«SETTESETTE. UNA RIVOLUZIONE. LA VITA» DI PINO TRIPODI
C’è chi, come chi scrive, non ha vissuto i tempi dell’Italia in rivolta, c’è chi non era proprio nato durante le manifestazioni studentesche e operaie. Di quel periodo, di quegli anni chiamati frettolosamente anni di piombo ha letto la storia scritta da chi ha vinto. Chi invece nel movimento ci stava, leggeva Spinoza, voleva vivere e parlava di emancipazione e di autodeterminazione. Ancora adesso continua a farlo Chi non ha visto quel momento storico dell’Italia non può tuttavia capire appieno cosa Pino Tripodi va scrivendo nel suo Settesette. Una rivoluzione. La vita (Le Milieu, pp. 181, euro 13,90). Può tuttavia tentare di capire che cosa è successo e come si è arrivati fino ad oggi.
C’è chi, come chi scrive, non ha vissuto i tempi dell’Italia in rivolta, c’è chi non era proprio nato durante le manifestazioni studentesche e operaie. Di quel periodo, di quegli anni chiamati frettolosamente anni di piombo ha letto la storia scritta da chi ha vinto. Chi invece nel movimento ci stava, leggeva Spinoza, voleva vivere e parlava di emancipazione e di autodeterminazione. Ancora adesso continua a farlo Chi non ha visto quel momento storico dell’Italia non può tuttavia capire appieno cosa Pino Tripodi va scrivendo nel suo Settesette. Una rivoluzione. La vita (Le Milieu, pp. 181, euro 13,90). Può tuttavia tentare di capire che cosa è successo e come si è arrivati fino ad oggi.
Gli uomini che hanno vissuto per «x» tempo in una data situazione, in un dato contesto e in un certo modo non possono cambiare in un batter d’occhio sé stessi: gli uomini che hanno manifestato, che hanno assaporato il sapore dolce del potere di cambiare le cose e che poi hanno sentito sfuggirselo fra le mani non sono più tornati sui loro passi. C’è chi dice che il ’68, col senno di poi e qualche anno sulle spalle, è stato un movimento fallimentare, che ha distrutto la sinistra e il movimento: lo dicono adesso. Allora chi faceva parte del movimento credeva che stava cambiando, in meglio, il mondo.
Prima di questo fosco presente va ricordato che dopo il Sessantotto c’è stato il Settantasette e tutto quello che era stato tolto, «in pugno riprende», come cantava Paolo Pietrangeli; chi ha vissuto i movimenti e le lotte non può mai emanciparsi da esse o staccarvisi completamente. È impossibile. Il perché lo spiega questo libro di Pino Tripodi, quando si interroga sulla diffusione della lotta armata: «Molti compagni che sono passati alla lotta armata non credo l’abbiano fatto perché accettavano le bestialità progettuali delle Br o di Prima Linea. Più concretamente l’hanno fatto perché non accettavano l’idea che il movimento potesse essere sconfitto. La lotta armata protraeva la vita del movimento. Ne annullava la morte».
Non ci si poteva staccare del movimento, la morte di esso non era concepibile né concepita e allora ecco spiegato il perché molti militanti di allora scelsero la lotta armata. Una spiegazione «esistenziale» prima che politica che si snoda tra frasi secche, aspre, dure e senza i fronzoli della punteggiatura. Ci sono solo i punti che separano frasi brevissime e magari interi dialoghi senza sapere chi sta parlando ma non ha importanza dal momento che questo o quell’individuo, qualora avessero avuto un nome all’interno del volume, non avrebbero fatto la differenza al lettore.
Settesette sembra, infatti, un campo minato perché è composto con le voci, le storie di chi non si è rassegnato alla morte del movimento. Sia chiaro, l’autore conosce bene le altre interpretazioni, spiegazioni della sconfitta e dei motivi che portarono molti militanti di allora a scegliere la lotta armata. Tuttavia, sceglie di privilegiare questa spiegazione, perché la prospettiva della sconfitta non veniva concepita. Chi è stato sconfitto continua a non accetta quella debacle . «Non chiedetemi se sono un romanzo. Non chiedetemi se sono un saggio. Se è letteratura. Se è filosofia. Se è politica. Se è poesia. Se è storia. Se è solo chiacchiera. Non chiedetemi. Non spiegate. Chiedetevi. Vi prego. Senza Spiegare».
La forza di questo volume sta dunque nella sua inclassificabilità. La sua forza sta nel parlare di Spinoza, della volontà dell’uomo di concedere l’emancipazione alla propria compagna, Una concessione di libertà rifiutata dalle pratiche femministe e che mise giustamente all’angolo la paternalistica concessione della libertà dei maschi del movimento. La vita di coppia fu semplicemente terremotata dalle donne che affermavano la loro autodeterminazione. Ecco che senza virgole, duepunti, punti interrogativi ed esclamativi, frasi composte da più di due verbi, l’autore sbroglia la matassa chiamata Settesette , che a piè di pagina non riporta il numero delle pagine in cifre ma quello in numeri. Coloro che hanno vissuto i l movimento si ricordano quell’epoca esattamente così: erano considerati «strani» ma in fondo loro si sentivano dalla parte della ragione. Il mondo era dalla parte del torto e loro stavano là per cambiarlo. Il fatto era riuscirci. Quantomeno, provarci.