Il Corriere della Sera e gli insulti alla periferia

L’editoriale del 28 luglio di Ernesto Galli della Loggia, è bene entrare subito “a gamba tesa” nella questione, è un insulto a milioni di persone che vivono nelle periferie delle grandi città. Uno schiaffo a mano aperta di coloro che vivono del proprio lavoro (ovvero i “proletari”) e sono costretti a turni massacranti per poter sopravvivere e pagare – ben che gli vada – un mutuo che porta via metà dello stipendio. Tralasciando fenomeni di affitto in nero, sub-affitto e altre meschinità che oggi sono considerate “normalità” del “mors tua vita mea” quotidiano. Chi scrive, abita in uno di questi «sperduti quartieri dormitorio» di cui parla il "prestigioso" editorialista del Corriere. Ma quel che ha scritto non ha destato indignazione: la maggior parte del panorama intellettuale, politico e sociale del Paese la pensa esattamente così. 

Per contestualizzare è bene citare un passaggio dall’articolo di Galli della Loggia: «[…] Ma con ancora maggiore urgenza la pandemia ripropone il tema delle periferie. Infatti, da dove pensiamo mai che provengano in larga maggioranza le turbe di giovani che dappertutto stanno agitando le notti italiane di questa estate? Da dove, se non dalle invivibili periferie, dagli sperduti quartieri dormitori, dalle strade male illuminate che finiscono nel nulla? Ormai è diventato un rito. Al calar d’ogni sera, specie nel fine settimana, quei giovani si rovesciano nelle piazze, nei centri storici delle città, e sembrano farlo come posseduti da un desiderio di rivalsa che oggi si manifesta nella volontà d’infrangere tutti gli obblighi e le precauzioni sanitarie, di farsi beffa in tal modo di ogni regola di civile convivenza. Li muove, si direbbe, quasi il torbido proposito di seminare il contagio, d’infettare la società «per bene» insieme ai posti che essa abita. Di distruggere quanto non possono avere»

Il Covid lo portano in dote quei giovani che escono la sera per andare in centro: mossi da un odio sociale così forte verso chi abita nei lussuosi e bei palazzi dei quartieri storici romani (Parione, Regola etc), costoro si fanno beffe del distanziamento sociale e della crisi sanitaria per poter distruggere «quanto non possono avere». Quello che pensa Galli della Loggia è, purtroppo, ben chiaro. Chi vive in periferia è un untore: corrompe il centro e le sue bellezze, distrugge la società per bene; costoro sono creature demoniache che vogliono seminare il contagio facendolo addentrare per bene tra le maglie della classe agiata che hanno la sensazione di «essere abbandonati, di essere esclusi dal circuito della cittadinanza ad opera di un potere estraneo ed ostile […] contro il quale, dunque, non resta che l’arma della rivolta, del voto dato in odio alla casta, ai migranti, ai rom, a tutti, ovvero l’arma della rappresaglia, quella delle spedizioni punitive notturne senza mascherine e sputando sui citofoni dei fortunati che abitano in centro». 

Di tutto questo vaniloquio ostile nei confronti di chi abita in periferia è bene registrare un fattore indubbio: non siamo sulla “stessa barca”. Non lo siamo mai stati. Esiste un “noi” e un “loro”, un fossato piuttosto evidente e demarcato. 
C’era chi poteva permettersi un tampone in tempi rapidissimi, come hanno fatto Guido Bertolaso e Nicola Zingaretti; c’era chi poteva permettersi di violare il blocco e la chiusura totale delle attività dall’alto della sua magione come Andrea Bocelli. 
C’era anche chi moriva di Covid perché i tagli apportati alla sanità pubblica hanno prodotto un solco enorme tra chi può permettersi cure di qualità pagando profumatamente cliniche private e chi deve “accontentarsi” del policlinico sovraffollato della zona in cui abita. Se ne è ancora rimasto uno. 
I tagli apportati alla sanità pubblica negli ultimi vent’anni hanno mostrato quanto sia inefficiente il sistema sanitario italiano, “sforbiciate” che i giornali italiani hanno fatto passare come “ottimizzazioni” e “razionalizzazioni” della spesa ma che, in realtà, hanno preso la direzione dei finanziamenti alla sanità privata. Il tutto per un totale di 37 miliardi, sottratti al Servizio sanitario nazionale.

La periferia è luogo ignoto per antonomasia, per costoro che scrivono sui giornali della borghesia italiana, da frequentare quando scoppiano questioni legate all’immigrazione (vedi Torre Maura nell’aprile 2019) quasi fossero degli scopritori antropologi che, di fronte ad una realtà opposta a quella che vivono, anziché denunciarne lo stato di abbandono, salgono sullo scranno di turno per giudicare. La stampa borghese non è nuova a queste “uscite” poco felici. 
Quando accaddero i fatti di Torre Maura, Lucia Annunziata, direttrice dell’«HuffPost» si precipitò nel quartiere scoprendo con orrore che le strade non portavano ad altro luogo che in quel quartiere: scollegato da tutto e dal resto del mondo ma che veniva da lei percepito come pulito e ordinato, con file di palazzi «dignitosamente ordinari». Così come pure Gianni Cuperlo nel 2018 fece una super passerella a Tor Bella monaca per un articolo su «L’Espresso» al fine di toccare con mano quel che la “sinistra ha smesso di guardare” facendo leva sul “bello” che può esserci in periferia. Come se ad amministrare il municipio VI non ci fosse stato anche e soprattutto il Partito Democratico che insieme al governo della città (Rutelli e Veltroni, così come anche Alemanno) ha svenduto ettari di territorio romano ai costruttori per poter edificare altri e ancor più lontani quartieri scollegati e “dormitorio” (Ponte di Nona, Colle degli Abeti) che Della Loggia guarda con ribrezzo. 
Come se Cuperlo, poi, fosse dirigente di un partito di sinistra. Ma questa è un’altra storia. 

Le letture sommarie delle periferie rappresentano concretamente due facce della stessa medaglia: da una parte si tende a criminalizzare quel mondo di disagio e povertà con lo sdegno fumettistico di chi sviene portando alla fronte il dorso della mano, socchiudendo gli occhi e cadendo all’indietro; dall’altra la visione del “fin qui tutto bene”, nonostante non si comprendano neanche alla lontana la mancanza di lavoro, l’alcolismo, la ludopatia, la dispersione scolastica, le violenze, il coacervo di disperazione e promesse mancate che hanno fatto in modo da far diventare intere porzioni del territorio romano delle polveriere sociali in cui la criminalità organizzata la fa da padrona. 
Ma queste ed altre questioni affini, gli editorialisti, i direttori e i politici rampanti, le ignorano del tutto. Tutte queste letture da bar della periferia non sono altro che la rappresentazione macchiettistica di coloro che producono e portano avanti la città: se la periferia romana smettesse di lavorare, Della Loggia, la Annunziata e Cuperlo, semplicemente, non saprebbero dove andare a spendere i loro soldi per lo spritz delle 18:00. Probabilmente il cameriere che li ha sempre serviti abita a Tor Pignattara o a Castelverde.

Tra le maglie (strettissime) del particolarismo e del "greenwashing". Appunti simpsoniani

Da oggi comincio una nuova rubrica chiamata "Appunti simpsoniani" e che prende le mosse dall'interesse smodato che ho per i Simpson, unito ad un citazionismo compulsivo delle puntate che vanno dalla prima stagione alla ventiduesima e ai ragionamenti politico-sociali e storico-filosofici a riguardo. Chi conosce il sottoscritto conosce, purtroppo, le forche caudine uditive a cui gli interlocutori si sottopongono: ogni situazione è buona per una citazione simpsoniana. 
La prima puntata da prendere in esame è la numero 21 della stagione 8: Il vecchio e Lisa

Giusto un accenno di trama
Il signor Burns scopre di avere più debiti che introiti: si è circondati di uomini interamente assertivi che non facevano altro che assecondare ogni sua richiesta strampalata. Tutto il suo patrimonio è, in un attimo, perduto come un mucchio di cenere al vento dopo un'ampia soffiata. È il capitalismo, bellezza. Lisa Simpson è l'unica che ha osato contraddire Burns nell'ambito di un'incontro alla scuola elementare e, dunque, il vecchio crede che il carattere della piccola Lisa possa aiutarlo a rimettersi in affari. Burns, ovviamente, ci riuscirà ma a discapito di una serie di cose, questioni, persone, affetti e - non da ultimo - principi morali. 
Anche se non vi foste mai imbattuti nella puntata in oggetto, avrete sicuramente immaginato una trama piuttosto complessa, nonostante l'apparenza, che si presta a varie letture, analisi e riflessioni della peculiare realtà tratteggiata dai Simpson

Riciclo: "politene e poliuretano"
La puntata si apre con Lisa già sveglia di buon mattino intenta a separare i rifiuti di casa per aiutare il progetto scolastico del riciclo, supportata dall'iniziativa del Preside Skinner di riciclare per poi vendere i rifiuti e ottenere il denaro necessario per una gita scolastica. Anche se la gita non avrà mai luogo. Lisa separa vetro, carta, plastiche (più d'una) e via dicendo. Marge incoraggia la figlia e cerca di rendersi utile buttando un rifiuto plastico in uno di quel che sembra una busta che contiene - per l'appunto - rifiuti plastici. La conseguenza è terribile, Lisa è preoccupatissima dalle conseguenze del gesto: «No, mamma, ferma: stai mischiando il politene con il poliuretano!», prontamente Homer, per far vedere che si sta interessando alla questione della figlia intellettuale, emette un fintamente preoccupato «Maaaaargeeee».
Questo ci dice già molto su un aspetto riguardo cui è bene soffermarsi. Lisa è consapevole dell'esistenza di due tipi di composizioni plastiche diverse le quali, nonostante appartengano alla stessa categoria generale di "
La radice del problema non è neanche toccata: perché due aziende che producono materiale per tenere ferme le lattine della birra Duff dovrebbero essere composte di due componenti plastici diversi? Perché è impossibile riciclare quei componenti insieme? E, ancora, per quale motivo quelle aziende continuano a produrre plastica nonostante l'evidente inquinamento? La risposta a questi quesiti non può fornirla Lisa: è una bambina che frequenta la scuola elementare della sua piccola cittadina, ha uno slancio positivo per gli argomenti che riguardano l'ambiente e l'ecologia ma più in là non riesce a spingersi. 
Il largo è ancora ben lontano dalle prime secche in cui ci troviamo. Non a caso gli sceneggiatori hanno fatto in modo di attribuire a Lisa le caratteristica di una coscienza - certamente inquieta - in fase di formazione all'interno di una normale e ordinaria famiglia americana: la positività della critica c'è ma è ancora acerba e relegata a questioni tanto di merito quanto di principio. Questioni, altresì, volutamente poste ed esposte in modo superficiale. Come si dice proverbialmente:

Lisa e la pillola kantiana
La coscienza di Lisa la porta a fronteggiare apertamente il signor Burns nell'evento dedicatogli presso la sua scuola. 
Prendiamo ad esempio la prima formulazione dell'imperativo categorico kantiano: 
«agisci secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale». 
Lisa agisce da vera kantiana: se tutto quello che dice il signor Burns è vero, cioè che bisogna lasciarsi alle spalle affetti, famiglia, religione e spiritualità per poter raggiungere il successo e la fama, allora questo non può essere un comportamento morale. Non a caso, in una società ultra-liberista come quella americana, Burns darà della "pazza liberale" a Lisa: non c'è "rivoluzione" in lei, solamente vorrebbe far tornare le cose al proprio posto in una società dominata dal mercato, dal profitto e dall'individualismo. 
Tuttavia, "se tutti facessimo in questo modo", ovvero, se tutti ponessero al primo posto della loro vita il profitto e la noncuranza della conseguenza delle proprie azioni, il sistema fagociterebbe tanto i produttori (imprenditori-capitalisti) quanto i consumatori (persone-lavoratorici e lavoratori). È questo che vuole far intendere Lisa alle orecchie che vogliono stare a sentirla: non possiamo agire con una presunta legge che, in realtà, è solo cupidigia verso il denaro e verso più accumulazione di capitale: "è veramente morale tutto questo?". Certamente no, dunque è bene non farlo.
Sulla base di questo suo agire, cerca di porre la propria battaglia ambiental/ecologista come nord nella propria intima bussola: il Direttore Skinner fa di tutto per coinvolgere i ragazzi nel progetto del riciclaggio, ma al momento della consegna di svariati chili di carta ottiene solo pochi spicci. Imbestialito, ingrana la retromarcia e urla: «Scordatevi il riciclo». Lisa, di nuovo, prova a far leva sul sentimento del Direttore: «Ma abbiamo raccolto tanta carta da salvare un albero!».
Peccato che proprio dietro la station wagon di Skinner troneggi un albero che venga abbattuto dalla furia del dirigente scolastico che aveva ingranato la marcia. Così, termina l'avventura ecologica della scuola elementare della cittadina immaginaria in cui vivono i nostri. Finisce per loro ma non per Lisa. 
Burns è costretto ad abbandonare la centrale nucleare, si ostina a voler vivere come una persona ordinaria nonostante non sia mai stato un ordinario cittadino: lo prendono per pazzo mentre parla con le bottiglie di Ketchup e Catsup e lo rinchiudono alla casa di riposo. Incontra di nuovo Lisa e prova a convincerlo che è cambiato: il riciclo ora si fa interessante per il ricco capitalista della città che è al verde e senza un nichelino. Può benissimo iniziare a chinare la testa, quale che sia la condizione che il fato gli sta riservando, per poterla rialzare subito dopo.

Greenwashing
Letteralmente il greenwashing potremmo tradurlo come: dare una mano di verde al capitalismo per farlo percepire diverso al cittadino-consumatore. Il fenomeno è piuttosto evidente nei supermercati della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo): quando la cosiddetta opinione pubblica fremeva per le questioni legate all'ambiente c'è stato un fiorire di marche che proponevano il proprio prodotto verde in quanto realizzato con energie alternative, imballaggi costituiti da plastiche riciclate e via dicendo. 
Lisa convince Burns ad intraprendere questa strada. Inaspettatamente, l'ottuagenario accetta. Il green ha conquistato ogni aspetto della vita del sistema capitalistico: non c'è più stata ostatività tra i due mondi ma quello più potente ha intuito che per continuare a vivere meglio di prima avrebbe dovuto blandire le pressioni esterne che stavano crescendo. In altre parole: lentamente fagocitando le pressioni ambientaliste facendole rientrare sotto l'alveo del capitale. Il fenomeno del greenwashing è stato di recente analizzato anche dalla rivista «
«Il team comunicativo della multinazionale energetica però riesce sempre a raccontare il lieto fine, anche lì dove il principe alla fine della favola scappa e lascia solo territori da bonificare. Una capacità senza dubbio impressionante, tuttavia giustificata dall’ammontare che Eni destina a tale settore. Secondo i suoi stessi dati, nel 2019 l’azienda ha speso in pubblicità, promozione e attività di comunicazione 73 milioni di euro: per intenderci, circa la metà di quanto Eni prevede di spendere annualmente fino al 2023 in uno dei settori fiore all’occhiello delle pubblicità stesse, ovvero l’economia circolare. Ma la dicotomia tra realtà e narrazione è evidente in tutti i campi. Si pensi ad esempio alle pubblicità presenti in quasi tutti i quotidiani denominate «Eni + Chiara, Luca, Silvia, ecc» il cui focus è raccontare un’altra Eni: più attenta alle questioni climatiche, più green, più circolare. «Energia, solo cambiando il modo di guardare le cose, le cose che guardiamo inizieranno a cambiare. In Eni oggi trasformiamo gli oli esausti di frittura in componente per produrre biocarburanti avanzati»: così recita lo spot che invita Chiara a usare la macchina il meno possibile in modo tale che insieme, Chiara + Eni, possano fare la differenza. Come se la capacità di incidere del singolo e di una multinazionale che ha chiuso il 2019 con un ricavo di 71 miliardi di euro fosse identica»
Non si è sulla stessa barca: consumatore e produttore, capitalista e "unità di produzione" non sono sullo stesso piano. Men che meno ora a causa della pandemia. Esiste un "noi" e un "loro" su una linea di demarcazione piuttosto evidente. La questione greenwashing stabilisce i termini della questione-delle-questioni: l'irriformabilità del sistema capitalistico e la necessità di costruire e pianificare un'alternativa. Lisa, ovviamente, tutto questo non lo sa: crede fino in fondo nel greenwashing operato dal signor Burns e da quello che potrebbe trarre di positivo.

Ma questo ed altro verrà trattato e sviscerato nel secondo articolo a riguardo.

La paura delle formiche

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