Sicuro, prof?

Uno di questi ultimi giorni di scuola, anziché tre ore ne ho svolte quattro all'interno della stessa classe.
La prof che copriva l'ora di buco mi ha chiesto di rimanere con lei: "Tanto li porto giù in cortile: ora non fa ricreazione nessuno". Le normative riguardanti il Covid hanno - necessariamente - influito sullo svolgimento di ogni singola parte dell'attività didattica e del ritorno in presenza.
È stata una bella giornata, anche se poi il mio ruolo - ontologicamente opposto a quello dello studente -  ha fatto sì che quel che prima era un idillio diventasse un mezzo trauma per loro causa verifica di storia.
Doveva essere riparatrice di una già svolta in precedenza ma andata male per tutti, invece ha finito per essere il colpo di grazia. Pianti e disperazione in classe.
Mentre ci godevamo il sole e quei 50 minuti di spensieratezza pre-compito, ci siamo fatti delle foto.
Una ragazza mi viene incontro e mi chiede:
"Prof, ma è sicuro che lei non ci sarà a settembre?"
"Purtroppo, sì" - le rispondo.
"Ma neanche se chiede alla preside?", il suo sguardo si era fatto interrogativo e perplesso: come può un prof non andare dalla preside a chiedere di rimanere a settembre, non è forse lei che decide tutto a scuola?
"Purtroppo non posso..."

Hai presente le squadre di calcio? In campo ci sono undici titolari, poi 7-8 riserve che stanno in panchina. Se proprio quelle riserve stanno male, sono tutti infortunati, non riescono a camminare, allora ci sono quelli che stanno negli spogliatoi ad aspettare il loro momento, non sia mai arrivasse il giorno buono. Ecco, io sono uno di quelli negli spogliatoi e quel giorno, per me, è ora. Ma non so mica quando ricapiterà.

Intanto mi godo la mia prima prima superiore, i loro sguardi, le loro risate, i loro occhi e i loro "ciao prof". Ché qualcuno ancora si sbaglia e mi dà del tu. Io li correggo, loro ci pensano e si scusano, ma poi mi ridicono: "ciao, prof".

Qualcosa di buono

È un 11 maggio un po' strano, per varie ragioni che non sto qui ad elencare. È una data che è entrata nella mia vita e nella mia quotidianità a partire dall'anno scorso e per cui sento la necessità di inserirla all'interno del personalissimo e intimissimo Pantheon delle date da ricordare. L'11 maggio abbiamo dato vita - insieme ad altri compagni di lotta, di strada e di vita  - a La Rinascita delle Torri.
Un giornale digitale, un periodico saltuario, uno spazio aperto di discussione e di interlocuzione, un luogo virtuale per parlare di svariati temi locali e globali, cittadini e nazionali, creato nell'epoca della grande distanza che abbiamo sperimentato (e che non ci stiamo lasciando alle spalle indenni).
Certo, si dirà, è un giornale digitale come gli altri, non aggiunge né toglie niente.
Eppure significa molto anzitutto per chi scrive, per evidenti fattori sentimentali, ma in prima battuta per una comunità locale che è andata smarrendosi dopo decenni di errori, inganni e falsità da parte della cosiddetta "sinistra" (quella del non solo - ma anche) che ha utilizzato il VI Municipio come vettore per un mantenimento dello status quo. Non solo personalismi senza precedenti, proprio esercizio sistematico di mantenimento dell'immutato, aggrottando le sopracciglia o facendo spallucce riguardo gli innumerevoli disagi che uno dei municipi più grandi della Capitale presenta. 

Il VI - al secolo ottava circoscrizione - vanta risultati sempre più da capogiro per la propria negatività. Siamo tornati, in buona sostanza, ai livelli del dopoguerra in termini di esclusione sociale, disagio psichico, dipendenze, dispersione scolastica. 

Fare spallucce o dire, come si è detto per anni da ambo le parti, beninteso, "non è di mia competenza", non rappresenta un gran servigio a chi abita questa fetta di Roma che arriva a toccare Gallicano nel Lazio e Tivoli, per citare solo due tra le distanze più siderali che sono in essere. 

Illustrazione di Rachele Lo Piano © nonché copertina di “Diego e i diritti dei lavoratori”, Sinnos editrice.

Nell'editoriale di presentazione della Rinascita, l'11 maggio 2020, scrivevamo così:

«Di fronte allo strascico individualista del mors tua vita mea prodotto dal Coronavirus, e che va a destrutturare la retorica dell'”andrà tutto bene”, «La Rinascita delle Torri» vuole aprire e aprirsi uno spazio di informazione reale e non propagandistica, di dibattito e non di retorica, di giustizia sociale e non di individualismo, di analisi e non di “like”. E lo farà proprio a partire dal municipio delle torri, il VI di Roma, quello che conta livelli di disagio, disoccupazione, dispersione scolastica tra i più alti di Roma.

In poche parole, vuole far capire che solo attraverso una nostra rinascita personale, di ognuno di noi, è possibile superare la montagna che abbiamo di fronte: il tempo della storia fugge e noi, anziché agire in prima persona, ci lasciamo trasportare dalle onde del risentimento spicciolo e dalla retorica propagandistica. O, peggio ancora, rimaniamo immobili.
Di fronte a tutto questo, ci sembra opportuno ribadire che è giusto tornare ad essere comunità contro la barbarie selvaggia del tutti contro tutti

Senza andare troppo oltre, perché altrimenti questo post si trasformerebbe in uno dei miei polpettoni illeggibili: buon compleanno Rinascita

Il 5 maggio

Il 5 maggio cadono due ricorrenze: morte di Napoleone Bonaparte, nascita di Karl Marx.
Due lati della barricata, due opposti.

Ricordarli come si deve è obbligatorio.

«I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi. Ora si tratta di trasformarlo»

Ricordare, si fa per dire, il primo è bene farlo attraverso le parole di Lev Trotskij nella sua analisi del bonapartismo. Nel bene o nel male, Bonaparte ha spaccato la storia: dalla sua dipartita in poi si utilizzerà la categoria politica che prima veniva citata in corsivo: il bonapartismo. Cioè governare personalisticamente, autoritariamente, mantenendo la facciata del consenso popolare tramite plebisciti. Tagliando - forse troppo - con l'accetta la definizione.

«La sciabola, di per sé, non ha un programma indipendente. È lo strumento dell' "ordine". Si fa appello ad essa per conservare ciò che esiste. Elevandosi politicamente al di sopra delle classi, il bonapartismo è sempre stato e resta, da un punto di vista sociale, il governo del settore più forte e più solido degli sfruttatori. Di conseguenza, il bonapartismo attuale non può essere niente altro che il governo del capitale finanziario che dirige, ispira e corrompe i vertici della burocrazia, della polizia, dell'esercito e della stampa».


 

Fitto c’è, Meloni esulta. Ma il paese reale langue

Una vittoria. O, almeno, per i canoni dell’esecutivo Meloni una netta vittoria. E no, non stiamo parlando della contrarietà della President...