mercoledì 10 dicembre 2014

Sciopero Cgil 'a babbu mortu', parla Nando Clemenzi, segretario dello Snap (Sindacato Nazionale Autonomo Produzione Tv)


Lo Snap è un sindacato ‘tornato a vivere’ da, relativamente, poco tempo, perché si è sentita l'esigenza della ri-creazione dell’organizzazione sindacale?Il nostro sindacato nasce alla fine del 1995 quando le diverse associazioni professionali presenti nei settori tv delle riprese interne ed esterne , proliferate in quegli anni per sopperire alle carenze del sindacato, si unirono per dar vita ad un nuovo soggetto sindacale denominato appunto SNAP (Sindacato Nazionale Autonomo della Produzione). Già allora il sindacato "ufficiale" era in piena crisi , incapace di rappresentare e difendere gli interessi dei lavoratori ( in quel periodo la stessa Cgil in Rai era commissariata). Oggi la situazione sindacale in Rai si è ulteriormente degradata e come nelle altre aziende la maggior parte delle OO. SS. tradiscono il loro compito storico, la loro vera natura e spesso sono il padrone in seconda. Gli inciuci e le spartizioni di categorie posti e favori sono la loro occupazione principale e hanno perso completamente la fiducia dei lavoratori. Lo SNAP ha fatto parte negli ultimi due anni di una confederazione autonoma che credevamo affine alle nostre idee forza, ma ciò si è rilevato un progetto deludente: ne siamo usciti e da pochi mesi siamo tornati indipendenti in linea con le nostre origini e le nostre radici.

Una delle lotte dello Snap è stata la recente denuncia della messa in onda di Ballarò di un mese fa, in buona sostanza. C'è stata, poi, risposta dal Direttore Generale, come chiedevate?Lo SNAP ha aderito allo sciopero degli Operatori di Ripresa del Centro di Produzione di Roma perché ne condivide pienamente le motivazioni. Abbiamo denunciato la sostituzione dei colleghi in sciopero nella trasmissione "Ballarò" con funzionari del settore e, addirittura, con un dirigente vice direttore di Rai2. Un fatto gravissimo rispetto al quale il Direttore Generale tace e quindi acconsente. In verità anche il comportamento dell'O. S. che ha proclamato lo sciopero ha un comportamento ambiguo tanto che ancora oggi non sappiamo se procederà con l'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori per condotta antisindacale nei confronti dell'azienda.

Il 12 dicembre si svolgerà il secondo sciopero generale della Cgil, lo Snap aderirà?  Lo sciopero del 12 dicembre in Rai è la complessa risultante di incapacità ,defezioni e confusione dei diversi sindacati. Un pasticcio che resta difficile comprendere anche a chi segue con attenzione le varie dinamiche sindacali. Dopo lo sciopero dell'11 giugno 2014 (contro il prelievo governativo dei 150 milioni di euro, la quotazione in borsa di Rai Way e una sua parziale vendita) molto partecipato anche senza il contributo della Cisl e del sindacato dei giornalisti (Usigrai) anziché continuare la lotta si è perso del tempo prezioso e ci sono state fratture nel fronte sindacale che ha disorientato e demotivato i colleghi. Si è arrivati alla quotazione e vendita parziale di Rai Way con una procedura di raffreddamento ancora aperta da Slc-Cgil Snater e Libersind che ovviamente si è conclusa negativamente. A questo punto era inevitabile la proclamazione di uno sciopero Rai e considerata la probabile scarsa partecipazione dei dipendenti Rai queste sigle sindacali hanno aderito allo sciopero generale proclamato dalla CGIL contro le politiche governative per il 5 dicembre. Successivamente anche la UIL ha deciso di scioperare e si è posticipato la data al 12 dicembre. Formalmente in Rai solo lo Snater ha proclamato lo sciopero generale il 12 dicembre contro la rapina dei 150 milioni di quest'anno degli 85 milioni del prossimo anno e contro la privatizzazione di Rai Way. Come sindacato autonomo abbiamo aderito allo sciopero del sindacato di base del 24 ottobre contro le politiche del governo di centro-sinistra--destra di Renzi. Per quanto riguarda le istanze in Rai restano le diversità di fondo e il mancato coinvolgimento della nostra sigla, quindi ci siamo dissociati da tempo da questa farsa che non porterà nessun risultato degno di nota.

Per quale motivo non aderirete? La politica, o comunque, l'area politica di riferimento, su questo, si spacca: la 'lista Tsipras' - L'Altra Europa - scenderà in piazza assieme ai suoi soggetti fondatori/costiuenti (Rifondazione/Sel/movimenti) mentre secondo altre organizzazioni (il Partito Comunista, Usb e il sindacalismo di base diffuso) quello del 12 è ritenuto uno sciopero "a babbu mortu”..
Il nostro sindacato non ha ovviamente connotazioni politiche, tuttavia sarebbe un errore non analizzare con attenzione il comportamento dei partiti e il loro schieramento. L'opposizione politica sostanzialmente ricalca il posizionamento sindacale o viceversa e per storia e prassi ci sentiamo in sintonia con chi agisce e si organizza per fronteggiare l'attacco ai diritti , alle condizioni di lavoro e allo stato sociale. Quando tutto ciò è definito non ci arrendiamo e opponiamo la resistenza possibile ma ovviamente preferiremmo di gran lunga giocare un ruolo nella fase pre-decisionale e non in quella consolidata appunto del "babbu mortu".

Per chiudere, un argomento di cui poco si è parlato sui media tutti, se non con qualche trafiletto sui maggiori quotidiani: Raiway. Cosa comporta, per i lavoratori tutti, il «via libera del cda di viale Mazzini alla vendita di una quota di minoranza»?Il grande limite della vicenda Rai Way è non essere riusciti a "esportare" nel tessuto sociale, all'esterno dell'azienda, la valenza di questa operazione. Del resto la Rai stessa, e con essa i suoi dipendenti, sono visti in maniera poco edificante dai cittadini. Questo luogo comune alimentato da soggetti e fatti vergognosi non fa giustizia di cosa è e di cosa rappresenta davvero la nostra azienda. Già in passato, con la Rai di Zaccaria si tentò di privatizzare Rai Way verso la fine del 2001 (49% alla Crown Castle per un controvalore di oltre 400 milioni di euro), fu il ministro delle Comunicazioni Gasparri che si oppose a questa cessione. Rai Way trasmette e irradia il nostro segnale in maniera capillare in tutto il territorio nazionale quindi è strategica. E' stata potenziata con il denaro dei contribuenti, è sana e produce utili. Risulta altamente appetibile per gli interessi del comparto delle comunicazioni per gli ovvi sviluppi. L'ingresso del privato è una seria minaccia all'intero gruppo Rai e può avere a breve termine ripercussioni sull'integrità dell'impresa e dei livelli occupazionali. La decisione governativa di metterla sul mercato azionario avallata dal management aziendale è un vero e proprio attentato ad uno dei diritti universali quale è quello all'informazione libera e indipendente. 
La Rai non necessita di queste scelte che la ridimensionano pesantemente ma di una vera riforma che la liberi definitivamente dal giogo della politica e dei faccendieri.

lunedì 27 ottobre 2014

Sardegna, la mobilitazione continua: mercoledì a Lanusei



L'iniziativa indipendentista non si arresta e, seppure dopo alcune contraddizioni sul dopo Capo Frasca, le date certe sono ormai due: mercoledì 29 ottobre e martedì 13 dicembre. 
La prima riguarda la mobilitazione della rete ‘Pesa Sardigna’ riguardo l’affaire Pisq (Poligono interforze Salto di Quirra) il cui processo si celebrerà il 29 a Lanusei; la seconda data è la seconda manifestazione del post-Capo Frasca, la cosiddetta ‘Cramada’ (chiamata) convocata dagli organizzatori che il 2 agosto avevano indetto l’ormai famosa ‘Manifestada Nazionale contra a s’ocupatzione militare’ e cioè Sardigna Natzione, a Manca pro s’Indipendentzia e i comitati Su Giassu, Su Sentidu e Gettiamo le basi.

La mobilitazione di mercoledì 29 vede coinvolte maggiormente le organizzazioni politiche, all'interno della rete 'Pesa Sardigna': il Fronte indipendentista unidu (Fiu), Progres - Progetu Republica e Scida - Giovinus indipendentisas, quest'ultima non facente parte della Rete ma aderisce e partecipa al sit-in organizzato per mercoledì 29 a Lanusei.

Proprio riguardo la lotta contro le basi militari, quest’ultima organizzazione studentesca è stata protagonista di una dimostrazione a Cagliari conclusasi con l’occupazione della facoltà di Lettere dell’Università del capoluogo.

Il corteo degli studenti contro le basi militari, in previsione della mobilitazione davanti al tribunale di Lanusei è stata molto partecipata e si potrebbe ben considerare prodromica del sit-in di mercoledì.

A tal riguardo il Fronte indipendentista unidu, in una nota, ha specificato che: «Non c’è lotta contro l’occupazione militare senza lotta per l’indipendenza. La grande manifestazione di Capo Frasca ha dimostrato il carattere indipendentista della mobilitazione, almeno nella sua direzione. […]. La mobilitazione contro l’occupazione militare deve ovviamente restare aperta a tutte le istanze pacifiste, democratiche e di base anche se non esplicitamente indipendentiste ma è necessario fare chiarezza su un punto fondamentale. Senza una chiara direzione indipendentista non è pensabile ottenere lo smantellamento dell’occupazione militare».

Sulla stessa linea Gianluca Collu, segretario di Progres - Progetu Republica che, raggiunto da Controlacrisi ha dichiarato: «L'udienza di Lanusei è importante perché per la prima volta vengono citati a giudizio degli alti generali delle forze armate italiane per i gravi fatti che sono avvenuti all'interno del poligono del Salto di Quirra (il Pisq). Per noi questa mobilitazione importante perché si sta parlando di poligoni militari e la nostra visione è quella di dismettere completamente tutti i poligoni: bonificare e riconvertire quelle aree interessate. Per cui quella data di mercoledì è importante» ancor più per i tre punti ribaditi in più occasioni da Collu, Piga e Zancudi (Progres e Fiu).

Nella nota del Fronte si legge, ancora, che «abbiamo molto chiaro il fatto che per l’Esercito italiano il poligono di Quirra sia irrinunciabile e che costituisca il vero interesse strategico su cui puntano l’Esercito, le multinazionali delle armi, lo Stato italiano e la stessa giunta Pigliaru. Per questo motivo rilanciamo con forza l’appuntamento, promosso dalla Rete Pesa Sardigna, per il 29 ottobre davanti al tribunale di Lanusei in occasione della prima udienza del processo Quirra».

«Ben venga l’udienza di Lanusei perché avvalora le ragioni di un popolo e di una nazione. Quella sarda, chiaramente», continua il segretario di Progres, Collu che prosegue sulla stessa linea del Fronte riguardo i partiti sovranisti in Regione: «tra i partiti sovranisti e autonomisti buona parte sono in maggioranza in Regione per cui hanno una responsabilità nel governare la Sardegna, per cui ci sono delle prospettive diverse che sono emerse già dalle scorse elezioni sarde».

venerdì 26 settembre 2014

Indipendentismo sardo, questo sconosciuto [Contrappunti - 2014]

Gli ultimi mesi hanno decretato l’affermazione e la crescita del movimento indipendentista sardo. Lo hanno dimostrato le elezioni regionali del febbraio 2014, ma anche la maggior attenzione allo specifico dibattito e le manifestazioni sul territorio. L’ultima e la più imponente si è tenuta il 13 settembre a Capo Frasca, nei pressi di un gigantesco poligono che segna il confine tra la provincia di Oristano e Cagliari. Dodicimila persone per chiedere “dismissione, bonifiche, riconversione” e, ovviamente, indipendenza. Per comprendere meglio le rivendicazioni sarde e gli avvenimenti di Capo Frasca, abbiamo voluto intervistare Marco Piccinelli, cronista romano di Controlacrisi.org che da tempo si occupa della questione isolana.

 

  • Si parla poco della questione. La politica e il giornalismo italiani quanto sono distanti dalla causa sarda?

La questione, se ci si dovesse fermare a guardare la stampa nazionale, sarebbe praticamente inesistente (gli indipendentisti direbbero ‘la stampa italiana’): si pensa alla questione dell’autodeterminazione come a qualcosa di marginale, quasi folcloristico o molto settario. Ma queste due cose, purtroppo o per fortuna, non lo sono più, almeno riferite all’indipendentismo della Sardegna o Sudtirolese. La questione non è più folcloristica perché ha avuto una spinta molto forte, e decisamente innovativa, col nuovo millennio: le organizzazioni storiche, come il Partito Sardo d’Azione (Psd’az), Sardigna Natzione – Indipendentzia (SNI), agli inizi del 2000 hanno assistito ad un vero e proprio terremoto quando s’è venuta a creare (da una costola di SNI) una nuova organizzazione, cioè iRS – indipendèntzia Repubrica de Sardigna. Il merito che ha avuto iRS – tralasciando le sue vicende che l’hanno portata ad essere, oggi, all’interno del consiglio regionale ma depotenziata praticamente del tutto, – è stato quello di aver sdoganato il tema dell’indipendenza. Non è più un tabù, nell’isola: la questione indipendentista è davvero ‘sulla bocca di tutti’. Anche Mauro Pili, ex presidente della Regione Sardegna di Forza Italia, ha abbracciato una lotta fortemente identitaria ponendosi alla testa del movimento ‘Unidos’, da lui creato. Ecco, i giornali (e la politica) – per come la vedo io – rimangono distanti dalla tematica indipendentista perché ritengono la questione ancora fortemente etno-folcloristica. All’indomani delle elezioni regionali del febbraio 2014 abbiamo notato un cambiamento: a causa di una legge elettorale fortemente bipolarista, con una soglia di sbarramento e un premio di maggioranza assurdi, gli indipendentisti di ProgReS hanno visto il numero ‘0’ a fianco alla parola ‘seggi’ dopo che la loro candidata presidente, Michela Murgia, aveva sfiorato l’11% dei voti. Questo stesso meccanismo è applicabile anche per iRS che ha raccolto lo 0,82% dei voti, entrando in Consiglio Regionale per effetto del premio di maggioranza sancito dalla legge elettorale, mentre il Fronte Indipendentista Unidu, col suo 1%, è rimasto fuori dai giochi. Ecco perché l’indipendenza non è più un tema legato ad una settorialità o ad una marginalità tutta isolana: se non ci fosse stata la legge elettorale in questione – che il blogger Emanuele Rigitano ha ben definito ‘Sardum’ richiamando l’Italicum – il consiglio regionale, e la Sardegna tutta, sarebbero stati attraversati da un vento indipendentista molto consistente. Il fatto che la politica italiana non prenda in considerazione le istanze dell’isola, o che continui a procrastinare i suoi doveri nei confronti della Sardegna non fa altro che acutizzare le spinte indipendentiste.

 

  • Cosa significa indipendentismo sardo per chi, non essendo del luogo, riesce a guardare la situazione con occhio critico?

La questione indipendentista della Sardegna, perlomeno per me che sono ‘del continente’, è sintetizzabile nell’espressione: ‘riaffermazione della propria sovranità’. Ma ‘sovranità’ non è il fine ultimo della questione indipendentista. Come ha notato Carlo Pala, politologo dell’Università di Sassari, il termine ‘sovranismo’ non esiste: «quel termine indica, semplicemente, una tappa della tappa. Se mi definisco sovranista potrei confondermi con il mare magnum di persone, che sono affezionate alla propria identità, ma che non hanno unidea e una caratterizzazione politica chiara. Ecco perché quel termine è da rifuggire, almeno in un dialogo scientifico, ma anche in un dialogo più colloquiale. Anche perché gli stessi indipendentisti tengono da parte quel termine, almeno in Sardegna: lo vedono come una stratagemma affinché le coalizioni più grandi, che vanno formandosi per le regionali, possano vivere anche loro di essere sovranisti. Fino a poco tempo fa era impossibile che dei partiti italiani i spostassero verso tematiche che sono fortemente identitarie». Ecco perché la ‘sovranità’ è un qualcosa che gli indipendentisti sardi sono determinati a raggiungere, ma non come fine ultimo culturale e politico della loro attività.

 

  • I sardi chiedono “dismissione, bonifiche, riconversione”. Spiegaci di cosa si tratta.

I sardi chiedono, per riprendere le rivendicazioni della manifestazione del 13 settembre a Capo Frasca, il «blocco immediato di tutte le esercitazioni militari e la chiusura di tutte le servitù, basi e poligoni militari con la bonifica e la riconversione delle aree interessate».
Si possono ritenere giustissime o assolutamente non valide le spinte sarde verso l’indipendenza ma, secondo me, è impossibile non essere solidali con le rivendicazioni del popolo sardo riguardo la chiusura dei poligoni e delle basi militari nell’isola. Lo Stato italiano, essendo parte della Nato, possiede nell’isola una serie di basi e di poligoni militari destinati a vari eserciti. La questione è sorta nel 1965 quando la Nato ha impiantato a Quirra la sua piattaforma di addestramento, il PISQ: poligono sperimentale interforze. Successivamente si sono aggiunte le basi di  Capo Teulada, Capo Frasca, la base di Decimomannu e via dicendo. Il poligono del Salto di Quirra, analizzando i dati della Regione Sardegna, occupa 12.700 ettari di territorio, quello di Teulada 7.200 (per estensione, sono i primi due nella classifica italiana), mentre la base di Capo Frasca occupa oltre 1.400 ettari. Poi ci sono ulteriori basi, tra cui quella degli Stati Uniti a Santo Stefano. A Quirra, ad esempio, c’è una straordinaria incidenza di patologie e forme tumorali tra la popolazione. Falco Accame, ex generale e presidente dell’associazione vittime dei militari, aveva dichiarato a L’Espresso fatti molto pesanti. Per la procura di Lanusei, che sta indagando sul caso, per Quirra si parla di «torio disperso nell’ambiente e sul terreno dal 1986 al 2000, nei 1187 missili lanciati». Torio presente, in particolare, in un missile che veniva usato in quel territorio ma che è stato ritirato per iniziativa del Ministro della Difesa Francese, dopo averne segnalato la tossicità.

 

  • Che aria si respira in Sardegna dopo la manifestazione di Capo Frasca? Sono previste nuove mobilitazioni?

Dopo la presenza di dodicimila persone a Capo Frasca, il dibattito nell’area indipendentista è più che mai fervido e consapevole. Quello che mi ha fatto riflettere, specialmente quando ero presente sul posto, è stata la capacità di aggregazione che ha avuto il movimento indipendentista tacciato di settarismo e minoritarismo durante la campagna elettorale. Le organizzazioni che avevano imbastito, inizialmente, l’iniziativa erano state: a Manca pro s’Indipendentzia, Sinistra Natzione – Indipendentzia e tre comitati (Su Giassu, Su Sentidu, Gettiamo le basi). Così come riportato dal comunicato stampa da essi diramato il 2 agosto. Nessuno di questi organizzatori, secondo me, avrebbe mai calcolato il fatto che di lì a un mese si sarebbero intercorsi fattori che avrebbero portato  migliaia di sardi a Capo Frasca. Parliamo del boom mediatico verificatosi qualche settimana prima della manifestazione, ma anche dell’ingente campagna contro le servitù militari nell’isola condotta L’Unione Sarda. Dopo la manifestazione di Capo Frasca, gli indipendentisti hanno deciso di non abbandonare quel terreno di lotta che li ha resi per la prima volta coesi. Proprio oggi, 26 settembre, il Fronte indipendentista Unidu, ProgReS, a Manca pro s’Indipendentzia, Scida, Sardigna Natzione, i comitati Su Giassu, su Sentidu e Gettiamo Le Basi stanno tenendo una conferenza stampa per fare in modo che il lavoro messosi in moto non vada disperso. Subito dopo le elezioni regionali, avevo scritto due cose: la prima è che il voto indipendentista rappresentava un fiume carsico che, a causa del fattore ‘legge elettorale’, stentava a venire a galla nonostante gli ottimi risultati di cui parlavo prima; la seconda era che l’indipendentismo (o le sue sghembe traduzioni ‘sovraniste’) rappresentava un non-luogo di rappresentanza politica (in Regione gli indipendentisti sono presenti, ci sono anche sovranisti e sardisti del Psd’Az, ma sono dispersi tra le due coalizioni). A partire da Capo Frasca, dunque, dalla conferenza stampa di oggi, secondo me, potranno aprirsi nuovi scenari. Magari il movimento indipendentista non maturo ‘al 100%’, ma è comunque in grado di dare uno slancio alla propria azione politica, lasciandosi finalmente alle spalle le derive folcloristiche.

 

Quest'intervista è una delle poche che mi siano state fatte. La prima in assoluto, con certezza: realizzata da Adalgisa Marrocco, amica ora all'Huffington Post da più di un lustro, è stata pubblicata all'indomani della 'manifestada' di Capo Frasca il 26 settembre 2014. 

Dopo la manifestazione di Capo Frasca, le rivendicazioni per l’indipendenza sarda assumono inaudito rilievo. Un’intervista a Marco Piccinelli, cronista che da tempo si occupa della questione isolana

https://www.contrappunti.info/novita/indipendentismo-sardo-questo-sconosciuto/

venerdì 19 settembre 2014

Sa terra sarda a su populu sardu

Articolo pubblicato su Lindro.it


Sassari – Durante la nostra permanenza nell’Isola, nei pochi giorni che precedevano la manifestazione del 13 settembre scorso contro i poligoni militari in Sardegna, siamo stati ospiti di Cristiano, un professore di storia e filosofia che abita poco fuori Sassari, in una striscia di campagna che divide idealmente il capoluogo di Provincia con il Comune di Sennori.
Il giorno prima della ‘manifestada natzionale’ di Capo Frasca, Cristiano ci aveva portato alla presentazione del libro ‘Cella n.21‘ di Bainzu Piliu presso l’aula magna dell’Università di Sassari. Incuriositi, ovviamente, ci siamo andati di buon grado.
Il dibattito che s’era acceso non era di livello basso ed era estremamente interessante stare a sentire quello che dicevano i convenuti riguardo Bainzuanche dopo ch’egli aveva preso la parola.
Non conoscevamo nulla di Piliu, se non qualcosa legato al carcere che aveva dovuto subire assieme ad un personaggio che, ora, è a dir poco folkloristico: Doddore Meloni.
Bainzu, dunque, ha partecipato alla manifestazione a Capo Frasca e, non casualmente, era sul nostro stesso pullman che da Sassari scendeva giù fino alla piccola frazione di Sant’Antonio di Santadi del comune di Arbus.
Questa che segue, dunque, è la conversazione, con Bainzu Piliu sulla via del ritorno dopo la ‘manifestada natzionale contra a s’ocupatzione militare’.
In passato hai fondato il Fruntene pro s’indhipendhentzia de sa Sardinya uscendo dal Psd’Az. Per la prima volta, da un po’ di tempo questa parte, il movimento indipendentista sardo, pur nelle sue frammentazioni e nel suo particolarismo, è riuscito ad imporre un tema collettivamente all’interno del quadro politico dell’Isola. È riuscito, quindi, ad imporlo e a portarlo fino alla fine decretando una sua consistenza fattiva: coloro i quali dicono che esso sia minoritario, ha sonoramente impattato contro i 12mila partecipanti alla manifestazione di Capo Frasca. Che idea ti sei fatto dopo anni che non partecipavi?
E’ positivo, è una cosa buona. È un passo ulteriore verso la presa di coscienza del popolo sardo. È un passo in avanti.
Volendo si può andare oltre, dunque..
No, non ‘si può’: si deve andare oltre.
Ed è possibile già da oggi ‘andare oltre’?
Il processo, per come la vedo io, è in atto da molto tempo. La gente, come puoi essere tu, come possono essere gli osservatori, vedono soltanto i gradini raggiunti ma non il percorso intermedio. Esso non lo possono vedere perché la sensibilizzazione avviene in modo tale che non tutto può essere percepito. Quindi voi vedete il risultato è un certo momento storico e, magari, fra dieci anni, fra un mese, potreste avere la sorpresa di vedere qualcosa che oggi non riuscite a prevedere. Non lo sa dire con precisione nessuno, in questo momento. Ma queste sono le sorprese che fa la storia.
Dopo tanti anni torni ad una manifestazione, precisamente ad una contro i poligoni militari, in che stato di salute sono i movimenti indipendentisti della Sardegna?
Mi sembra che si stia irrobustendo. Non è certo in buona salute, ma sta migliorando.
Cambiando un attimo argomento, durante la presentazione del tuo libro ‘Cella n.21’ nell’aula magna dell’Università di Sassari hai detto una cosa precisa riguardo la non violenza…
Io ieri ho ripetuto quello che avevo detto al Presidente della Corte durante il processo di primo grado. Al Presidente della Corte ho detto: “sono una persona pacifica ma se qualcuno mi dà lo schiaffo lo restituisco, se qualcuno mi spara, sparo”. Io  ho detto queste parole.
Anche a questo proposito sei stato di una chiarezza estrema e hai detto in tre parole quello che, magari in altri contesti, si sarebbe detto con ampie perifrasi…
Questo nasce dalla mia personalità, dalla mia autoeducazione. Quando è possibile a me piace parlare chiaro e non sempre è possibile farlo perché bisogna riflettere sugli effetti che hanno le parole. Non tutti sono pronti a recepire certe parole certi concetti, per cui bisogna fare attenzione. Però, in quel caso lì, ho sempre voluto che risultasse chiaro che io sono una persona pacifica ma non sono una persona disposta a porgere l’altra guancia, mai. Questo doveva risultare chiaro, nonostante io sia perfettamente consapevole della mia debolezza: io non ho uomini, non ho soldi. Nulla. Soltanto me stesso. Siccome mi voglio rispettare, il fatto di reagire agli attacchi – nei limiti del possibile – è un modo per rispettarmi. Così come credo di non risultare in vendita, allo stesso modo.  
Sia oggi sia ieri (13 e 12 settembre nda) hai detto “inizieranno a blandirvi e comprarvi”, quando il movimento indipendentista sardo sarà talmente influente da non poter più essere ignorato dall’Italia. A quel punto, però, hai aggiunto, “lì comincerà il nostro compito”, giusto?
Il compito nostro, per la verità, inizia già prima che ci blandiscano. Dopo non sappiamo cosa succede, perché prima che si arrivi a tagli le forze politiche italiane faranno il possibile per snervare il movimento. Faranno il possibile per criminalizzarlo, per intimidirlo. Faranno di tutto affinché un processo come questo abbia un blocco. Le cose ancora più serie avverranno quando si dovessero accorgere che una parte robusta del movimento non si piega e non riusciranno a piegarla. Allora, la faccenda diventerà molto più difficile. Questo perché è chiaro che, come in tutto il mondo, non c’è omogeneità e non ci sarà mai, all’interno del movimento: ci sarà una parte più combattiva, una parte più intelligente, politicamente parlando, ci saranno delle differenziazioni. Lo Stato italiano è molto più potente di quello che siamo noi. Esso ha a disposizione uomini intelligenti, mezzi finanziari, mezzi tecnici, ha tanti mezzi che noi non abbiamo. Che cosa può influire su questo discorso? Possono influire delle difficoltà interne allo Stato, che mettano in difficoltà i Governi nella loro azione nei nostri confronti. Possono influire situazioni di politica internazionale, può farlo l’animus pugnandi dei sardi, tanti elementi che non sono valutabili oggi. Oggi noi vediamo, malamente, quello che avviene in superficie ma noi non sappiamo cosa c’è oltre di essa, forse qualcuno di noi, che ha fatto dei sondaggi più approfonditi, o ha un acume maggiore, avrà visto qualcosa ma la maggior parte non ha visto nulla, ha visto qualche cosetta di quello che appare dai giornali, qualche manifestazione. Lo stesso appare anche per i servizi segreti italiani, che stanno cercando di capire: è il loro compito, come è quello nostro di non farglielo capire.
Durante la presentazione del tuo libro, nel corso di un intervento, ho sentito che chi aveva preso la parola si stava scusando con te per dei fatti accaduti molti anni fa e citava un episodio nel quale, in particolar modo, parlando in sardo, dicevi come la lingua italiana poteva essere insegnata – al massimo – come prima lingua straniera. La questione del bilinguismo è minoritaria all’interno del movimento indipendentista o, secondo te, in che modo può essere rilanciata?
L’obiettivo finale sarebbe che il sardo – per il momento usiamo il termine generico – diventi la lingua ufficiale dello Stato sardo e che la lingua italiana sia una lingua ‘a lato’del Sardo per un periodo di tempo congruo. Anche perché non si può eliminare completamente una lingua: innanzitutto, i sardi non avrebbero nessun interesse a perdere l’italiano. Qualsiasi lingua straniera, o non straniera, tu conosca, è una ricchezza. Non solo: è anche un’arma. Se io non conoscessi sufficientemente la lingua italiana avrei maggiore difficoltà a difendermi e ad attaccare, io voglio usare la lingua italiana come strumento d’attacco e di difesa. Quindi, non ho interesse a perderla. Io, però, con i miei genitori non ho mai parlato italiano: ho parlato sempre in sardo. Le vicende storiche, per molte ragioni, stanno facendo perdere d’importanza la ‘limba sarda’ che è differenziata in vari dialetti. Ma nella Grecia antica non esisteva un solo greco: esistevano varie parlate greche e non mi turba il fatto che ci siano queste differenze, troveremo il modo, la soluzione. La cosa importante non è trovare una lingua unificata ma è che i sardi si convincano che devono essere orgogliosi di essere Sardi, di quello che hanno. Poi, ci metteremo d’accordo sulle pratiche da fare per quanto riguarda la lingua, intanto usiamola. Per iscritto e oralmente: in fondo, sono cose nostre..
Il libro l’ho comprato solo ieri nel corso della presentazione all’Aula magna dell’Università di Sassari (12 settembre nda), per cui ho ancora una visione molto parziale del tuo scritto…
Guarda, per alcune parti è impossibile avere una visione completa: ci sono alcune sezioni in cui non ci si può non capire nulla se non si entra nello spirito con il quale ho scritto il libro. Infatti, è successo questo ad un tuo collega al quale ho rifiutato l’intervista: a seguito di uno scambio di e-mail, dopo il quale avevo inteso che non aveva capito niente. E non era in grado di capire nulla..
Perché?
Perché lui partiva con alcune idee preconcette e cercava di orientare l’intervista secondo il suo punto di vista ma non aveva neanche l’umiltà di leggere con attenzione quello che avevo scritto. Non aveva quest’umiltà e quindi era superficiale: questo libro non è stato scritto per gente superficiale ma pesando le parole, usano determinati vocaboli e secondo me ci vuole gente attenta, altrimenti non si capisce.

Nell’appendice fotografico del libro viene raffigurato un episodio interessante, curioso quantomeno, che descrivi anche nelle prime pagine di ‘Cella n.21’. Ti avranno già chiesto in moltissimi di raccontarlo, sto parlando di quando hai incontrato il Presidente della Repubblica Sandro Pertini in costume sardo.

Dunque, io ero Sindaco di Bulzi e, come tutti i indaci della provincia, sono stato invitato dal presidente della Repubblica. La procedura era questa: quando i sindaci, messi tutti uno dopo l’altro in fila, arrivavano davanti al Presidente, il Cerimoniere diceva, poniamo un caso: “le presento il sindaco di Buddusò”, rapida stretta di mano e via. Non sopportavo, veramente, questa cosa. Io ero andato vestito col costume di Bulzi e con, attaccata sopra, la tessera del Fronte per l’indipendenza.
Siccome avevo visto come andavano le cose con gli altri, avevo precedentemente preparato una lettera da consegnare a Pertini. Quando siamo stati di fronte l’ho guardato negli occhi  e gli ho detto, giacché sono di animo socialista, ma pur sempre sardista: «Compagno Presidente, La saluto sì come sindaco ma anche come segretario del Fronte per l’indipendenza della Sardegna. Ho preparato questa lettera per Lei, la legga con attenzione prima che sia troppo tardi». Mi guardava battendo le palpebre come se si chiedesse, “chi è costui?”. Aveva, alla sua sinistra, il Capo dei Corazzieri e alla sua destra un ministro che l’anno successivo sarebbe diventato il Ministro dell’interno, Oscar Luigi Scalfaro, mi pare, se ben ricordo. Pertini, che a me faceva soltanto l’impressione di un pover’uomo, un anziano, vecchio da trattare con ogni riguardo e rispetto proprio per la sua età, mi disse: «Sì, sì, la leggerò con attenzione» e diede la lettera al capo dei corazzieri. Subito dopo scesi a Piazza Italia e un giornalista mi chiese: «Cosa ne pensa del Presidente Pertini?»«E’ una bravissima persona – gli avevo risposto – ma io non dimentico mai che è un Capo di uno Stato straniero e nemico». Lui ha continuato a stare a Sassari quel giorno e il giorno successivo e io, assieme agli altri del Fis (Fronte per l’Indipendenza della Sardegna), abbiamo continuato a manifestare contro di lui. Quando è andato ad inaugurare il monumento ai caduti della Brigata Sassari c’erano due lunghissime file di giovani Carabinieri che dovevano fare da scorta. Io ed altri avevamo affisso uno striscione grande con scritto “a fora s’Italia”.  Lo striscione è stato, dunque, sequestrato dai vigili urbani e dato in consegna ad un Corazziere. Siamo andati dal corazziere e l’abbiamo accusato di appropriazione indebita, quindi lui, impressionato, ci ha restituito lo striscione che nel frattempo avevamo affisso nuovamente. Nel contempo io arringavo carabinieri e gli dicevo in sardo: “Avete visto cosa ha fatto l’Italia? Voi eravate tutti disoccupati nel vostro paese, l’Italia vi ha fatto tutti carabinieri! Siete contenti?”. E mentre dicevo queste parole davo loro il volantino del Fis. In quel momento arrivava il presidente Pertini, che io non avevo visto, e anche il procuratore generale della Repubblica che non voleva assolutamente guardarmi mentre io distribuivo volantini. Allora, tiratone fuori uno dalle mani, gli ho detto: «Legga, dott. Villasanta, che non fa male neppure a lei». Il giorno dopo ho scritto sul giornale che, per cortesia, il Presidente Pertini non tornasse più in Sardegna a inaugurare monumenti agli àscari Sardi perché noi pretendevamo di essere rispettati da vivi e non da morti e che, inoltre, anche gli àscari libici, eritrei, avevano combattuto per l’Italia dopo che la ‘civilissima Italia’ aveva decimato le loro popolazioni. Ho continuato a manifestare contro di lui nei giorni a seguire e sei mesi dopo mi hanno offerto una suite in carcere a Buoncammino.
Una ‘suite’ a Buoncammino?!?
(sorride nda) Sì, sì, una suite!
Mi viene in mente una cosa, riallacciandomi ai Carabinieri… Passeggiando per Sassari, chiacchierando del più e del meno con Cristiano, mi ha corretto mentre citavo in italiano una canzone di Piero Marras ‘Si deus cheret’ dal momento che ‘si Deus cheret e sos carabinieri lu permittini’ andava tradotto con ‘se Dio vuole e la giustizia lo permette’. Perché la giustizia e i carabinieri sono termini che si equivalgono?
E’ così. Il proverbio deriva dal fatto che la repressione inizialmente è passata attraverso i carabinieri, più che dalla polizia e dei militari. I Savoia hanno avuto la Sardegna nel 1720 ma i sardi non li hanno mai sopportati. Anzi, non ci si sopportava a vicenda  e c’erano seri e validi motivi per cui noi non sopportassimo i Savoia. Poi sono venuti i carabinieri e siccome essi possedevano una stazione in ogni paesino, praticamente, ecco perché la giustizia identificava con i carabinieri. In molti posti non c’era altro che carabinieri, come forze dell’ordine. La polizia è arrivata dopo.
Dopo la ‘suite’ a Buoncammino, l’uscita e tutte le vicende che si sono susseguite, hai scritto un libro quasi trent’anni dopo. Come mai quest’attesa?
Per questo motivo: io non ero aduso a scrivere, ero professore di chimica e non sono un letterato. Ero abituato ad altre cose e mi sembrava che scrivere fosse quasi una perdita di tempo. Poi, però, con gli anni ho lentamente maturato questa decisione assoluta: sapevo che avrei scritto prima o poi ma stavo rimandando… Scrivere è faticoso: se si vuole curare lo stile si devono scegliere le parole, le frasi, si deve riflettere. E poi, in uno scritto come questo, si deve riflettere: che impatto avrà sui servizi segreti? Che impatto avrà sul pubblico sardo e quale potrebbe avere su quello italiano? C’era da studiarci sopra e io non mi sentivo pronto per fare questo, ma ad un certo punto mi sono reso conto che dovevo farlo per forza. Non potevo più fuggire, dovevo farlo. Mi volevo dotare di uno strumento di lavoro, di un’arma, per essere più espliciti. Volevo dotarmi di un’arma difficile da neutralizzare e che mi desse un tipo di potere che in questo momento storico non è facilmente sindacabile: nella situazione geopolitica in cui si trova, lo Stato italiano non può fare molto per neutralizzare quello che scrivo.
Anche perché, banalmente, ‘è scritto’..
Non solo, non è facile ‘sequestrare’ palesemente il libro; non è facile farmi passare per terrorista solo perché  scrivo un libro nel quale scrivo che sono contro la violenza. Come posso io essere considerato un terrorista, un violento, se dico esplicitamente di essere contro la violenza? Io, poi, sono solo: quali sono le mie truppe? Non ne ho, non le cerco. Allora, nella situazione in cui si trova lo Stato italiano oggi, non è facile prendere delle misure esplicite contro di me, potrebbe farlo in maniera furbesca o in altri modi, però è rischioso… Ecco perché non ho nessunissima intenzione, come ho già detto, di essere violento, ciononostante voglio vincere: questo deve risultare chiaro. Nel senso che voglio collaborare per fare in modo da creare le premesse affinché il popolo sardo possa vincere. Non io personalmente, io non conto nulla: sono l’organizzazione politica di me stesso. Nessuno, però, è così stupido da credere che io sia così stupido o così innocuo, quindi i servizi cercheranno di capire com’è fatto il mio cervello.
Prima hai accennato all’impatto che questo libro potrebbe avere sul pubblico italiano, quale potrebbe essere, dunque?Il pubblico italiano potrebbe, non oggi, convincersi che non è così corretto il comportamento del proprio Governo nei confronti della Sardegna: non credo che gli italiani siano pronti a questi discorsi. E questo perché potrebbero anche chiedersi: ‘che bisogno c’è di fare in Italia le basi militari quando è così comodo farle in Sardegna? Perché inquinare l’Italia quando possiamo inquinare la Sardegna? Siamo mica scemi! Finché sopportano i Sardi, sopportino, potremmo decidere di dargli qualche contentino, possiamo dire che sono valorosi combattenti e dar loro qualche spicciolo di contributi, di risarcimenti; possiamo fare molti sorrisi e dire che anche loro sono italiani. Quei cretini, intanto, si bevono tutto..’. Ma questo vale oggi, non sappiamo cosa succederà domani. Tu mi potrai chiedere, cosa potrà succedere domani visto che siete pochi, deboli e avete paura di esporvi?
‘Pocos, locos y male unidos’, come avrebbe detto Carlo V a proposito dei Sardi…
Attenzione, però: gli italiani erano molti e disuniti. Noi saremmo anche pochi e disuniti, ma gli italiani erano molti e disuniti: nel 1815 in Italia c’erano nove Stati diversi e indipendenti, spesso in guerra tra loro, quindi non ho capito perché il ‘pocos, locos y male unidos’ è sempre valso per i Sardi e non per gli italiani. Anche adesso, che c’è uno Stato unitario, gli italiani non sono uniti. Perché tutta questa storia per i Sardi, dunque? Che poi, Carlo V non ha mai detto quella frase riguardo i sardi ma l’ha detta ai notabili che non erano Sardi di origine, bensì catalani! E questo anche perché, in quel periodo, i Sardi non contavano nulla, non c’era bisogno di dir loro qualcosa contro. Quella frase era riferita ai notabili dal momento che erano sempre in lotta fra loro e, all’arrivo di Carlo V, hanno provato a prenderlo come arbitro.
Tant’è che Mariano IV d’Arborea, padre di Eleonora d’Arborea, al momento della ‘reconquista’ dell’Isola non conquistò Alghero perché pare che non vi fossero Sardi…
No, in realtà non è per questo: semplicemente, non ci è riuscito. Ci sarebbe voluto andare e gli erano rimaste solo due piazze: Alghero e Cagliari ma purtroppo è morto prima a causa della peste. Proprio mentre stava capitolando Cagliari. La popolazione catalana è scomparsa da Alghero, poi, già dal 1500: coloro che sono venuti dopo quella data sono Sardi che hanno adottato il catalano per snobismo, perché lo straniero potente viene sempre preso a modello. Anche gli italiani che sono deboli, prendono a prestito dal modello anglosassone, alcune parole della lingua inglese: invece di dire fine settimana si dice weekend, la tendenza si dice trend, e via cantando. Gli italiani si sentono inferiori ai popoli di lingua inglese, ogni tanto fanno la sparata che loro sono i più intelligenti del mondo, con maggior senso artistico, insomma, il sale del mondo. Ma dentro di loro capiscono che sono deboli, su questo non ho dubbi.
Toglimi una curiosità, però: da cosa deriva il tuo nome Bainzu?
Usando Bainzu come nome, col mio cognome Piliu, niente avrebbe richiamato l’Italia: né il nome, né il cognome avrebbero fatto pensare all’Italia. Mi spiego meglio: i miei antenati paterni si chiamavano tutti Bainzu. Mia madre, credendo di nobilitare la famiglia, all’anagrafe fece mettere Gavino al posto di Bainzu, come voleva fare mio padre. Questo perché sembrava più nobile e più qualificante socialmente. Quando iniziai a fare attività politica, dopo un po’ di tempo, decisi di adottare la versione sarda in modo tale che, appunto, né nome né cognome potessero richiamare direttamente l’Italia. Anche perché in Italia uno che si chiama ‘Bainzu Piliu’ non si sa da dove possa venire: si potrebbe confondere anche per romeno!
Ma che relazione ha Bainzu con Gavino?
Dunque la cosa, per quel che ne so io, è nata così: in epoca imperiale romana c’erano delle truppe romane a Porto Torres.
Uno di questo soldati romani  si convertì al cristianesimo ma fu processato e condannato a morte, insieme ad altre due persone: egli si chiamava Gabinius che significava ‘abitante della città di Gabii’, antica città del Lazio (ora quasi inglobata dai territori dei municipi del quadrante sud est di Roma nda). I Sardi da questo Gabinius trassero alcuni nomi: GabinuGavinuBainzuBinciuBignu, almeno 5 e non uguali. Il nome Gavino non è un nome italiano: è un nome sardo italianizzato che tornava utile per assimilare il popolo sardo, d’altra parte anche i cognomi sono stati distorti per farli diventare italiani. Quindi, a parte che Bainzu mi piaceva di più perché mi richiamava alle mie origini, lo trovavo politicamente utile e i giornalisti utilizzavano sempre Bainzu: non mi giravo neanche quando mi chiamavano Gavino! Ecco com’è la questione del Bainzu. E dà un fastidio tremendo agli italiani: le volte che sono andato in Italia e mi sono presentato come Bainzu Piliu storcevano la bocca. Non ci tenevo minimamente, e non ci tengo tutt’ora, a sembrare italiano, nemmeno per sogno! Non sono italiano, non mi seno onorato di essere chiamato tale: non vi disprezzo ma non vi ammiro particolarmente. Siete tra le tante popolazioni del mondo: ci siete anche voi. Se siete intelligenti vi ammiro, se avete delle qualità artistiche la stessa cosa, ma non siete il mio modello: intelligenti come voi ce ne sono una miriade quanto, anzi, più di voi. Basta che si prendano i popoli orientali, che li avete presi a pesci in faccia per secoli, vi stanno dimostrando che hanno un’intelligenza che è sicuramente almeno come quella italiana. Se non superiore. Non siamo mai stati italiani, nemmeno in epoca romana: siamo stati una provincia di Roma, non eravamo ‘italici’. Per molto tempo si è cercato di far intendere ai Sardi che dovevano sentirsi onorati di essere considerati italiani e molti hanno abboccato. Come una specie di insulto che c’era in alcune parti dell’Isola  che diceva: «Italianu siese», come dire «Che tu sia italiano!». Giacché ho assorbito e digerito queste cose, a me non mi incantano: io voglio una cosa sola, cioè, che i Sardi diventino padroni del loro territorio, che mantengano buoni rapporti con l’Italia.
Dopo, però (l’indipendenza nda). Non prima.

lunedì 15 settembre 2014

Capo Frasca, la nuova Pratobello

Sant’Antonio di Santadi, Arbus (OR) – «Il tempo delle mediazioni è finito. Se lo Stato italiano avesse voluto mediare lo avrebbe già fatto da tempo e invece, come tutti possono vedere, veniamo bombardati da sessant’anni. Questo modello non è più sostenibile: non lo è mai stato e non lo deve essere più, nonostante – lo ribadiamo – gli interessi della NATO siano fortissimi». «Per queste ragioni non possiamo abbassare la guardia già a partire dal processo di Quirra, l’altra cartina da tornasole degli interessi bellici in Sardegna. Per la pace dei popoli, non solo per il nostro, sappiamo bene che stiamo toccando gli interessi massimi dello Stato».
A parlare era Luigi Piga, portavoce del Fronte indipendentista unidu, una delle tante formazioni indipendentiste che ha organizzato la manifestazione di sabato 13 davanti al poligono militare di Capo Frasca.
La lingua di terra strettissima in cui si trova il poligono in questione è tra lo stagno di Marceddì e una piccolissima frazione del Comune di Arbus: Sant’Antonio di Santadi.
In un pezzo di terreno dell’isola che compie uno strano giro, erano concentrati circa dodicimila sardi per chiedere tre cose, per dirla con le parole di Gianluca Collu, Segretario di Progres«siamo tutti uniti per dire, una volta per tutte, tre cose molto semplici: dismissione, bonifiche, riconversione. E’ vitale, è necessario dismettere i poligoni militari, non si sta parlando di dismettere semplicemente le basi o cos’altro, si sta parlando di poligoni militari e l’unico modo per iniziare è chiudere immediatamente uno di questi. Bisogna, poi, urgentemente, apportare le dovute bonifiche – a terra e a mare – e, infine, trovare il modo di riconvertire i territori».
Dai manifestanti le voci si levavano alte e tonanti: «A Foras!» e «Indipendentzia!» erano sicuramente quelle che ‘andavano per la maggiore’.
Il tavolo della manifestazione era partito il 2 agosto, come già riportato da questa testata: «A lanciare la piattaforma per la manifestazione del 13 erano state cinque organizzazioni, tra formazioni politiche e comitati civici: A Manca pro s’Indipendentzia (aMpI), Sardigna Natzione Indipendentzia (Sni), Comitato Sardo ‘Gettiamo le Basi’, Comitato ‘Su Giassu’, Comitato Civico ‘Su Sentidu’».
Ovviamente, il tavolo organizzativo è andato crescendo di giorno in giorno e gli organizzatori, se dal principio erano 5, sono diventati un buon nucleo di organizzazioni politiche e civiche, una commistione e una cooperazione che si è rivelata vincente, visti i numeri della manifestazione.
Dodicimila persone, più di ogni rosea aspettativa ma che – per la verità – era una speranza che ogni rappresentante del tavolo organizzativo covava in sé.
Collu (Progres) a tal proposito, nello spazio del retro della manifestazione, ha dichiarato come: «riguardo la presenza  lo speravamo: ai tavoli organizzativi ho sempre detto che una manifestazione di questo tipo aveva successo se fossero arrivate non 300 ma 3000 persone. Quindi, il nostro messaggio è arrivato: la manifestazione non è per gli indipendentisti, non è fatta dagli indipendentisti, è fatta per tutti i sardi».
Il messaggio è arrivato, ‘l’individuo’-Nazione sta muovendo i primi passi, come ha detto Bustianu Cumpostu (Sardigna Natzione): «questa volta, come è stato per il referendum sul nucleare, sembra che ogni cittadino sardo abbia capito di essere parte indispensabile di un individuo che si chiama Nazione Sarda e abbia capito, inoltre, che quell’individuo possa camminare e pensare autonomamente. Se c’è un piede che non funziona, l’individuo non è completo, ma oggi i Sardi si sono assunti questa responsabilità. Probabilmente hanno pensato ad una responsabilità storica: noi siamo generazione vivente, che responsabilità abbiamo per le generazioni future? Possiamo lasciare un territorio con nanoparticelle in giro, con bombea frammentazione, con territori che potrebbero creare prosperità ma vincolati per scopi che non sono i nostri? Questa è la nostra responsabilità». 
Il dato politicamente rilevante che arriva dalla manifestazione è che le organizzazioni indipendentiste che venivano tacciate di minoritarismo e settarismo, da parte dei quotidiani e di candidati alla presidenza della Regione Sardegna, sono scese in piazza e hanno portato 12mila persone in un territorio anche abbastanza impervio da raggiungere.
Il settarismo di cui venivano tacciate le organizzazioni politiche che non si erano allineate con questa o quella coalizione di ‘maggioranza’, centrodestra o centrosinistra, era ben riassumibile dalle parole di Gavino Sale, Presidente di iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna, intervistato da questa testata poco prima della tornata elettorale del febbraio.
Sale, ora consigliere regionale di maggioranza, aveva intrapreso la strada dell’alleanza elettorale con il centrosinistra, capitanato da Francesco Pigliaru: «Michela Murgia, secondo Gavino Sale “sa benissimo che non vincerà, perché non ha i numeri: si vince al 40%, non con il 15%, così come gli ultimi sondaggi riportano. A questo punto, stanti questi numeri, il progetto di Michela Murgia è saltato”.
La polemica del cosiddetto ‘voto utile’ aveva sconfinato anche in ambienti indipendentisti: «Murgia a questo punto deve decidere chi deve far vincere. Io so chi vuole far vincere la Murgia: Cappellacci e il suo gruppo editoriale di riferimento. Lei ha rifiutato di vincere fin dal principio chiudendo le porte alle altre organizzazioni politiche indipendentiste».Ma lo stesso Sale ha subito un crollo verticale nei consensi, risultando la penultima lista della coalizione di centrosinistra e raccogliendo un misero 0,83% che sfigurava nettamente di fronte ai successi che il suo partito aveva raggiunto alle precedenti elezioni provinciali.
Durante il mese di agosto la protesta è montata, complici anche due fattoril’incidente (e il conseguente incendio) avvenuto a Capo Frasca e la notizia confermata e poi ritirata delle esercitazioni della IAF, l’Aeronautica militare israeliana, proprio nel poligono sopracitato. L’organizzazione della manifestazione lanciata dal pugno di organizzazioni politiche e civiche non sembrava dovesse assumere una così imponente proporzione: dal grumo di soggetti iniziali si è arrivati a ricevere adesioni – praticamente – da tutta l’area indipendentista, sardista e sovranista compresa qualche organizzazione politica nazionale.
Ci sono state, poi, manifestazioni di solidarietà anche nel continente e, specialmente, nell’altra Isola: la Sicilia.
A Niscemi, luogo già teatro delle proteste da parte dei coordinamenti NO MUOS, s’era organizzato un sit-in ‘contra a s’occupatzione militare in solidarietà alla manifestazione di Capo Frasca.
Più di cinquanta le organizzazioni che hanno aderito e parteciperanno alla dimostrazione a Capo Frasca per manifestare contro le servitù militari, ovvero «di strutture e infrastrutture al servizio delle forze armate italiane o della Nato» che occupano migliaia di ettari di terreno: «35 mila gli ettari di territorio sardo sotto vincolo di servitù militare», come riporta il sito della Regione Sardegna. 
Tra le voci dei manifestanti è tutto un commentare: «E’ una nuova Pratobello» e, forse, il paragone non è campato in aria: il 27 maggio del 1969 sui muri del paese di Orgosolo (in piena Barbagia, in provincia di Nuoro) fu affisso un avviso in cui si invitavano i pastori della zona di Pratobello a trasferire il bestiame altrove perché, per due mesi, quell’area sarebbe stata adibita a poligono di tiro e di addestramento dell’Esercito Italiano. Il 9 giugno 3.500 cittadini di Orgosolo iniziarono una mobilitazione ferma e decisa che li ha portati,  il 18 dello stesso mese, a riunirsi in piazza Patteri: dall’assemblea scaturì la decisione di attuare una forma di protesta non violenta e quindi di occupare pacificamente la località di Pratobello.
Dal 19 giugno iniziò l’occupazione e dopo alcuni giorni, durante i quali non si verificò alcun episodio di violenza, l’Esercito si ritirò.
Una voce dopo l’altra di rappresentanti di organizzazioni politiche, associative e civiche, scandisce le parole d’ordine della manifestazione dal piccolo palchetto allestito per l’occasione.
La lingua di terra aveva fatto in modo che una parte dei manifestanti stesse a sentire sotto il palco, un’altra parte alle porte del poligono e un’altra ancora stesse sulla collina che dominava la piccola valle dello stagno di Marceddì e di Sant’Antonio di Santadi.
La protesta diventa anche festa quando arrivano i Tumbarinos di Gavoi e iniziano a suonare un ballu tundu davanti ai cancelli del poligono militare.
«Come nel 28 aprile 1794, ballu tundu per irridere l’oppressore piemontese».

domenica 14 settembre 2014

Sardegna, in dodicimila a Capo Frasca per la chiusura delle servitù militari

Articolo pubblicato per Controlacrisi


«Indipendentzia»«A Fora!» erano le espressioni più usate dai manifestanti di Capo Frasca nella giornata di ieri.
Le agenzie riportano i numeri, non ci sono scuse o letture doppie delle cifre: circa dodicimila manifestanti a portare la propria voce contro le basi militari.

La manifestazione, che era partita il 2 agosto dal comunicato stampa di a Manca pro s’Indipendentzia, Sardigna Natzione e dai comitati ‘Su Giassu’, ‘Su sentidu’ e ‘Gettiamo le basi’ aveva riscosso sin da subito un grande successo attorno all’aera indipendentista, raccogliendo subito le adesioni del Fronte indipendentista unidu, di ProgReS-Progetu Republica e delle altre organizzazione indipendentiste, sovraniste e sardiste.

L’appuntamento lo si era dato in una lingua di terra stretta ed impervia da raggiungere: il paese più vicino alla base di Capo Frasca è Sant’Antonio di Santadi, una frazioncina del comune di Arbus.

Le difficoltà si notano già all’arrivare: file di macchine si parcheggiano nei larghi spiazzi d’erba e sterpaglie che precedono il concentramento della ‘manifestada’: code lunghissime di automobili, pullman che, costretti a camminare a passo d’uomo per i troppi convenuti rispetto alla capienza di quella lingua così stretta di terra, mettono a durissima prova gli agenti della polizia locale, intenti a cercare di smistare la folla che accorreva da ogni angolo dell’Isola.

Le file di automobili e di pullman erano affiancate, nella piccola stradetta che portava al poligono, da altrettanto numerose file di persone ‘appiedate’ che, visto il caos del raggiungere ‘su gomma’ il luogo del concentramento, hanno preferito lasciare il proprio mezzo in uno degli spiazzi e proseguire a piedi.

10628264_895948667100481_3484632985634845990_n.jpg (Foto di Alessio Niccolai) 
Il concentramento era previsto per le 16:30, ma alle 16:45 i pullman arrivavano alle porte del piccolo Sant’Antonio di Santadi per scaricare centinaia di persone. 
Poco prima della piccola frazione gli organizzatori avevano allestito un palchetto e - più avanti, di qualche metro - c’era l’ingresso alla base militare: uno ad uno i rappresentanti iniziano a salire sul palchetto e ad impugnare il microfono.

I primi a salire sono Pier Franco Devias (a Manca pro s’Indipendentzia) e Bustianu Cumpostu (Sardigna Natzione). Successivamente anche Luigi Piga (Fronte indipendentista unidu), Gianluca Collu (ProgReS), Gianfranco Sollai (gentes) e Michela Murgia (Sardegna Possibile).

In sostanza, mai come in questo caso si poteva dire: «c’erano proprio tutti».

E quei ‘tutti’, quei rappresentanti di organizzazioni, hanno marcato nettamente tutti i propri interventi: la cesura con lo Stato italiano era netta, e non hanno lasciato intendere minimamente aperte le porte alle collaborazioni con «i partiti che hanno detto ‘sì’ a questi scempi, faccia più brutale del colonialismo che stiamo vivendo».

Le voci dei manifestanti erano in perfetta linea con coloro che prendevano la parola dal palco: «a foras sas bases dae Sardigna» e ancora «la cosa che non capiscono i rappresentanti di partiti indipendentisti che ora siedono in Consiglio assieme ai partiti italiani è questa: non gli stanno dicendo nulla per andare contro le servitù militari, per lasciarci liberi nella nostra terra».

Le voci dei manifestanti sono tutte un vociare e un dibattere compulso, e quando si diceva «gli indipendentisti che siedono coi partiti italiani» era un chiarissimo ed evidente strale - seppur ‘lasciato intendere’ - al consigliere regionale Gavino Sale, leader di iRS - indipendentzia Repubrica de Sardigna. 
Sale, alle ultime elezioni regionali, ha preferito allearsi con la coalizione di centrosinistra capitanata da Francesco Pigliaru, ora Presidente della Regione. 
I consensi della sua organizzazione hanno subito un crollo verticale risultando la penultima lista della coalizione raccogliendo lo 0,86% dei consensi e l’entrata in consiglio grazie ai meccanismi della legge promossa ed approvata dalla giunta Cappellacci.

C’era, Gavino Sale, alla manifestada, ma non ha preso parola, viste anche le polemiche che si erano alzate nei giorni scorsi a causa del suo invito a venire a Capo Frasca al Presidente della Regione Pigliaru.


La marea di gente, per un’Isola che ha un milione e mezzo circa di abitanti spalmati in una superficie di 24 100 km², è un successo.

«E’ una nuova Pratobello!», si sente dire dai manifestanti.


DSCN1842.JPG (Foto di Marco Piccinelli) 

Secondo Gianluca Collu, segretario di ProgReS, «siamo tutti uniti per dire, una volta per tutte, tre cose molto semplici: dismissione, bonifiche, riconversione. E’ vitale, è necessario dismettere i poligoni militari, non si sta parlando di dismettere semplicemente le basi o cos’altro, si sta parlando di poligoni militari e l’unico modo per iniziare è chiudere immediatamente uno di questi. Bisogna, poi, urgentemente, apportare le dovute bonifiche - a terra e a mare - e, infine, trovare il modo di riconvertire i territori».

«Riguardo la presenza - prosegue Collu - lo speravamo: ai tavoli organizzativi ho sempre detto che una manifestazione di questo tipo aveva un successo se fossero arrivate non 300 ma 3000 persone. Quindi, il nostro messaggio è arrivato: la manifestazione non è per gli indipendentisti, non è fatta dagli indipendentisti, è fatta per tutti i sardi».

Secondo Bustianu Cumpostu (Sardigna Natzione): «questa volta, come per il referendum sul nucleare, sembra che ogni cittadino sardo abbia capito di essere parte indispensabile di un individuo che si chiama Nazione Sarda e abbia capito, inoltre, che quell’individuo possa camminare e pensare autonomamente. Se c’è un piede che non funziona, l’individuo non è completo, ma oggi i Sardi si sono assunti questa responsabilità».
Alla manifestazione era presente anche Gavino Sale che, però, non ha parlato dal palchetto allestito. 
A ‘Controlacrisi’ ha dichiarato: «c’è una crescita trasversale, oltre agli indipendentisti ci sono grossi settori della sinistra, dei moderati di centro. Anche il fatto che qui ci sia il Presidente del Consiglio Regionale e molti consiglieri è un segnale: nei giorni scorsi avevamo fatto una riunione di maggioranza e avevamo deciso che l’istituzione partecipasse alla manifestazione. 
Si sta raggiungendo un parallelismo tra associazioni, partiti e l’istituzione, anche perché lo Stato Italiano tratterà con un Presidente, mica con un responsabile di movimento! Lo Stato italiano tratterà con il legittimo rappresentante eletto della nazione Sarda. Dov’è la vittoria di questa manifestazione? Che qui c’è il popolo, organizzato in associazioni, partiti, movimenti, e l’istituzione regionale Sarda, cioè, il governo della nazione sarda».

Secondo il consigliere di iRS l’obiettivo, ora, è «aprire un tavolo bilaterale tra Stato italiano e Nazione Sarda che non s’è mai aperto: il Presidente Pigliaru non ha firmato l’accordo e vuole aprire un tavolo, possibilmente controllato da un’agenzia internazionale riconosciuta ufficialmente da ambo le parti».


Secondo Luigi Piga (Fronte indipendentista unidu): «il tempo delle mediazioni è finito. Se lo Stato italiano avesse voluto mediare lo avrebbe già fatto da tempo e invece, come tutti possono vedere, veniamo bombardati da sessant’anni. Questo modello non è più sostenibile: non lo è mai stato e non lo deve essere più, nonostante - lo ribadiamo - gli interessi della NATO siano fortissimi».

«Per queste ragioni - prosegue Piga - non possiamo abbassare la guardia già a partire dal processo di Quirra, l’altra cartina da tornasole degli interessi bellici in Sardegna. Per la pace dei popoli, non solo per il nostro, sappiamo bene che stiamo toccando gli interessi massimi dello Stato».

DSCN1902.JPG (foto di Marco Piccinelli)

Il fatto politico veramente significativo della manifestazione di Capo Frasca, però, è che il dibattito sulle questioni dell’Isola è tenuto e diretto dai movimenti indipendentisti che non sono all’interno del Consiglio Regionale, anche a causa della legge elettorale di cui si scriveva prima.

Gianfranco Sollai (gentes) dal palchetto scandisce nitidamente: «Sapete perché siamo così tanti? Perché non siamo rappresentati in Consiglio!».

Il dibattito sulle servitù militari, «sull’occupazione militare dello Stato Italiano», è tenuta saldamente dalle organizzazioni politiche che, fino a poco tempo fa, venivano bollate come ‘minoritarie’ sui quotidiani Sardi e Italiani.

A manca pro s’indipendentzia, Sardigna Natzione, Fronte indipendentista unidu, Progres, sono le stesse organizzazioni che, durante il periodo elettorale, venivano tacciate di minoritarismo e settarismo perché non si erano alleate con le coalizioni di centrodestra o centrosinistra.

Impossibile non dimenticare la polemica, iniziata su twitter, tra il regista Paolo Virzì e Michela Murgia, candidata di Sardegna Possibile e appoggiata da Progres, gentes e Comunidades.
Il primo aveva twittato come la Murgia «sia intelligente e nobile. Se capisce che la sua lista non ha chance, potrebbe rinunciare pro Pigliaru».
Il botta e risposta era ormai partito e la candidata alla presidenza della regione Sardegna aveva semplicemente risposto che “Il futuro non si fa coi passi indietro”.
Lo stesso Sale, sempre nei confronti della candidata e scrittrice Murgia, aveva dichiarato«Murgia a questo punto deve decidere chi deve far vincere. Io so chi vuole far vincere la Murgia: Cappellacci e il suo gruppo editoriale di riferimento. Lei ha rifiutato di vincere fin dal principio chiudendo le porte alle altre organizzazioni politiche indipendentiste».

E ancora: «Senza di noi il Partito Democratico perderebbe le elezioni! E, dico di più, a questo punto il confronto diventa molto, molto interessante. Presto le basi del Partito democratico, di Sinistra ecologia libertà, di Rifondazione, dei giovani che compongono le organizzazioni politiche che ho citato, inizieranno a fremere per la questione sovranista».

Insomma, il quadro politico indipendentista che si è andato a delineare si sta sempre di più diradando: all’esterno del consiglio regionale, coloro che sono sempre stati tacciati di minoritarismo, sono riusciti a portare in strada dodicimila persone.
E questo è un fatto incontrovertibile.
Si pone, dunque, la questione di come la fase stia cambiando e che la parte minoritaria dell’indipendenza sarda sieda all’interno delle istituzioni. D’altra parte tutti i rappresentanti di organizzazioni, associazioni, comitati, si sono ripromessi di continuare il tavolo della ‘manifestada’: prossimo appuntamento a Lanusei, per la costituzione parte civile al processo su Quirra.


Secondo Collu (ProgReS): «l’unica arma che rimane a noi che ci troviamo fuori dal consiglio regionale è coinvolgere quanti più Sardi possibile per fare pressione sul consiglio regionale: la classe politica indipendentista che sta governando non è in grado di prendere le decisioni che servono ora per cambiare il destino della Sardegna».