla Facoltà di Scienze Politiche di Trieste, autore del volume “Trasformare il Futuro”.
Alle prossime elezioni europee, dunque, si voterà con un sistema diverso da quello del 2009 ma per Paniccia questa che verrà sarà l’ “elezione più importante, dalla prima che si è tenuta, per l’elezione del Parlamento Europeo. E questo sia per il nuovo sistema di voto che  per quanto mi riguarda non è così influente nei suoi aspetti strutturali, sia dal punto di vista politico. Il nuovo sistema di voto tenta di fare due cose: portare il Parlamento più vicino ai cittadini che lo votano e portare il Parlamento più vicino, anzi, strettamente collegato alla Commissione. Tentare di fare quello che già è stato fatto nella storia dei governi nazionali: cioè di portare il Parlamento che esprime, sostanzialmente, il governo. Questo è un tentativo della tecnocrazia europea, della burocrazia europea, di salvare capre e cavoli. Perché salvare capre e cavoli? Perché queste sono le elezioni più determinanti, più pericolose, più sostanziose, della storia dell’Unione europea. Perché queste elezioni potrebbero – anziché raggiungere due obiettivi anzidetti (avvicinamento del Parlamento al popolo europeo  e avvicinamento del Parlamento al Governo Europeo), diventare un referendum contro l’unione germanica europea o unione dei paesi del Nord, chiamiamola così in termini strategici, o potrebbero diventare il luogo dell’astensione. Questo è il duplice aspetto, la duplice analisi: se uno conduce un’analisi sui sistemi e sul voto, allora può fare un’analisi che, secondo me, non serve a moltissimo; mentre invece, l’altro tipo di analisi, detiene, antestante, il vero problema problema politico: Unione Europea “sì” o “no”,  Euro “sì” o “no” oppure disinteresse ed astensione.”
Quindi il tema del referendum sull’Unione Europea è quantomai vivo, anche a causa degli euroscetticismi ed europopulismi – come sono stati caratterizzati dalla stampa in queste settimane – che vanno sempre più espandendo il loro raggio d’azione raggiungendo consensi dove prima c’era un vuoto. A partire dallo germanocentrismodell’UE, il prof. Paniccia cerca di chiarire l’euroscetticismo e il termine europopulismo affermando che “per certi versi sono termini anche contrari” e pesano, elettoralmente parlando, in maniera molto differente dal momento che l’euroscetticismo, in termini di percentuale, pesa di più. Se noi volessimo condurre un’analisi strategica l’euroscetticismo si andrebbe a collocare attorno al 40%, (considerando i non voti, le schede bianche, la diserzione elettorale eccetera), l’europopulismo, il nazionalpopolarismo si potrebbe collocare attorno al 20%. Ma comunque si sta parlando di medie”, dal momento che un fenomeno può reagire diversamente rispetto all’altro nel contesto di un dato Paese. “Secondo me, brevemente, facendo una media, l’euroscetticismo si prende il 40% dei consensi e i cosiddetti nazionalpopolari il 20%: i primi, comunque, sono numericamente di più ma non vuol dire niente! L’euroscettico è uno che sta nell’ombra, che si nasconde dietro la scheda bianca, dietro l’astensione, oppure dietro il disinteresse, o nello scetticismo da salotto. Un tempo c’erano i radical chic,  adesso c’è l’euroscetticismo: colui che nella riunione importante non ha il coraggio di attaccare l’Europa, di dire che è un fallimento, ma nel salotto vagheggia sulla questione e non dice ciò ritiene opportuno. Lo scettico non è uno che va all’attacco, il suo contrario – quindi – è il  nazionalpopolare che gli si pone brutalmente in antitesi: va in televisione, finisce sui media, afferma che si debbano cacciare gli immigrati. E’ un altro tipo di personaggio, dunque. Quel 20%, dal punto di vista dell’impatto della forza d’urto, vale molto di più di quel 40% dell’euroscetticismo, quindi”.
E anche la stessa strutturazione dei partiti Europei, intesi come federazioni al cui interno vi sono i partiti nazionali, è “vecchio modo di concepire la politica” perché “è funzionale al tentativo che dicevo prima, cioè, di rendere più popolare (non nazionalpopolare) il discorso del distacco fra l’Europa e i popoli”.

“Oggi i grandi temi dell’Europa non sono quelli individuati sempre nei segmenti di tipo politico, delle vecchie litanie che sentiamo anche in Italia, di cui non ne possiamo più. Quelli nuovi sono temi completamente diversi: sono la spaccatura tra Nord e sud dell’Europa, è il chiedersi che fine farà questa massa di giovani che sta cominciando a rassegnarsi all’Unione Sovietica europea” che per Paniccia rappresenta il processo per cui, “terminata l’industrializzazione, i nostri giovani, non addestrati dall’università, non dalle famiglie, stanno rifluendo in una specie di grillismo del salario minimo garantito, e la sera vanno a bere lo spritz. L’unione sovietica europea, quindi, è il tentativo di dare a 500 milioni di persone, invece che un futuro di competizione, di primi posti, di capacità e di competere, di restare nei grandi continenti, (come la Cina negli Stati Uniti, il subcontinente alla brasiliana) di avere un’Europa che produce delle cose anche interessanti, ma di seconda linea. Ho dei grandi dubbi che si possa rimanere  tra quelli che contano senza che si possa competere duramente”.

Quindi serve una ritrattazione dei trattati europei?
“Ha capito quello che le volevo dire: io sono a favore della revisione totale dei trattati europei. Hanno fallito. Un trattato che ti porta alla debacle è un trattato che ha perso, che non vale niente, come si fa a non ridiscuterli? Solo degli ottusi possono continuare a sostenere i trattati e lo fanno per un motivo ideologico: noi, però, dobbiamo guardare con sospetto tutto quello che è ideologico. Per questo prima l’ho chiamata Unione sovietica europea, e prima Unione Germanica. Perché tradizionalmente sono delle posizioni ideologiche, quelle dei tedeschi, per esempio, che per anni hanno fatto il loro interesse mentre ora sono diventati delle vestali del sacrificio (per gli altri). La posizione pragmatica, di cui si occupa uno che fa strategia (che è all’opposto dell’ideologia), è quella di andare subito alla revisione dei trattati perché quando un trattato viene sottoscritto e poi fallisce è da ritrattare immediatamente. In essi, poi, è riportato più volte, la dicitura della stabilità dei prezzi. Ma l’Europa, un Continente, è un negozio di alimentari? Non scherziamo…”

I sistemi elettorali in campo - intervista a Fulco Lanchester

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Nella stagione delle larghe intese, nella stagione del governo letta Alfano, quindi dopo la dipartita di Forza Italia di Berlusconi, il governo sembra non aver ingranato ancora la marciaDall’inizio della nascita delle cosiddette larghe intese, diventate un po’ più strette dopo la decadenza di Berlusconi da senatore della Repubblica, la questione è diventata sempre più intricata e complicata col passare dei giorni, delle settimane e dei mesi: chi pensava di tirare in ballo il tema della legge elettorale come passepartout di alternatività della proposta politica è rimasto disilluso dalla mancata risposta in termini di consenso.
Il sempiterno scontro tra centrodestra e centrosinistra, riuniti nella stessa maggioranza di governo come fu per i tredici mesi di presidenza Monti, ora è imbrigliato dalla legge elettorale e dai sistemi escogitati dalle parti in causa per traghettare il governo oltre la legge Calderoli 270/2005, meglio nota come Porcellum. La Corte Costituzionale, però, otto anni dopo la legge elettorale approvata, con tre elezioni di ritardo, definisce le linee e pone dei limiti alla legge elettorale Calderoli eliminandone gli elementi di incostituzionalità di cui era foriera: la legge, restituita al corpo elettorale italiano, è quella di un proporzionale puro con uno sbarramento al 4%. Niente premio di maggioranza, niente liste bloccate. 
Da quel dì, si potrebbe dire, si è scatenata la discussione che vede come principale interlocutore il neo segretario del Pd Matteo Renzi che auspicherebbe un sistema elettorale maggioritario, che sia bipolarista e che restituisca le preferenze al corpo elettorale. In sostanza: un bipolarismo puro, auspicato, dunque, anche dal capogruppo di Forza Italia alla Camera dei Deputati Renato Brunetta.
Proprio notizia di ieri è l’articolata proposta, contenente tre modelli a cui rifarsi, del segretario Pd in merito alla legge elettorale: modello spagnolo, ritorno alla legge Mattarella, e il famoso sistema del sindaco d’Italia. Per sapere quale di questi tre sistemi sia il più consono al Paese e alla fase che esso sta attraversando, abbiamo interpellato Fulco Lanchester, professore ordinario di Diritto Costituzionale preso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma. “La Corte Costituzionale, in dicembre, ha dichiarato incostituzionale la legge 270 del 2005, ovvero il porcellum (dopo otto anni ci si è arrivati!). La legislazione di risulta è quella che lei ha detto, cioè un sistema tendenzialmente basato sulla formula proporzionalistica, con soglie di sbarramento variabili dal 4% all’8% e, anche, con delle riserve per i partiti minori (miglior perdente e via dicendo).  Gli altri tre sistemi che sono stati proposti da Renzi hanno una loro logica, una logica apparentemente  di tipo bipolare  e presuppongono  la riforma del  bicameralismo paritario.  Il sistema spagnolo proposto dal segretario democratico è stato, per la verità, ipotizzato già da precedenti legislature degli anni scorsi, ma appare  differente da quello  iberico e  anche  dalle  precedenti   prospettazioni.
Sistema spagnolo, per la verità, già ventilato da Luciano Violante tanto che Massimo Bordin, interpellato da ‘L’Indro’ in agosto, aveva affermato: “la proposta di Violante parte da collegi proporzionali molto piccoli che eleggono tre-quattro deputati e , quindi, liste in cui non ci sono preferenze. Liste bloccate ma più piccole. Inoltre, tale proposta prevede anche un doppio turno. Insomma, una cosa abbastanza cervellotica”.
 Quindi Lanchester prosegue: “in realtà bisogna dire che a suo tempo  ci fu  una disputa fra Vassallo e Ceccanti su chi l’avesse proposta prima: è un sistema che   venne   stato definito ispano-tedesco. In realtà, nella versione di Renzi, diviene un sistema con collegi di dimensioni molto piccole (verrebbero a crearsi collegi in cui si assegnerebbero 5-6 seggi) e con  effetti  “brutali”,  capaci  di  favorire(vista la soglia di  esclusione  implicita del  20%  circa)PD,Grillo  e  Forza  Italia. Il   premio  nazionale previsto  per  la maggiore  formazione rischia  di  non superare il  vaglio della Corte  costituzionale”  
“In un sistema liquefatto come il nostro, però, – prosegue Fulco Lanchester  – non è detto che un  simile  funzioni. Anche  la  versione   rinnovata del  mattarellum – con il collegio uninominale per   475 seggi, e   con un premio 97  seggi al  maggior  partito e  la distribuzione   proporzionalistica dei  residui  63) – risulta molto  drastica  ed è affetta dai  problemi relativi alla scomposizione del sistema politico partitico. Infine, c’è l’ultimo modello, quello del sindaco d’Italia, anch’esso molto incisivo, per  cui  al secondo  turno chi  vince   ottiene  il  60%  dei  seggi.
 La realtà dei fatti  è che in questo momento siamo semplicemente alle proposte: Renzi avrà dei problemi all’interno della coalizione di governo delle medie/piccole intese. Alfano e il Nuovocentrodestra un sistema di questo genere non lo possono certo  accettare .Che poi lo facciano questo è un altro tipo di problema. Sicuramente anche Casini sarà contrario, perché accettarne la  logica significherebbe  schierarsi  da una parte o dall’altra”.
E in una situazione di caos magmatico tale, è sempre rischioso prendere le parti di questa o quella organizzazione politica che ha dominato la scena politica.
C’è da dire, comunque, che in realtà Alfano abbia dichiarato di essere  pronto a lavorare sul modello del sindaco d’Italia, anche con Renzi…
“Nel momento in cui ci dicono che vogliono il sindaco d’Italia, in realtà prefigurano un percorso molto lungo: si tratta di un meccanismo che prefigura anche una riforma Costituzionale – non soltanto del bicameralismo, ma dell’intera forma di governo. Quindi è un prendere tempo. Poi si vedrà. Tutti sono terrorizzati, in fondo, ed è questa una delle ragioniper  cui  la   proposta di Renzi può  sembrare  esplosiva, rivelando   l’obbiettivo  di  far saltare la maggioranza di governo per andare alle elezioni.”
Certo è che se si dovesse verificare lo scenario del bipolarismo puro, contestato da molte voci politiche anche all’interno del Transatlantico a più riprese, non potrebbe verificarsi una deriva populistica? “Il problema è valutare anche in una prospettiva storica quello che sta succedendo. Il nostro è un sistema che ha visto il succedersi , tra 1948 e il 1993 fino al 2013,  di tre sistemi elettorali: proporzionale, mattarellum (1993 – 2005), porcellum (2005-2013).
Sia mattarellum che porcellum avevano una logica di tipo bipolare che,  però, non ha avuto  successo   per  la   mancata la riforma costituzionale del bicameralismo. Un sistema elettorale, come il mattarellum o come il porcellum(al di  là dei  vizi di  costituzionalità  di  quest’ultimo) senza la riforma del bicameralismo perfetto, non poteva che fallire. 
In questo momento il vero problema è che non soltanto  non  vi   è stato  il riallineamento  del sistema  partitico, ma che    mancano i partiti: si sono liquefatti..
Si sono liquefatte le principali formazioni presenti  nel  sistema, e lo stesso partito democratico è sotto forti tensioni. Questo evidenzia da un lato l’imballamento del circuito politico parlamentare, con la difficoltà di trovare una soluzione o ad ipotizzare una soluzione. Anche ciò che sta dicendo Renzi, in realtà è un cercare di lanciare una proposta, ma dal punto di vista concreto non vedo che ci sia ancora molto. Dall’altra, poi, ci sono tutti gli organi costituzionali di controllo esterno ed interno (Corte Costituzionale e Capo dello Stato, ad esempio) che impegnati  in una funzione di supplenza, che però li esporrebbe  a forti polemiche. Questo denota che la situazione è molto complessa e molto grave, non c’era bisogno sicuramente di ricordarlo, ma forse non è completamente inutile.”
Quindi è più opportuna, in questo momento storico, una riforma elettorale o una riforma della politica? 
“Una riforma elettorale forte, con la modifica delle regole di selezione sia delle forze politiche, sia del personale politico, è sempre connessa con una crisi di regime. 
La prima crisi di regime a Costituzione repubblicana  vigente   si   è verificata  nel 1993, quella del 2013 pare addirittura la prefigurazione di una crisi di sistema. Quindi è evidente che la legge elettorale e il sistema elettorale, in senso stretto, dovrebbero  certificare questa situazione. Per cui la riforma della politica viene fuori dalla stessa crisi di regime. L’imballamento sta in questo: non è soltanto legge elettorale che non funziona, ma anche   l’apparato istituzionale, perché una cosa tiene l’altra. Per cui c’è grande difficoltà nel trovare una soluzione. Per  ora  siamo ancora al dibattito interno delle e  tra le forze politiche : la soluzione, se si troverà, sarà velocissima”.
Prosegue Lanchester: “Vorrei, comunque, leggere le motivazioni della sentenza  della  Corte Costituzionale perché quello scarno comunicato relativo alla libertà delle assemblee parlamentari di modificare  della legge elettorale, nell’ambito di principi costituzionali, richiede che si  valutino  quali siano  le  indicazioni  della   stessa  in questo senso. La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il premio di maggioranza. Su questo sono perfettamente d’accordo, l’ho sempre detto e l’ho anche auspicato già da quel 2005.Ma c’è  dell’altro. La Corte costituzionale   ha  deciso   che  la lista bloccata è incostituzionale perché non dà la possibilitàal  singolo  elettore di selezionare il proprio candidato. In  questa prospettiva  il giudice  costituzionale  , potrebbe anche ipotizzare  una serie di principi per la regolazione democratica intrapartitica, ovvero per l’individuazione dei candidati .Questo  permetterebbe  di  prevedere   la possibilità di mantenere  sia  il collegio uninominale, ma  anche la lista bloccata  “corta” a livello interpartitico. Per questo, bisognerà attendere  le  motivazioni   che    saranno  depositate   nella  seconda decade di gennaio,”.
Certo è che di modelli elettorali ce ne sono centinaia, ma “ gli  effetti  di questi sistemi è molto correlata con la situazione delle società civili e politiche.In  sostanza i sistemi elettorali aiutano la stabilizzazione. Essi non possono ,però,produrre stabilizzazioni assolute: chi ci racconta che con un sistema elettorale di un certo tipo si   perviene immediatamente alla stabilità, è paragonabile al venditore di lozioni per la crescita dei capelli. E le parla un calvo”.

Fitto c’è, Meloni esulta. Ma il paese reale langue

Una vittoria. O, almeno, per i canoni dell’esecutivo Meloni una netta vittoria. E no, non stiamo parlando della contrarietà della President...