martedì 26 marzo 2019

Achille Lauro e noi

Tutti conoscono la celebre canzone Come potete giudicar dei Nomadi, resa ancor più famosa dal particolare timbro vocale di Augusto Daolio:
«ma se vi fermaste a guardar con noi a parlar v'accorgereste certo che non abbiamo fatto male mai».
Poche parole ma dense di significato in una canzone che si traduceva davvero in ribellione contro lo status quo:
«quando per strada noi passiam/voi vi voltate per guardar/vivete pure se vi va/ma non dovreste giudicar/ci vuole poco ad immaginar/quello che state per pensar». 
Per chi fosse amante delle cose vintage, a questo link c'è l'esibizione dei Nomadi al 5° Cantagiro di Fiuggi: https://www.youtube.com/watch?v=rHVv81jIxRA

Lo scollamento fra la generazione precedente a quella che stava suonando e cantando questa canzone era pressocché evidente. Potremmo anche mettere da parte la sociologia e le analisi sull'Italia degli anni '60 - la canzone è stata pubblicata nel 1966 - dal momento che è già evidente il messaggio che traspare dai versi: i capelloni passano per la strada, pantaloni a zampa d'elefante, magliette magari sdrucite, visioni politiche e sociali del tutto opposte alla morale dei loro padri, la gente più anziana li vede per strada e giudicano i loro costumi facendo illazioni su moralità, sessualità e quant'altro.
Non essendo un testimone diretto di quegli anni (infausta classe '92) mi limito ad interpretare l'insofferenza che traspare manifestamente dalla canzone. Insofferenza ma, insieme, presa di coscienza di una nuova morale che stava sviluppandosi in quegli anni, giusta o sbagliata che fosse, nelle cosiddette giovani generazioni

Guardare l'Italia degli anni '60 con agli occhiali le lenti del 2019 è un rischio che è bene non correre, tuttavia molte persone - giornalisti, intellettuali ma anche persone comuni che parlottano di fronte ad un bancone del bar - all'indomani della conclusione della 69esima edizione di Sanremo, hanno avuto modo di commentare i personaggi decisamente fuori dal coro apparsi sul palco paragonandoli a movimenti musicali di rottura del passato (punk su tutti).
Uno fra tutti: Achille Lauro.
Tralascio volutamente disquisizioni su Mahmood perché la reazione nella dilaniata opinione pubblica italiana (qualora ne esistesse ancora una) è stata duplice ma entrambe mi hanno provocato una violenta orticaria musicale, intellettuale, sociale, politica: i primi, afferenti alla sfera della sinistra radical-chic, parteggiano aprioristicamente per l'italo-egiziano affermando, in modo molto semplicistico e bambinesco è bravo, bene che abbia vinto anche se è chiaramente una bugia. I secondi, facendo parte della destra liberal-ma-anche-un-po'-salviniana-ognitantotendoilbraccio, inveiscono aprioristicamente perché è egiziano e, anzi, parteggiano per Ultimo per ripicca nazional-nazionalista. Anche questa, beninteso, reazione puramente fanciullesca.

Ma torniamo a noi: Achille Lauro. Rolls Royce
Giornalisti, intellettuali, scrittori, dunque una parte consistente dell'intelighenzia italiana, ha iniziato a fare paragoni tra Achille Lauro, trappisti (non i frati per nostra sfortuna) e sciagure musicali affini con il movimento musicale mondiale a cavallo tra gli anni '60-'70.
Questa somiglianza si sostanzierebbe non tanto nella musica quanto con la volontà di ribellione al costume tradizionale della canzone italiana, semmai ancora ne esistesse una dato che il cantautorato come lo ha conosciuto il Belpaese è scomparso da tempo. 

La realtà è che la cultura capitalistica (o, se volete, il feticismo delle merci) diffusa massmediaticamente, di cui la canzone di Lauro de Marinis ne è stracolma, è un sintomo di quello che è questa fintissima ribellione moderna allo status quo
«Vestito bene Via del Corso […] No non c’è niente da capire/Ferrari bianco si Miami Vice»
passando oltre, ovviamente, al discutibile gusto di un Ferrari bianco.
La moderna "ribellione" si gioca tutta sui tratti propri di un'esclusione aprioristica del soggetto che vorrebbe lo stravolgimento: De Marinis, è vestito bene, in contrasto con il corpo tatuato; canta probabilmente senza sapere quali note stia producendo, eppure è sul palco di Sanremo.
Tutto questo per dire che, spesso, ci si trova di fronte a delle ribellioni ben controllate, che nulla hanno a che vedere con uno stravolgimento dello status quo: quella di Lauro sembra essere inserita in questo solco. Così come tutto il "movimento" della trap in Italia: l'estremizzazione del rap ostentando tutto quello che si fa in chiave criminal friendly.
Una trappola. Bella e buona.
In conclusione: si definisce la trap una «subcultura giovanile» che si «oppone alla tendenza culturale dominante»: una subcultura che, di fatto, ammette quella dominante del capitale e della monetizzazione di qualsiasi tipo di valore, sia esso umano, ambientale, musicale, materiale. E questo vale per ogni altra autodefinita subcultura: i centri sociali, ad esempio, definitisi subcultura, abbiamo visto la fine molto ben integrata al sistema che hanno fatto. Ben lungi dal disordine nel sistema che avrebbero voluto provocare, oggi esponenti di spicco di alcuni centri sociali si ritrovano ben acclimatati nelle direzioni di partiti tutt'altro che di sinistra (rivoluzionari, qualsiasi cosa voglia dire per costoro, manco a parlarne).
La trap sta tutta dentro questa dialettica dei nostri tempi che non distrugge e non trasforma nulla (scusaci Lavoisier) ma che peggiora una tendenza culturale che risente di un clima sociale ben poco edificante, estremizzando concetti e comportamenti che rimangono ben dentro il solco del consumo.

giovedì 21 marzo 2019

L'olocausto della memoria digitale

Marzo 2019, MySpace, antesignano dei social e luogo in cui si condivideva musica, brani originali et similia, perde gran parte del suo patrimonio a causa di una migrazione di server non andata a buon fine
L'unica testata italiana ad occuparsene con un certo taglio, sia essa online o cartacea, è stata 'Il Giornale della Musica': a corredo del pezzo firmato da Jacopo Tomatis campeggia una fotografia di una biblioteca con una didascalia decisamente appropriata «Una biblioteca vuota, o chiusa, rimane sempre una biblioteca. MySpace – semplicemente – non esiste più».
L'autore dell'articolo ha  poi aggiunto, parafrasando McLuhan: 
«La novità della rivoluzione di internet, con cui non abbiamo ancora fatto i conti fino in fondo, è che ora la sparizione del medium è anche la sparizione del contenuto».
MySpace ha perso più di 50 milioni di brani caricati sulla piattaforma prima del 2016, come riporta il 'Guardian': «Myspace, un tempo potente social network, ha perso ogni singolo contenuto caricato sul suo sito prima del 2016, compresi milioni di canzoni, foto e video che non erano stati caricati in nessuna altra piattaforma. […] Sono andati perduti più di 50 milioni di tracce appartenenti a 14 milioni di artisti, tra cui canzoni che hanno portato alla ribalta la cosiddetta "Myspace Generation", come Lily Allen, Arctic Monkeys e Yeasayer. Oltre alla musica, il sito ha anche accidentalmente cancellato foto e video memorizzati sui suoi server». 
Il commento da parte dell'azienda che stava rilanciando la piattaforma, a seguito di anni di crisi, è stato semplicemente: «We apologize for the inconvenience». Ci scusiamo per  l'inconveniente.

Riecheggiano prepotentemente le parole scritte da George Orwell:
Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato
ma, quanto scritto in '1984' non fa riferimento ad un fantomatico passato sovietico, come detto da una tradizione liberale ed antimarxista nel corso degli anni. Quella frase indica quello che sta succedendo adesso, nei nostri giorni, ad Urss crollata e ad umanità soggiogata dal pensiero unico del liberismo. Dove il profitto regna sulla conoscenza, sulle persone e su qualsiasi forma di vita.

TNT - Scambio etico: «Faremo la stessa fine di MySpace»
In un lungo comunicato pubblicato sul sito scambioetico.org Luigi Di Liberto, responsabile di TNT Village, «l'unica piattaforma al mondo di scambio etico ha dichiarato»: «Myspace ha perduto 50 milioni di contenuti per un banale errore tecnico. […] È quello che a breve avverrà a TNT Village che conserva la conoscenza su 150.000 release, ordinate, commentate, curate, da un gruppo di moderni bibliotecari della conoscenza, che a spese proprie e rischiando di persona, mettono a disposizione di tutti la conoscenza su quello che gli italiani vogliono condividere, proprio mentre i bibliotecari pagati con soldi pubblici accettano l'abbraccio (per loro mortale) degli editori. Più di 1.300.000 italiani hanno scelto di iscriversi a TNT Village, sebbene potessero scaricare liberamente senza neppure farlo, e molti ci chiedono quotidianamente di farlo da quando abbiamo chiuso le iscrizioni perché i nostri server non reggono più il carico. Ma se la sorte di TNT Village è segnata non ce ne andremo senza lottare per i diritti dei cittadini alla loro memoria, per il Diritto e per la legge, come stiamo facendo da 14 anni con l'aiuto di tutti quelli che non si sono lasciati intimorire dalle aggressioni legali che abbiamo sopportato. TNT Village non ha perduto fino ad oggi le sue release, ma dopodomani lo farà. Seguendo l'esempio di Wikipedia tedesca (ma Wikipedia Italia che fa? Ancora non si sa!) anche TNT Village chiuderà le sue pagine e oscurerà la release list e il tracker per la manifestazione internazionale per salvare Internet. Anche TNT Village questa primavera vuole salvare Internet». Il riferiferimento è alla campagna #saveyourinternet che in Italia stanno portando avanti i pirati in solitaria. Qui: https://m.tntcity.org/lettera-di-luigi-di-liberto la lettera del responsabile di TNT per chi volesse leggerla integralmente

I casi precedenti: l'Unità (e altri)
Due anni fa l'archivio digitale dell''Unità' veniva definitivamente perso nel mare magnum di flussi di bit di Tiscali, azienda che ospitava tutti i sottodomìni relativi all'archivio de 'l'Unità'. Pietro Spataro, già giornalista della testata, aveva chiesto spiegazioni al direttore Sergio Staino con una lettera, pubblicata successivamente sul suo blog, ma secondo il celebre vignettista si stava trattando di uno "spegnimento controllato" perché le «macchine che ospitano i server» sarebbero state «obsolete».
La nuova proprietà (Piesse, guidata da Massimo Pessina della Pessina Costruzioni) non ha mai chiarito quando e come avrebbe rimesso online l'archivio digitale e cosa ne avrebbe fatto di quello cartaceo. A parte voci di cessione del pacchetto del quotidiano a Lele Mora, pista poi rivelatasi non fondata. Nel lavoro di tesi che ho svolto a cavallo tra il 2017 e il 2018, dato che mi sono occupato della memoria digitale "smarrita" dei quotidiani nazionali e non, mi è stato detto che, in realtà, l'archivio digitale non è possibile recuperarlo. E, forse, non ce n'è neanche l'intenzione. Quello cartaceo, invece, sarà sottoposto ad un lavoro di valorizzazione.
Fortunatamente un gruppo di hacker ha salvato gran parte del patrimonio dal 1946 al 2014 ma perdendo gli anni precedenti al 1946, qui spiegano come hanno fatto e qui c'è il link per andare a visitare, consultare, studiare le annate de 'l'Unità', visibile solo tramite TorBrowser.

Ci sono stati altri casi di quotidiani colpiti da questo particolare alzheimer: Cronache del Garantista, Liberazione, parzialmente il Manifesto, La voce Repubblicana, Rinascita, Cronache di Liberal, Terra - quotidiano ecologista, etc.
A breve dovrebbe uscire una [mia] pubblicazione sulla rivista accademica Culture del testo e del documento riguardo questa faccenda, dunque terrò aggiornato chi vorrà sulla materia, così potrà leggere da sé senza aprioristiche rivelazioni di nessun tipo di quanto ho scritto.

mercoledì 20 marzo 2019

Ciao Tina Costa, ragazzina di 95 anni

Tina Costa è venuta a mancare oggi.
Personalmente ho un ricordo molto tenero di Tina. Quando insieme a Gianmarco abbiamo deciso di fondare la sezione Anpi in VI Municipio, ricordo che Tina mi telefonò, gli aveva dato il numero Gianni, uno dei compagni più attivi della sezione.
Mi aveva detto che era «Tina Costa, la Vice Presidente Vicaria dell'Anpi» e che «era enormemente felice che ci fosse l'Anpi nell'ottava circoscrizione» e che fosse animata da giovani.
Abbiamo trascorso buona parte della mattinata a parlare dell'amministrazione Petroselli, del suo incarico alla Usl, «na volta se chiamava così». Poi ci siamo salutati e mi ha detto di organizzare qualcosa, magari con le scuole, a lei avrebbe fatto molto piacere. E così abbiamo iniziato ad organizzare incontri con gli studenti delle scuole medie di Borghesiana e Finocchio, insieme alla Biblioteca Collina della Pace. Con la Direttrice, Paola Tinchitella, in una prima occasione in cui è stata invitata, le abbiamo regalato dei fiori. Era molto contenta, ci siamo anche fatti una foto.
Poi, l'ho riaccompagnata a casa, sulla Laurentina. Avevo ancora la macchina vecchia, la Y, tre porte e non proprio comoda per una persona in là con gli anni. Ma lei, come se niente fosse, scende agilmente dalla macchina, prende la via di casa e inizia a salire una rampa molto ripida, di quelle da "box condominiali". Abbasso il finestrino: «Tina, ma non era meglio che t'accompagnavo un po' più vicino a casa?». E lei, per tutta risposta, mi disse: «Ao, ma mica c'ho bisogno della sedia a rotelle, io, eh! Quando ce n'avrò bisogno, allora me ce porterete!».
Ecco. Tina Costa, a 93 anni suonati, pochi mesi fa non ha voluto rinunciare ad esserci, come ha sempre fatto quando l'Anpi del VI Municipio "chiamava", per la manifestazione che abbiamo organizzato a Torre Angela.
Tempra d'acciaio.
Grazie, per tutto.

mercoledì 13 marzo 2019

Vota [sempre] Garibaldi

Vota Garibaldi, Lista n.1. Si trattava del Fronte democratico popolare, dell'unione fra Psi e Pci alle elezioni del 1948, le prime libere dopo il fascismo e la guerra. Scritta rossa sul muro. Se fossimo stati in un film della serie Don Camillo, Gino Cervi (alias Peppone) avrebbe sentenziato che quella scritta era frutto di un paio di passate di minio. Qualcuno, dalle parti dell'amministrazione, deve aver pensato che quella scritta in Via Brollo, alla Garbatella, fosse uno smacco al decoro e fosse degradante per la città.
La rimozione della memoria storica passa anche da questo, nonostante sia un atto ben più grave perché fatto con inconsapevolezza pura: da bravi neoburocrati, i 5Stelle hanno agìto senza conoscere, mentre chi da anni si sta battendo per equiparare nazismo, fascismo e comunismo si sta sfregando le mani. 
È oltremodo discutibile che tale provvedimento si sia adottato per quel riguarda una scritta del 1948 e non per le migliaia di scritte fasciste sparse in tutto l'immenso territorio capitolino, da Primavalle a Corcolle.
A quanto pare in una città che trabocca di problemi enormi per quel che riguarda l'ordine pubblico, i trasporti, il lavoro, il degrado (quello vero), bastava togliere una scritta del '48 della Lista Fronte democratico popolare e ripittare tutto perché la gente potesse dire di abitare un quartiere più decoroso. 
Ma nel frattempo che ci si affanna urlando al degrado per scritte e manifesti fuori posto, il palazzo di Casapound è ancora occupato. Così, per dire.
E ha ragione Lorenzo Lang: quella scritta andrà rifatta. In quello stesso punto.

martedì 5 marzo 2019

Male minore contro male peggiore: ricetta sempreverde per annullare politica, dibattito, contenuti

Il 25 febbraio 2019 il quotidiano «La Repubblica» riporta un articolo di Giovanna Vitale in cui la giornalista analizza e riporta le voci del dibattito interno del Partito Democratico, il giorno successivo dell'iniziativa di uno dei candidati alla segreteria. Si tratta dell'iniziativa messa in atto da Nicola Zingaretti per mezzo del contenitore creato ad hoc per la campagna: Piazza Grande. 
I sostenitori del 'modello Zingaretti', per quel che riguarda la gestione di un'istituzione politica regionale, sono tutti riuniti e coordinati dal Vice Presidente della Regione Lazio, ora anche coordinatore di "Piazza Grande". Lo stesso che auspica una candidatura di Nicola Pisapia in Circoscrizione nord-ovest nelle liste del Pd e che ha rivolto un appello, probabilmente a margine del suo intervento una volta intervistato dalla giornalista, alla 'sinistra del Pd'. «C'è bisogno di allargare e rinnovare la sinistra - riporta l'articolo, citando il Vice Presidente della Regione Lazio - altrimenti accettiamo la deriva salviniana. Faccio una proposta a chi è a sinistra del Pd: state dentro. Come fanno Sanders e Ocasio-Cortez nei democratici americani […]. Vorrei gente come Ilaria Cucchi, Massimo Cacciari e Mimmo Lucano»

La formula si reitera anno dopo anno, stagione dopo stagione, elezione dopo elezione, vittoria alle primarie dopo vittoria alle primarie: il paragone con i Democratici americani regge fintanto che la platea plaude alle parole del coordinatore di Piazza Grande, ammaliata dalla redenzione di un componente di quella cosiddetta 'sinistra radicale' additata dalle formazioni di centrosinistra - nel corso degli anni - come grimaldello di Berlusconi per far vincere Forza Italia, disperdere i voti e indebolire il centrosinistra. Il germe del berlusconismo è tutt'altro che proveniente da 'Silvio': si era già ben acclimatato tra gli scranni parlamentari del Pds/Ds/Margherita/Ulivo. Pretestuosità al potere, arrivata all'apice del tutti dentro per poter contrastare Matteo Salvini, il male più grande, disceso da quello precedente (Silvio Berlusconi). 

Perché per battere un male più grande c'è sempre necessità di mandare giù l'amaro calice di un qualcosa che evidentemente non berremmo neanche sotto tortura. Lo scriveva già Torquato Tasso nella 'Gerusalemme Liberata': per far bere una medicina, ovviamente amara, ad un bambino l'orlo del bicchiere viene zuccherato per far sì che possa comunque mandar giù («Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi/di soavi licor gli orli del vaso:/succhi amari ingannato intanto ei beve,/e da l'inganno suo vita riceve»). Per destrutturare la questione basterebbe, tuttavia, citare Antonio Gramsci: «[…] Il concetto di «male minore» o di «meno peggio» è uno dei più relativi. 
Un male è sempre minore di un altro susseguente possibile maggiore. 
Ogni male diventa minore in confronto di un altro che si prospetta maggiore e così all’infinito. 

La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente efficiente guida lo svolgimento, mentre le forze antagonistiche (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo (ciò che avrebbe ben altro significato, per l’effetto psicologico condensato, e potrebbe far nascere una forza concorrente attiva a quella che passivamente si adatta alla «fatalità», o rafforzarla se già esiste). Poiché è giusto il principio metodico che i paesi più avanzati (nel movimento progressivo o regressivo) sono l’immagine anticipata degli altri paesi dove lo stesso svolgimento è agli inizi, la comparazione è corretta in questo campo, per ciò che può servire (servirà però sempre dal punto di vista educativo)». Di mero citazionismo non si vive e le questioni, specie se si tratta del pensiero di Antonio Gramsci, andrebbero studiate a fondo, più che prese e citate a sproposito. Quest'ultimo diventato uno sport nazionale per giustificare posizioni sbagliate nell'agone politico. Il gioco del 'meno peggio' è stato avallato dalle formazioni in precedenza alleate col centro sinistra (Prc/Pdci, Sel e via dicendo) ma quel che si stava ingoiando non era la medicina di cui parlava il Tasso ma il veleno che ha reso impotenti e inconsistenti le organizzazioni in cui, un tempo, abbiamo militato e in cui abbiamo sperato. 
Quest'agire politico ha portato tutt'altro che radicamento territoriale o rafforzamento dei partiti prima citati: il processo è stato del tutto inverso. L'indebolimento e la sparizione di queste organizzazioni, la cui quasi totalità di rappresentanti istituzionali o dirigenti ha finito per entrare nel Pd (citofonare Gennaro Migliore), s'è dimostrata applicazione manualistica del principio gramsciano del male minore o del meno peggio.